ANAHITA
. Divinità iranica che, associata a Mitra, ebbe culto nell'Asia anteriore, donde esercitò anche qualche influenza sul mondo religioso greco-romano. Nell'Avestā non v'è una vera e propria divinità di questo nome, ma anāhitā nel suo significato originario di "senza macchia" appare in legame aggettivale con Ardvī, la mitica corrente "che è così lunga quanto tutti i fiumi che scorrono sulla terra.... e ha mille insenature, mille diramazioni e ognuna di queste insenature, di queste diramazioni è lunga quaranta giornate di cavallo per un cavaliere che sa ben cavalcare" (Yasht, 5, 3-4). Ardvī surā anāhitā, cioè "la possente, immacolata Ardvī" è il nume delle acque fecondatrici, è invocata dalle partorienti e dalle fanciulle da marito ed è anche una divinità guerriera che avanza su un carro trascinato da quattro cavalli - il vento, la pioggia, la nebbia, la grandine - e dà vittoria ai suoi protetti. Come in non poche altre divinità dello Zoroastrismo e soprattutto in Mitra che con essa è strettamente congiunto, rivivono in Ardvī surā anāhitā elementi del mondo mitologico prezarathustriano rimasti tenacemente attaccati nella memoria del popolo.
Nello Yasht che è ad essa dedicato (Ardvīsur Yasht) la dea è descritta come una nobile e fiorente fanciulla vestita di un manto d'oro e di una pelliccia di ermellino, adorna di un diadema tempestato di gemme, di una collana e altri splendidi gioielli, e ha in mano il rametto sacrificale (baresman). Questa descrizione, così minuta, è certamente fondata sulla conoscenza di un'immagine della dea e ciò si accorda con la notizia (Beroso in Clem. Aless., Protr., 5, 65, 4) che da Artaserse II furono innalzate statue ad Afrodite Anaitis in Babilonia, Susa ed Ecbatana e ne fu portato il culto sino a Damasco e a Sardi; notizia assai attendibile, giacché la dea, col solo nome di Anahita, è invocata insieme con Ahura Mazda e Mitra nell'iscrizione di Susa dello stesso Artaserse II (404-359).
Nel rilievo sempre maggiore che assume la figura di Anahita insieme con quella di Mitra nello sviluppo dello Zoroastrismo, è certamente da riconoscere la suggestione di divinità assire alle quali essa per qualche tratto veniva a riaccostarsi; probabilmente Ishtar anch'essa dea della fecondità, o forse ‛Anat, come si vuole da altri, per l'affinità del nome. Erodoto (I, 131) ci informa che "i Persiani appresero dagli Assiri a sacrificare alla celeste Afrodite, da essi chiamata Mitra" (dove Mitra è evidente errore per Anahita). Certo dagli Assiri, oltre a ciò, devono derivare le figurazioni antropomorfe della dea (v. sopra), le quali sono in contrasto con il rituale della religione mazdaica.
Per quanto in misura assai minore di Mitra, ebbe tuttavia Anahita notevole fortuna fuori del mondo iranico. In Armenia erano ad essa consacrati molti tempî fra i quali particolarmente rinomato il santuario di Erez nell'Acisilene dove si trovava la splendida statua d'oro, che secondo la notizia di Plinio (XXIII, 4, [24] 92) fu asportata durante la guerra partica di Antonio. Culto essa ebbe inoltre nel Ponto, nella Cappadocia e nella Cilicia (dove venne identificata con la divinità autoctona Mā) e particolarmente nella Lidia, dove venne assimilata alla Gran Madre. I Greci l'identificarono ora con Afrodite ora con Artemide, a seconda che ne considerarono la potenza fecondatrice o le qualità guerriere. I Romani la conobbero assimilata alla Gran Madre. Come si rileva dai monumenti, essa ebbe parte nei misteri mitriaci quando, verso la fine del primo secolo della nostra era, essi si diffusero in Occidente.
Bibl.: E. Meyer, in Roscher, Ausf. Lexicon d. griech. u. röm. Mythologie, I, col. 330 segg.; Fr. Cumont, in Hastings, Ecyclopaedia of Religion and Ethics, I, p. 414 seg.; C. Clemen, Die griech. u. lat. Nachrichten über die persische Religion, Giessen 1920, passim; R. Pettazzoni, La religione di Zarathustra, Bologna 1921, passim.