ANASSAGORA ('Αναξαγόρας, Anaxagŏras)
Filosofo greco, nato di nobile stirpe a Clazomene, nell'Asia Minore. La sua vita si estende, all'incirca, fra il 499-8 e il 428-7 a. C.
Nella speculazione precedente alla sua s'era avuta l'opposizione fondamentale tra la fisica ionica, che vedeva le cose tutte affaticate da movimento incessante, e l'immobilità dell'essere voluta dagli eleati, pei quali le cose nel loro movimento sono mere nostre parvenze. Dopo la critica fatta da Melisso ad Empedocle, il quale s'accordava in questo con la scuola ionica, il problema si poneva, perciò, chiaramente: com'è possibile che le molteplici cose, le quali si vedono in continuo cambiamento, siano nondimeno sempre simili a sé stesse?
Anassagora riconosce che le cose si mutano tutte le une nelle altre, onde ogni cosa nasce da ogni cosa; riconosce pure che nulla nasce dal nulla, né perisce nel nulla, e una cosa può aumentare di grandezza solo da una cosa simile ad essa. Ma se questo è vero, egli conclude, deve necessariamente già ogni cosa essere contenuta in ogni cosa. Come sarebbe altrimenti possibile che nascano e crescano i capelli da ciò che non è capelli, e nasca e cresca la carne da ciò che non è carne, nel nostro nutrimento giornaliero, dall'uno e identico pane? (fr. 10 Diels).
Dunque: in ogni cosa vi è una parte di ogni cosa, e a principio tutte le cose erano insieme. E ciò è possibile, perché le cose sono infinitamente piccole, e il piccolissimo non esiste (fr. 3). E se le cose si presentano differenti le une dalle altre, ciò avviene perché quello che in ciascuna cosa è in maggiore quantità, questo è ed era ciascuna cosa nel modo più chiaro" (fr. 12). Nel linguaggio filosofico aristotelico e in quello posteriore le piccolissime parti simili a ogni cosa e da cui tutto si crea sono dette ὁμοιομερῆ o ὁμοιομέρειαι (omeomerie).
Il problema melisseo è, quindi, risoluto: il mutamento delle cose, le une nelle altre, è apparente: in realtà vi è solo la riunione di parti simili e la separazione di parti simili. "Riguardo al nascere e al perire i Greci non hanno una giusta opinione. Nessuna cosa nasce e nessuna cosa perisce, ma ogni cosa si compone insieme da cose già esistenti e da cose già esistenti si scioglie. E così dovrebbero giustamente chiamare il nascere una riunione, il morire una separazione" (fr. 17).
Per la verità della sua intuizione Anassagora aggiunge essere un fatto, che da ogni cosa si vede nascere ogni cosa, e che dal nulla non nasce nulla. Perciò può dedurne: "Stando così le cose è necessario che molteplici cose e di ogni specie siano contenute in tutte le cose" (fr. 4). Solo la debolezza dei nostri sensi non ci lascia vedere queste particelle infinitamente piccole: omeomerie invisibili, dirà Aristotele.
"Da principio, adunque, tutte le cose erano insieme per moltitudine e piccolezza infinite, poiché anche il piccolo era infinito" (fr.1). Di qui seguiva necessariamente la negazione del vuoto. E Anassagora la comprovava con la nota esperienza degli otri. Quindi da principio uno stato di quiete. Donde, perciò, il movimento?
È questa una delle intuizioni più felici di Anassagora. È l'intelletto, il νοῦς, il principio del movimento, il supremo ordinatore del mondo. Siamo, tuttavia, lontani dall'intelletto "pensiero di pensiero" di Aristotele. Questo intelletto è "la più leggiera e la più pura di tutte le cose" (fr. 12). "E quando l'intelletto ebbe dato origine al movimento, allora principiò la separazione delle cose tutte messe in movimento: e quante cose mosse l'intelletto, tante si separarono fra loro; e mosse e separate le cose, la rivoluzione cosmica ne fece anche maggiore la separazione" (fr. 13). "E le rimanenti cose hanno tutte parte di ogni cosa. L'intelletto solo è infinito e ha forza propria, e non è mescolato a nessuna cosa, ma sta solo di per sé stesso" (fr. 12).
Il mondo anassagoreo, nato, così, per opera dell'intelletto dal miscuglio informe originario, ha vita eterna. Ma se non ha luogo una successione infinita di mondi, come voleva principalmente Eraclito, nondimeno, con geniale visione, per Anassagora si formano nell'infinita mescolanza di tutte le cose, contemporaneamente, infiniti mondi.
"E vi si formano gli uomini e gli altri animali che hanno un'anima: e questi uomini possiedono e città abitate e campi coltivati allo stesso modo che presso di noi: e hanno anche il sole e la luna e le rimanenti stelle come presso di noi: e la loro terra produce loro molte cose e d'ogni genere, delle quali essi portano a casa il meglio e vivono di esse" (fr. 4).
In questa fornmazione d'infiniti mondi di cose, le quali tutte "e intendono e hanno piacere e dolore", "la moltitudine di queste cose non è possibile sapere né per mezzo della ragione in precedenza, né dopo per mezzo dell'esperienza".
Una folla di problemi si affaccia, quindi, alla mente dello scienziato rispetto "al mondo sempre giovane dell'immortale natura", e di fronte agli afisici di Elea, come li chiama Aristotele, ben poté Anassagora essere chiamato il fisicissimo, ὁ ϕυσικώτατος: se pure non sfugge anche lui all'amarulentus Timone: "e dicono vi sia stato una volta Anassagora, prode eroe Intelletto".
Bibl.: H. Diels, Fragmente der Vorsokratiker, I, 4ª ed., Berlino 1922; E. Arleth, Die Lehren des Anaxag. vom Geist u. der Seele, in Arch. f. Gesch. d. Phil., VIII (1895), pp. 59-85, 190-205; J. Geffcken, Die ἀσεβεια d. Anaxag., in Hermes, XLII (1907), pp. 127-133; Tannery, La théorie de la matière d'Anaxagore, in Revue philosoph., 1886, pp. 255-271; Dentler, Die Grundprinzipien der Philosophie des Anaxagoras, Monaco 1897; A. Covotti, Il fisicissimo del V secolo a. C., in Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, 1915; id., Un filosofo soprannominato Intelletto, ibidem, 1915.