ANAGRAMMA (dal gr. ἀνά "all'insù, all'indietro, all'inverso" e γράμμα "lettera, scritto")
Permutazione delle lettere componenti una parola o una frase in modo da ottenerne altre parole o frasi di significato, naturalmente, diverso. L'anagramma ha origini antichissime: se ne attribuisce la paternità a Licofrone da Calcide, uno dei sette che formarono la Pleiade poetica sotto il regno di Tolomeo Filadelfo (circa nel 280 a. C.). Egli dal nome del re (Πτολεμαῖος) ricavò una combinazione allusiva alla di lui dolcezza: ἀπὸ μέλιτος ("di miele") e dal nome della regina ('Αρσινόη) trasse: "Ηρας ἵον ("violetta di Giunone"). Alla domanda che Pilato rivolge a Gesù Cristo: quid est veritas? (Giov., XVIII, 38), fu, assai tardi, con bella frase anagrammata, creata la risposta: est vir qui adest. Dei quattro metodi inventati dai cabalisti ebrei per penetrare i segreti, che dicevano contenuti nell'Antico Testamento, il quarto, che chiamavano themura ("cambiamento"), non era che l'arte di comporre anagrammi per trarre profezie da nomi, di persone o di fatti contemporanei. Esempî di anagrammi non mancano nella Bibbia e abbondano nei classici greci e latini.
Nei secoli XV e XVI, specialmente in Francia, introdottovi da G. Dorat, l'anagramma fu molto in voga. Basterà ricordare che un certo Tommaso Billon ebbe dal re Luigi XIII (al quale aveva presentati cinquecento anagrammi sul suo nome) la carica di "regio anagrammatista" con la pensione annua di 1200 lire da continuarsi ai figli dopo la sua morte. È della metà del sec. XVI questa bella frase anagrammata: divus Marcus evangelista - sum vigil ad venetas curas. Da Borbonius, nome della casa regnante di Francia, fu tratto: orbi bonus; da frère Jacques Clément, il fanatico assassino di Enrico III, si ricavò: c'est l'enfer qui m'a crée. Nota è la famosa predizione: revolution franåaise, un corse voté la finira. Dal nome della dolce e infelice amante di Carlo IX, Marie Touchet, si fece il gentile anagramma: je charme tout.
Curioso esempio della suggestione prodotta dall'anagramma nel senso di oracolo, è il caso di Andrea Rudiger, celebre medico di Lipsia, del quale si racconta che entrando in collegio volle fare l'anagramma del suo nome latino Andreas Rudigierus e gliene risultò: arare rus Dei dignus. Ne dedusse che la sua vocazione doveva essere per lo stato ecclesiastico e si diede a studiar teologia. Se non che, di lì a poco, fatto precettore dei figli del celebre Thomas, questi lo consigliò di riprendere gli studî di medicina pei quali aveva tanta inclinazione: Rudiger non voleva saperne perché considerava l'anagramma del suo nome come un'ispirazione divina. Thomas meditò alquanto e poi rispose: È appunto l'anagramma del nome vostro che vi chiama alla medicina: rus Dei non è forse il camposanto? E chi lo lavora meglio dei medici? Rudiger non seppe resistere alla forza dell'argomento e divenne celebre dottore.
Non solo molti degli arcadi firmavano con pseudonimi anagrammatici, ma letterati ed artisti di ogni tempo assunsero talvolta come pseudonimo l'anagramma del loro nome: p. es. Felice Cavallotti (Falco Attavicelli), Salvatore Farina (Aristofane Larva), Renato Fucini (Neri Tanfucio), Salustri (Trilussa), Arrigo Boito (Tobia Gorrio), Luigi Federzoni (Giulio de' Frenzi), ecc.
Semplicemente a titolo di curiosità storica è da ricordare che furono già in voga anche gli anagrammi numerici, ora completamente abbandonati. Assegnato un certo valore numerico a ciascuna lettera dell'alfabeto (e precisamente: A 1, B 2, C 3, D 4, E 5, F 6, G 7, H 8, I 9, K 10, L 20, M 30, N 40, O 50, P 60, Q 70, R 80, S 90, T 100, U e V (una volta erano una sola lettera) 200, X 300, Z 400) si formava l'anagramma numerico di una parola (o di una frase) trovando altra parola o frase i valori numerici delle cui lettere, addizionati insieme, dessero la stessa somma che risultava dall'addizione dei valori numerici delle lettere formanti la parola (o frase) data. Le parole o frasi degli anagrammi numerici erano differenti dunque per senso, e anche, in generale, per numero di lettere. Esempio: paese è l'anagramma numerico di Roma (somma comune 161).
