CATELANI, Anacleto
Nacque da famiglia patrizia a Livorno intorno al 1652. Apprese nella città natale i primi rudimenti della grammatica e della retorica. Nel 1671 decise di abbracciare lo stato ecclesiastico e divenne barnabita. Studiava nelle scuole di S. Paolo in Bologna nel 1674; dopodiché, terminati gli studi di teologia e di eloquenza, fu destinato dall'Ordine alla predicazione. Per quel che riguarda le sue cariche ufficiali, che non furono mai molto impegnative e non equivalsero alla notorietà che il C. raggiunse come oratore sacro, sappiamo che nel 1686 partecipò al capitolo generale che si teneva in quell'anno a Milano in qualità di proposto di Pescia e venne in quell'occasione eletto socio del cancelliere del capitolo Onorio Bassetta; fu successivamente incaricato di accompagnare il neoeletto generale dell'Ordine Maurizio Giribaldi da Bologna a Milano: in questa circostanza il titolo ufficiale che gli assegnò il capitolo fu quello di visitatore generale; nel capitolo del 1689 fu deputato sopra gli atti dei collegi e nel 1692 fu addetto alla casa di Pisa. A tali viaggi, frequenti per le esigenze dell'Ordine, si aggiunsero quelli connessi all'attività di predicatore: cosicché la sua presenza è variamente documentata a Lucca, Cortona, Venezia e Vienna, ove il C. tenne cicli di prediche in occasione delle maggiori feste religiose dell'anno.
Predicatore celebre e trattatista esperto di problemi morali, il C. trascorse una vecchiaia laboriosa affrontando per l'Ordine ampi problemi di casistica spirituale. Si spense a Livorno il 7 ott. 1715, e fu sepolto nella chiesa cittadina di S. Sebastiano.
La produzione del C. tocca quasi tutti i terni che la predicazione dell'ultimo Seicento aveva ereditato dalla più fiorente tradizione barocca. Occasionale e improntata a un canone stilistico che appare ancora fortemente condizionato da norme scolastiche è la prima opera del C. che ci è pervenuta a stampa: Concerto e concordia spirituale sotto la protezionedellaB. Vergineper benefizio dell'anime ad effetto di rinnovare una divozione promossa in Pisa nel 1630 dal P. D. Bartolomeo Gavanti (Lucca 1685), ma la seconda e più impegnativa opera che il barnabita dette alle stampe è già significativa del gusto barocco, cui il C. si affida ravvivando con una accesa immaginazione il consueto repertorio di metafore e di giochi verbali. Si tratta dei Panegirici del padre D. A. Catelani Barnabita, "dedicati all'Illustriss. e Reverendiss. Signore Monsignor Luigi Prioli Auditore della Sacra Rota Romana per la Serenissima Repubblica di Venezia" (Roma 1689), di cui informava in tono elogiativo il Giornale dei letterati di Parma dello stesso anno (p. 269).
Tali tendenze comuni alla più accesa retorica barocca si accentuano nella successiva opera del livornese: Prediche dell'Avvento e panegirici "dedicati al Serenissimo Principe Ferdinando di Toscana" (Roma 1690), che costituiscono la sintesi più attendibile che il C. abbia voluto consegnare di sé come predicatore. I panegirici sono sei: stimmate di s. Francesco; Sindone; la corona civica, per intimare la visita del vescovo nella diocesi di Foligno; problemi: se la natura nella morte di Cristo si mostrasse più addolorata col muoversi della terra e lo spezzarsi dei sassi o con l'oscurarsi del Sole; principato; il santo nuovo. L'argomento del quinto panegirico fu ripreso, ampliato, e dato alle stampe in forma autonoma dal C. sotto il titolo: Il Principato sinonimo di servitù o la servitù gloria del principato. Discorso sacro politico... detto ...all'Eccellentiss. Senato della Repubblica di Lucca, nel primo Sabbato di Quaresima, "all'Eccellentiss. Senato di Lucca l'anno MDCXCL" (Lucca 1691).
Durante il soggiorno a Vienna il C. dette alle stampe un esercizio spirituale dal titolo: Il ritiramento dell'anima in se stessa per gli affari dell'eternità. Esercizio di devozione per li Confratelli della Congregazione della Divina Grazia nella Cesarea Parrocchia di S. Michele deiPP. Barnabiti consagrata alla S. C. R. Maestà di Leopoldo I (Vienna 1695), nonché un estratto del medesimo argomento, Della Divina Grazia (stesso luogo e anno), su cui tenne il suo ciclo di prediche a Vienna.
Ritornato in Italia, il barnabita pubblicò Il risarcimento dei danni patiti sul Calvario da Cristo nell'onore, e dal giorno nella luce. Fatto in Pescia nella solenne processione del Santissimo Crocifisso la sera del Giovedi Santo, "dedicato all'Illustrissimo Signor Barone Raffaello Torrigiani Cameriere segreto del Serenissimo Principe Ferdinando di Toscana" (Lucca 1702), cui fece seguito un nuovo esercizio spirituale: Sentimenti di un'anima peccatrice la quale desidera che Iddio glieli muti inaffetti da penitente per averli e su la lingua e nel cuore in vita et in morte, "dedicati all'A. R. di Cosimo III Gran Duca di Toscana" (Lucca 1706).
Nel 1707 vedeva la luce un discorso politico atteggiato al consueto moralismo dei predicatori: L'impiego della nobiltà (Lucca 1707), cui seguì l'opuscolo Il dolore plausibile nella maestà della sua cagione nei funerali fatti celebrare dalla Reale Nazione Francese abitante in Livorno all'augusta memoria di S.A.R. Luigi Delfino di Francia, Lucca 1711. Nello stesso anno il C. compilò una sorta di sommario storico ad uso dell'Ordine: Ristretto dell'origine e progresso dell'Impero Romano, e della potestà degli Elettori del S.R.I., Lucca 1711. Si tratta di un esile excursus il cuifine consiste nel constatare la progressiva perfezione dell'autorità politica condizionata dalla vigilanza del potere spirituale, e la cui convenzionalità si affida ad esempi che possono riscontrarsi nel solco della trattatistica controriformista. La stringatezza e l'esplicita moralità del sommario gli valsero una ristampa a Milano nel 1741. F. Fontana attribuì infine al C. un'opera che si direbbe un sommario ad uso della predicazione: Dell'ape ingegnosa, evangelica, morale ed erudita. Alveare primo (1713), Alveare secondo, terzo e quarto (1714).
Come altri predicatori il C. si mantiene lungamente fedele ad un sistema stilistico che punta sulla sorpresa dell'ascoltatore, sulla brillantezza del ritrovato verbale e dell'immagine concettosa. Non a caso l'ultima parte della produzione del C., che è quella che coincide con la crisi della retorica barocca, fu consacrata dal religioso livornese ad opere che vollero trascendere l'impegno immediato dell'ascolto, fossero ispirate a riflessioni in materia di esercizio spirituale, a considerazioni di ordine politico, o fossero dettate dall'ambizione di tracciare un disegno storico, in cui tuttavia troppo evidente e pressante si rende il fine della moralità controriformista.
Bibl.: Roma, Arch. di S. Carlo a' Catinari: F. Fontana, Notizie degli scritti e della vita degli scrittori barnabiti, I, p. 26; II, p. 173; III, p. 176; F. Pera, Ricordie biografie livornesi, Livorno1867, p. 182; Id., Nuove curiosità livornesi, Firenze 1899, p. 484; G. Boffito, Scrittori barnabiti, I, Firenze 1933, pp. 436 ss.