AMPUTAZIONE (dal lat. ampŭto "taglio via"; fr. amputation; sp. amputación; ted. Amputation, Abschneiden; ingl. amputation)
Parola che si usa per significare l'operazione chirurgica con cui s'intende togliere dal corpo un arto o un segmento di arto. Essa serve anche per indicare l'asportazione chirurgica di altre parti del corpo che non siano gli arti, quali la mammella, il naso, il pene, la porzione vaginale dell'utero. L'amputazione può anche non essere chirurgica: amputazione spontanea, traumatica, congenita. Quando si dice amputazione, è sottinteso che la demolizione avvenga nella continuità della parte, non nella contiguità, cioè nelle articolazioni, ché allora si dice disarticolazione (v.). Conseguenza dell'amputazione o della disarticolazione è la mutilazione.
Cenno storico. - A dignità di ordinata operazione chirurgica l'amputazione è assurta solo dopo che si apprese a dominare o prevenire, con la legatura dei vasi, l'emorragia. Prima essa non era che complemento di un fenomeno naturale, la spontanea eliminazione di un segmento corporeo caduto in cancrena. Per prevenire o vincere l'emorragia, prima che, sull'esempio dei chirurgi dell'antichità (Galeno, Archigene, Celso), anatomici e chirurgi del Rinascimento (Giovanni da Vigo, Gabriele Falloppia, Ambrogio Pareo, Fabrizio da Hilden) insegnassero a legare i vasi sanguigni, i chirurgi o dovevano accontentarsi di tagliare su tessuti non vivi e perciò non sanguinanti, o limitarsi a provocare artificialmente la cancrena con una stretta legatura che impedisse la nutrizione dell'arto (Guido di Chauliac, 1325-68), o a far uso di ferri roventi, detti cauterî, o di coltelli incandescenti, come insegnarono gli Arabi, che, bruciando la carne viva, producevano il coagularsi o raggrumarsi del sangue e quindi il cessare dell'emorragia. Ma con così poveri mezzi operazioni quali l'amputazione, capaci di produrre ingenti perdite di sangue, si praticavano di rado e bene spesso riuscivano mortali. A prevenire il pericolo della perdita di sangue, oltre la legatura dei vasi, contribuì l'uso di quella che oggi si dice emostasi preventiva, la quale si ottiene sia con la compressione del vaso o dei vasi più importanti dell'arto, a monte dell'amputazione, per mezzo del dito di un assistente, sia facendo uso di un cuscinetto compressore o di un laccio fortemente stretto attorno alla radice dell'arto (tourniquet o torcolare di Morel, 1674; cuscinetto a pressione di J. L. Petit, 1674-1750; laccio elastico del vicentino Grandesso-Silvestri, 1862 e 1875; o di Esmarch, 1874).
Col bolognese Bartolomeo Maggi (1516-52), celebre per un suo scritto sulle ferite da arma da fuoco, i chirurgi cominciarono a prendere in maggior considerazione il problema della forma e della funzione del moncone, problema sino allora mal risolto dalla cosiddetta amputazione piana o perpendicolare o alla Celso, che produceva monconi conici, dolorosi e perciò inutilizzabili. Il Maggi, riprendendo i suggerimenti di Galeno e di Celso e sull'esempio dei carnefici veneti, eseguì l'amputazione a lembo circolare, seguita poi, nel tempo, dalle amputazioni a lembi obliqui o doppî, metodi questi che ebbero dapprima il fine precipuo di cooperare all'emostasi, poi di rivestire l'apice del moncone di un soffice cuscino di parti molli, ricoperto alla sua volta da uno strato di pelle sana. A questo stesso fine, seppur per diversa via, mirava un altro perfezionamento nella tecnica operatoria, la cosiddetta amputazione nel luogo di elezione, cioè quella eseguita nella regione dell'arto più adatta e produrre le migliori condizioni per l'uso dell'arto artificiale. Ma dovevano trascorrere ancora molti anni prima che l'amputazione divenisse operazione corrente. Dominare l'emorragia non bastava; il trauma operatorio e, soprattutto, l'infezione della ferita uccidevano gli amputati in tal proporzione, che molte e autorevoli voci (Boucher, 1750; Faure, 1756 e sopra tutti Bilguer, 1761) si levarono a protestare contro l'eccessivo diffondersi dell'amputazione. Bisogna giungere al sec. XIX, cioè alle scoperte dell'anestesia, dell'antisepsi e dell'asepsi, per vedere progressivamente diminuiti i rischi dell'operazione e raggiunti perfezionamenti invano sperati dagli antichi chirurgi.