L'anagramma, modernamente considerato, è uno dei più interessanti giuochi enimmistici (v. enimmistica). La forma più comune dell'anagramma si ha quando due o più parole risultano composte delle medesime lettere diversamente combinate, come: guardia, rugiada; cinematografi, magnificatore; travaglio, volgarità, giravolta, vagliator. Tale è l'anagramma semplice. Quando da una parola si ricava, anagrammando, non un altro vocabolo ma una frase, si ha l'anagramma a frase, come: bibliotecario, beato coi libri; misericordia, ricami di rose. Se da un vocabolo si derivano più frasi, il giuoco vien detto anagramma a frasi. Così: calendario, l'ora di cena, l'arca dî Noè; Tripolitania, i porti natali, rapiti in alto, ecc. Si ha infine la frase anagrammata quando dalle stesse lettere di una frase si ricavano una o più frasi diverse: nota satirica, storia antica; il mese mariano, salmi e armonie; mangiare del riso, il magro desinare, si dorme in galera. Questi sono anagrammi puri. Ma vi sono altre forme derivate dall'anagramma, ed eccone le principali:
1. L'anagramma diviso, che consiste nel formare con le lettere di una parola due o più parole che non abbiano tra loro un legame per costituire una frase, ma siano indipendenti, anzi, preferibilmente, fra loro in contrasto di significato, oppure abbiano qualche correlazione o col soggetto rappresentato dalla parola madre o fra di loro. Esempi: veliero = vil + eroe; perlustratore = pusterla + torre; ordinamento = donne + marito.
2. L'anagramma a cambio successivo di tutte le cinque vocali, detto anche metanagramma, che appare chiaro da un esempio: rinAscita, sincErità, crIstiani, trasciniO, rUsticani.
3. Lo scarto anagrammato, che consiste nel togliere una lettera da una parola e anagrammare le rimanenti: bersaglio, girasole (venne scartata la B). Ma non è giuoco pregevole, in quanto rappresenta un anagramma non riuscito.
4. La parola decrescente anagrammata, che consiste nel togliere una lettera dalla parola principale anagrammando le rimanenti, togliere alla combinazione così ottenuta una nuova lettera anagrammando ancora le altre, e così di seguito fino ad ottenere un numero di combinazioni uguale al numero delle lettere della parola base (miracolo, oracoli, colori, licor, orci, rio, io, o); così vi è il giuoco inverso, la parola crescente anagrammata (e, re, ore, pero, spero, sapore, pastore, pesatori).
Sono da preferire però, e incontrano oggi il miglior favore nell'enimmistica moderna, soltanto le due forme tipiche e perfette: l'anagramma semplice e la frase anagrammata. Fra gli anagrammi semplici hanno naturalmente maggior pregio quelli composti su parole lunghe e molto dissimili fra loro, come: strategia, sigaretta; copricapo, approccio; cattolicismo, motociclista; giornalista, singolarità, ecc. È evidente che la difficoltà di comporre un anagramma cresce con la lunghezza della parola. Gli anagrammi più lunghi che si conoscano finora sono: silentissimamente, sentimentalissime (17 lettere); iperconstellazioni, interposizioncella e ipercontaminatrice, incartapecorimenti (18 lettere). Questi tre esempî, non esenti da qualche stiracchiatura, vennero bensì superati da varî recenti tentativi di anagrammi più lunghi, ma basati su parole troppo composte e contorte. Si conoscono invece alcune buone combinazioni di 14 lettere, p. esempio stiracchiatore, aristocratiche; di 15: parlamentatrice, patriarcalmente, e di 16: abborracciamenti, riabbracciamento.
Tra le frasi anagrammate si hanno degli esempî magnifici: Stefano protomartire, santo morto fra pietre; Girolamo Savonarola, saliva al rogo romano. Di Vittorio Emanuele secondo fu detto: Roma ti vuole e Dio consente, e un avversario rispose: né Dio né Roma te vuole costì. Su le parole la Domenica del Corriere, nel primo numero di quel periodico, l'ing. Lodi vinse il concorso degli anagrammi con una versione indovinatissima: l'ore amare ci rende dolci; e due anni dopo (1901), in morte di Verdi, per un concorso nello stesso giornale sulle parole maestro Giuseppe Verdi fu ancora sua la vittoria con la magnifica frase: di vigor perpetua messe. L'Eberspacher tradusse il motivo musicale: udrai nel mar che mormora l'eco de' miei lamenti così: rime di amore che tenne la Lucia di Lammermoor. Quando Trieste non era ancora italiana, un gruppo enimmistico di quella città avevam assunto come motto: regno dell'ambiguo che equivaleva a Guglielmo Oberdan.
In questi ultimi tempi vennero presentate sui periodici enimmistici italiani, svolte ad enimmi in geniali componimenti in versi dai rispettivi autori, che si indicano a fianco di ciascuna di esse, queste frasi anagrammate che si potrebbero chiamare capolavori del genere: l'al di là misterioso, assillo dei mortali (C. Strazza); il bianco, il rosso, il verde - i brani de l'eroico vessillo (A. Campogrande); il Cireneo scortava - la Veronica e Cristo (S. Spadacci); l'eroica lotta del Piave - è la vittoria dell'epoca (id.); sì, meglio la morte - se mi togli l'amore (id.); il vero soldato de l'Italia - lieto solo di darle la vita (avv. B. Foschini); Benito Mussolini - nobilis is ut nemo (id.).