ANAPESTO
. Anapesto (gr. ἀναπαιστος, dal verbo ἀναπαίειν, ma è incerto in quale senso della parola: forse in quello di "battere, picchiare", dunque nel significato di metro della zuffa) è chiamato un piede ascendente, costituito di due brevi e una lunga, dunque ⌣ ⌣ -́. Ma l'unità ritmica minima è costituita dall'iterazione di questa serie.
versi anapestici. - Per gli anapesti negli antichi canti di marcia spartani cfr. paremiaco ed enoplio. Ritmi anapestici sono frequenti nella tragedia greca, specie nella parodo (v.), quando si annunzia l'arrivo di un personaggio, e nell'exodo (o chiusa). Gli anapesti formano in tali casi sistemi, cioè serie senza responsione. Dopo ogni metro v'è fine di parola (dieresi). Unità maggiori e minori sono contrassegnate, oltre che dallo iato e dalla sillaba ancipite, da clausole paremiache, cioè ogni tanto, e in ogni caso in fine del sistema, a un certo numero di anapesti normali succede un dimetro catalettico della forma ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ -́; per tali paremiaci non vale la regola della dieresi (v. anche paremiaco). In questi sistemi è lecita la contrazione delle due brevi della tesi in un'unica lunga, e inoltre, in caso di tale contrazione. La risoluzione della lunga dell'arsi in due brevi (spondeo - -́ e dattilo - ⌣́ ⌣ battuti contro tempo). Ma non è concesso che nell'interno di un metro (proceleusmatico) o anche a cavalcioni della dieresi, si succedano quattro brevi.
La tragedia, oltre tali anapesti, conosce anche nei commi e nei treni (v.) i cosiddetti anapesti di lamento, caratterizzati dai numerosi spondei e dalla frequenza del paremiaco. Euripide forma con anapesti siffatti persino lunghe arie. Probabilmente essi, diversamente dagli altri anapesti tragici ch'erano recitati con accompagnamento musicale, erano cantati. Anapesti più liberi, che ammettono anche il proceleusmatico, si trovano nell'iporchema di Pratina (v.). E grande libertà nell'uso e nella fattura degli anapesti concedeva, secondo l'antica tradizione, il dramma satirico.
Il prevalere dei vivaci ritmi anapestici è caratteristica dell'antica commedia attica. In essa, oltre i sistemi, hanno parte importante i tetrametri anapestici (forma schematica ⌣ ⌣ -́+ ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ ⌣ ⌣ -́ -́), cioè versi formati dall'unione di un dimetro normale e di un paremiaco, separati per lo più, sebbene non senza qualche eccezione, da dieresi. I tetrametri anapestici costituiscono normalmente il nocciolo centrale della parabasi, di una parte cioè della commedia che ha origine antichissima. Ma scene in tal verso sono frequenti anche fuori di questa parte tradizionale. E anche i sistemi anapestici hanno nella commedia applicazione più estesa che nella tragedia: appunto i tetrametri anapestici della parabasi finiscono per lo più in un sistema che ha il nome particolare di μακρόν o πνῖγος; e normale è che un'altra parte della parabasi, il κομμάτιον, consti anch'essa di un sistema anapestico (v. per tutto ciò parabasi).
Nella letteratura greca posteriore spesseggiano gl'inni in anapesti, che risalgono probabilmente a forme sacrali più antiche, delle quali non ci è rimasta altra traccia. Per una reviviscenza dell'anapesto in tempo imperiale v. specialmente mesomede.
Per anapesti come forme alternanti con dattilo-epitriti e docmî, v. queste voci.
Nel dramma latino arcaico l'anapesto è ancor più adoprato che in quello greco. Esso appare in sistemi e in settenarî (septenarius) e ottonarî (octonarius). Il settenario corrisponde al tetrametro greco, è composto cioè di un dimetro normale e di un paremiaco; l'ottonario di due dimetri (la differenza nella nomenclatura è analoga a quella tra il trimetro e il senario giambico; in latino si prende a fondamento il piede, e non la dipodia). Gli anapesti del dramma latino sono molto più liberi rispetto alla dieresi che quelli greci, e non hanno alcun ritegno nello scioglimento dell'arsi (proceleusmatico). Ma, come avviene nei giambi e nei trochei, la fine del verso è soggetta a una restrizione speciale: se un verso catalettico finisce in parola monosillaba l'ultima tesi non può esser costituita da una lunga. Prosodicamente gli anapesti del dramma latino ammettono la lex iambica (v. giambi) in misura maggiore di ogni altro ritmo.
Seneca ha ancora nell'Apocolocynthosis numerose serie anapestiche, e usa spesso anapesti nelle sue tragedie.
Bibl.: Sui versi anapestici offre ora la migliore orientazione U. Wilamowitz, Griechische Verskunst, Berlino 1921, p. 113 segg., 366 segg. Per l'anapesto in poesia innologica, colà stesso p. 133; per anapesti in età imperiale p. 374.
Per gli anapesti nella letteratura latina, comodo riassunto in F. Vollmer, Römische metrik (= Gercke e Norden, Einleitung in die Altertumswissenschaft, 4ª ed., Lipsia-Berlino 1897, I, 8), § 6. Per Seneca, v. spec. L. Müller, De re metrica poetarum latinorum, 2ª ed., Lipsia 1894, pp. 161, 164 segg., 167 segg., 172; F. Leo, Senecae tragoediae, Berlino 1878, I, 99 segg.