ANAFORA (gr. ἀναϕορά, da ἀναϕέρειν "offrire sollevando in alto l'offerta")
Nel linguaggio ecclesiastico delle chiese orientali, anafora venne a significare la parte centrale della Messa, dal Prefazio alla Comunione e al rendimento di grazie, corrispondente perciò esattamente al Canone della liturgia romana. Nelle varie liturgie orientali si trova un largo numero di anafore (se ne conoscono più di un centinaio), mentre nella liturgia occidentale oltre al Canone romano non si è conservata memoria che di un Canone gallicano, di uno mozarabico, di uno ambrosiano e forse di uno ravennate. Gli elementi caratteristici dell'anafora, cioè il Prefazio, ossia preghiera eucaristica sulle oblazioni, il racconto dell'ultima Cena, le invocazioni, il Pater noster, la fractio panis e la Comunione col finale rendimento di grazie, si trovano ugualmente in tutte le anafore e costituiscono il fondo comune e primitivo della celebrazione eucaristica. Essi risalgono senza dubbio ai primi secoli dello svolgimento liturgico. La differenza tra le varie anafore è quindi semplicemente differenza di forme e di ordine nelle preghiere, ma non di sostanza.
Secondo le conclusioni degli studî storico-liturgici recenti, tutte le anafore conosciute si possono ridurre più o meno a due tipi fondamentali. Al siro (di Gerusalemme o di Antiochia) apparterrebbero i gruppi di anafore delle Costituzioni apostoliche, della liturgia siriaca e di quella greca di S. Giacomo, delle liturgie nestoriane, delle liturgie di S. Basilio e di S. Giovanni Crisostomo della chiesa bizantina e delle chiese derivate da essa, e, secondo mons. Duchesne, anche quelle della liturgia gallicana. Il secondo tipo è l'alessandrino, di cui la forma più antica conosciuta sarebbe rappresentata dall'anafora di Serapione di Tmuis (sec. IV) trovata alcuni anni fa (v. Wobbermin, in Texte u. Untersuchungen, XVII, Lipsia 1899 e Brightman in Journal of Theol. Studies, 1900) ed a cui somiglia anche l'anafora del Testamentum Dom. Nostri Jesu Christi (pubblicato da Ephrem Rahmani nel 1899). A questo tipo apparterrebbero le anafore della liturgia greca di San Marco, delle varie liturgie copte ed abissine e, secondo il Duchesne, anche l'anafora del Canone romano. Gli studî dei moderni liturgiologi sulle anafore hanno gettato molta luce sull'intiero sviluppo storico della liturgia cristiana. La molteplicità delle anafore nelle liturgie orientali si spiega col fatto della molteplicità di chiese e di sette in cui venne a dividersi il cristianesimo orientale, mentre in Occidente la divisione dei riti si ridusse a sei o sette circoscrizioni ecclesiastiche, in cui, per di più, il Canone romano esercitò prima o dopo una notevole influenza. Ma d'altra parte, come osserva acutamente il Cabrol, questa differenza è più apparente che reale, poiché anche in Occidente abbiamo in fondo una larga messe di anafore. Nelle chiese orientali un'anafora formava un insieme di preghiere e di formule fisse ed immutabili da usarsi tale qual'era senza alterazioni o sostituzioni; quando perciò se ne sentiva il bisogno per commemorazioni o festività speciali si componevano nuove anafore sullo stesso tipo ma con preghiere ed invocazioni diverse nella fraseologia, da usarsi per tali occasioni. In occidente invece si vennero a distinguere nel Canone due parti: una fissa ed invariabile, l'altra variabile. E così si composero centinaia di Prefazî, e di preghiere (Communicantes, Ouam oblationem, Communio e Post-communio) adatte a tutte le occasioni e festività. Soltanta col prevalere della liturgia romana in tutto l'Occidente e con la riforma del Messale condotta a termine dopo il concilio di Trento, il numero delle sostituzioni fu ridotto e si stabilirono delle regole generali su questo punto.
Per la questione dell'invocazione dello Spirito Santo nell'anafora v. epiclesi; e, in generale, v. eucarestia, liturgia, canone della Messa, ecc.
Bibl.: Testi e traduzioni di anafore in Renaudot, Liturgiarum orientalium collectio, 2ª ed., Francoforte s. M. 1847; J. A. Assemani, Codex liturgicus, Roma 1754; F. E. Brightman, Liturgies Eastern and Western, Oxford 1896; v. anche: W. E. Crum, Coptic Ostraca, Londra 1902; A. Baumstark, in Oriens christianus, 1902, pp. 90-129; H. Fuchs, Die Anaphora des monophysitischen Patriarchen, etc., Monaco 1926; F. Cabrol, art. Anaphora, in Dictionnaire de liturgie et d'archéologie chrétienne, I, col. 1898 segg. Tra gli studî speciali, D. P. Cagin, L'Anaphore apostolique et ses témoins, Parigi 1919, in cui si vuole provare che la forma più antica dell'anafora risalente ai tempi apostolici è rappresentata dalla versione latina degli Statuta Apostolica del palinsesto di Verona.