ANATEMA
. Il termine greco ἀναϑεμα (forma classica ἀνάϑεμα), significa originariamente "offerta, ex-voto alla divinità". Ma poiché il verbo ἀνατίϑεμι veniva anche usato nel senso di "consacrare alle divinità infernali", il significato di ἀβάϑεμα venne gradualmente a restringersi a quello di maledizione, mentre il classico ἀνάϑεμα ritenne quello generale di offerta agli dei. Nella Settanta ἀνάϑεμα è usato per tradurre l'ebraico ḥērém, ciò che è maledetto, e perciò da esterminare. Da ἀνάϑεμα si formò il verbo ἀναϑεματίζω "anatematizzo", di uso comune nella terminologia ecclesiastica cristiana. Sin dal primo secolo nelle sinagoghe giudaiche si leggevano preghiere in cui si anatematizzavano i cristiani, e sembra che la Chiesa s'ispirasse a questo modello nel formulare a sua volta anatemi contro eretici e dissidenti, quali si trovano nei canoni dei concilî e più tardi nelle bolle dei papi. Formule di anatema contengono già il sinodo d'Elvira (circa 300) e il concilio di Nicea: "Questi (Ario e i suoi seguaci) la cattolica ed apostolica chiesa anatematizza". Nei canoni del sinodo di Gangra (c. 343) troviamo appunto la forma classica: εἴ τις..., ἀνάϑεμα ἔστω (si quis...., anathema sit), che venne adottata in seguito da tutti i concilî. L'anatema era una maledizione ufficiale che colpiva il reo impenitente condannandolo alla perdizione eterna. Supponeva naturalmente anche la separazione dalla Chiesa, ma solo verso il sec. VI cominciò a farsi distinzione tra scomunica e anatema. Secondo papa Giovanni VIII (878) la scomunica separa a fraterna societate, e l'anatema ab ipso corpore Christi. Nel Decretum Gratiani (C. XXIII, causa XI, q. III) si dice che la scomunica esclude dai sacramenti, mentre l'anatema è esclusione totale dalla società dei fedeli. In altri termini, l'anatema è identico in quanto agli effetti alla scomunica maggiore e come tale lo considera il Codex iuris canonici (can. 2257), che lo distingue dalla scomunica maggiore solo in quanto esso viene inflitto con un cerimoniale più solenne. Molti concilî e bolle papali del Medioevo contengono formule di anatema accompagnate da lunghe e minuziose maledizioni temporali e spirituali, con citazioni frequenti di passi del famoso Salmo CVIII (Martène, De antiquis ecclesiae ritibus, ediz. Anversa 1746, II, p. 910 segg.). Una delle frasi che ricorre spesso è: habeat partem cum Iuda traditore oppure, come in alcune bolle di papi: cum Iuda traditore in ignem aeternum concremandum deficiat.
Le formule di abiura per gli eretici penitenti contengono regolarmente anatemi contro tutte le eresie in generale e contro l'eresia o errore speciale dell'abiurante. Una formula tipica, poi riprodotta in molti rituali di abiura, è quella per uso dei convertiti dall'eresia pauliciana (Patrol. Graeca, CVI, col. 1333 segg.). In alcune iscrizioni funerarie cristiane troviamo non di rado non solo il costume d'infliggere multe pecuniarie contro i violatori del sepolcro, così comune nelle iscrizioni funerarie pagane, ma anche anatemi nel senso generale di maledizioni (Corp. Inscr. Graecar., IV, 9303). Anche in iscrizioni poste su edifici pubblici e privati si trovano formule di anatema contro i distruttori. In alcune iscrizioni greche di questo tipo i violatori sono minacciati d'incorrere l'"anatema dei 318 Padri", cioè del concilio di Nicea (Corp. Inscr. Graecar., IV, 8704). In molti documenti di carattere legale, come testamenti, donazioni e simili, specialmente fatti a istituzioni sacre, sono anatematizzati spesso con l'anatema di Giuda coloro che osassero contravvenire alle disposizioni dell'atto. Finalmente simili anatemi si trovano alla fine di manoscritti (specialmente siriaci e manoscritti liturgici) sia contro i copisti infedeli, sia, e più spesso, contro i ladri di essi.
Bibl.: A. Vacant, art. Anathème, in Dictionn. de théologie catholique, I, i; T. Ortolan, art. Cènsures ecclésiastiques, ivi, II, ii; Ch. Michel, in Dictionn. d'archéol. chrét. et de liturgie, I, ii, s. v.; Amanieu, in Dictionn. de droit canon., s. v.; Heinrici, in Realencyklop. für protest. Theologie und Kirche, I s. v.