ANATHEMA (ἀνάϑημα)
Nell'uso omerico il vocabolo vale "ornamento"; solo nel V sec. a. C. è documentato il significato di "offerta votiva" per grazia ricevuta o per impetrare protezione. Sinonimi: àgalma (ἄγαλμα), che poi passa a signicare "immagine della divinità"; aparchè (ἀπαρχή), akrothìnion (ἀκροϑίνιον), dekàte (δεκάτη) = primizia; aphìdryma (ἀϕίδρυμα) = edificio offerto, charistèrion (χαριστήριον) = donario, ecc. Dal punto di vista religioso, il dono è in origine dedicato alla divinità, poiché essa è la legittima proprietaria degli uomini e di tutti i loro beni; onde, gli uomini debbono "pagare" qualcosa del proprio per compensare chi potrebbe colpirli con gravi e vari malanni: tanto sui prodotti della terra, come sulle entrate della città e sul bottino di guerra (tipico esempio il famoso tripode di Platea, il cui sostegno, in bronzo, è giunto fino a noi: Her., viii, 121; Thuc., i, 132; Paus., x, 13, 9), oppure a titolo di riscatto per delitto commesso; e inoltre la hierodoulìa (ἱεροδουλία) o servizio personale presso il tempio, spesso con prostituzione ed evirazione sacra; ed infine l'emancipazione dello schiavo che pagava al dio il prezzo di se stesso divenendo de facto libero.
Dal punto di vista archeologico gli a. hanno grande importanza in quanto costituiscono un'altissima aliquota del materiale a noi pervenuto, e perché accanto alla massa dei modesti prodotti in serie dell'artigianato (lunghi elenchi negli inventari epigrafici dei templi greci), rientrano nella categoria le statue della divinità: xòana (ξόανα), ο andriàntes (ἀνδριάντες), o agàlmata (άγάλματα), le statue dei cittadini offerenti, effigi di animali, edicole, esedre, tempietti o thesauròi.
Bibl: T. Homolle, in Dict. Ant., II, s. v. Donarium.