Criterî e metodi moderni. - L'amputazione, come oggi si concepisce, non è più un intervento fine a sé stesso, ma l'operazione che, nell'atto in cui demolisce, prepara le condizioni più favorevoli alla sostituzione; in altri termini, non l'amputazione per l'amputazione, ma l'amputazione per la protesi. Così nelle amputazioni dell'arto inferiore ci si propone l'appoggio terminale, si vuole, cioè, che l'estremità stessa del moncone, non la sua sola periferia, sia in grado di poggiare sulla protesi, trasmettendo a questa, direttamente, parte del peso del corpo. Ma per ottener ciò non basta che l'estremità del moncone sia bene imbottita; necessita che l'apice del suo scheletro sia liscio, smussato e chiuso da una solida e continua parete ossea. S'immagina a tal fine l'amputazione osteoplastica (figli) per effetto della quale l'estremità scheletrica vien rivestita da un lembo di osso e periostio mobilizzato dalle parti più prossime. Da ultimo, e non son più di trent'anni, nella mente geniale di un italiano, Giuliano Vanghetti da Empoli, sorge l'idea, mai prima concepita, di rendere ancor più intima la simbiosi fra mutilato e arto artificiale e più completa l'utilizzazione funzionale del moncone, ottenendo una diretta trasmissione delle energie motorie del moncone alla protesi. Il che è oggi possibile raggiungere, ricorrendo a quella che il Vanghetti ha chiamato amputazione cinematica, operazione che risolve il problema, creando i motori plastici, appendici, cioè, di varia foggia e numero, o anelli e canali rivestiti di cute, animati dai muscoli del moncone, che servono di presa a tiranti o lacci, attraverso i quali la contrazione muscolare volontaria viene trasmessa all'arto artificiale.
Indicazioni. - I progressi della terapia medico-chirurgica e un più elevato rispetto dell'economia de valori fisici individuali hanno ristretto i confini dell'intervento demolitore. Le tre indicazioni fondamentali dell'amputazione, cioè: a) processi patologici, b) traumi e ferite, c) deformità, conservano l'importanza teorica che hanno sempre avuta; ma in pratica l'occasione all'amputazione è divenuta meno frequente, perché si è oggi in grado di vincere, conservando l'arto, condizioni morbose che per l'addietro non si sapevano dominare che sopprimendolo. Nella cura dei processi infiammatori acuti, la sieroterapia, la terapia medicamentosa, l'intervento chirurgico precoce costituiscono altrettanti validi fattori di conservazione, così come l'immobilizzazione, la climato-terapia, l'attinoterapia, la resezione articolare hanno quasi eliminata l'amputazione nel trattamento della tubercolosi degli arti. Nel campo dei processi cancrenosi derivanti da malattie costituzionali o discrasiche, l'amputazione rappresenta ancora una ultima ratio cui spesso è necessario ricorrere, ma la terapia specifica (iodio, mercurio, arsenobenzoli nella sifilide, insulina nel diabete), le operazioni sul simpatico, la fisioterapia (termoterapia) collaborano per lo meno a ritardare l'intervento e a limitarne l'estensione. Nella cura delle neoplasie l'amputazione non ha perduto l'importanza che le è sempre stata riconosciuta, ma le sue indicazioni si sono ristrette, grazie ai progressi diagnostici e grazie anche ai non trascurabili risultati della radio- e della röntgenterapia. Nel campo dei traumi i notevolissimi progressi compiuti dalla chirurgia conservatrice e ricostruttrice hanno anche limitato le indicazioni all'amputazione, la quale invece conserva un posto dominante fra gl'interventi della chirurgia di guerra. Infine, nella cura delle deformità, l'amputazione ha ragione d'esistere nei soli casi, e non certo frequenti, in cui un arto o segmento di arto, per deformazioni congenite o acquisite, è divenuto imbarazzante o dannoso.
Metodi d'amputazione. - Amputazione piana o perpendicolare o alla Celso è detta un'amputazione circolare, senza lembo, che oggi più non si eseguisce se non, talvolta, come primo tempo dell'amputamone circolare a lembo. In quest'ultima la cicatrice è terminale. L'amputazione ovalare o ellittica, a lembo unico o a due lembi, dà una cicatrice laterale, mentre l'amputazione a racchetta dà una cicatrice termino-laterale, e quella a due lembi eguali dà una cicatrice termino-bilaterale (fig. 2).
Amputazione. - L'operazione è eseguita in anestesia, che a seconda dei casi sarà generale, midollare, tronculare o locale (v. anestesia), e in emostasi preventiva (laccio emostatico alla radice dell'arto; v. emostasi); e in condizioni di perfetta asepsi (v. asepsi). Lo strumentario per l'operazione è costituito da uno o più coltelli, detti anche bisturi (un tempo si usavano lunghi coltelli ad uno o due taglienti, detti amputanti) che servono per tagliare le parti molli; di una sega per tagliare l'osso o le ossa; di una pinza, detta ossivora, che serve a regolarizzare, se necessario, le superficie di sezione delle ossa; di pinze, dette emostatiche, che si usano per chiudere temporaneamente i vasi; di retrattori per allontanare le parti molli mentre si seziona l'osso; di forbici di varía foggia. L'operazione consta di tre tempi: a) amputazione propriamente detta, b) emostasi, c) sutura.
a) Scegliendo l'esempio di un'amputazione di coscia a lembo circolare, col bisturi s'incidono circolarmente gl'integumenti superficiali (cute, tessuto cellulare grasso sottocutaneo, aponeurosi). Mentre un assistente stira prossimalmente, cioè all'insù, l'involucro cutaneo, s'incidono, in un piano più prossimale di quello della cute, le masse muscolari, i nervi, i vasi, sino a raggiungere l'osso. Con uno o più retrattori anche le masse muscolari sono stirate prossimalmente, così da permettere che l'osso possa venire segato in un piano anche più prossimale di quello delle parti molli. Si ottiene così che l'osso si trovi all'apice di un cono che ha per base il margine d'incisione della cute. In tal modo l'estremità ossea del moncone potrà essere poi ricoperta di un ricco cuscino di parti molli (fig. 3).
b) Emostasi. - Compiuta l'amputazione, si passa all'emostasi, cioè alla legatura con filo (che generalmente è di materiale organico riassorbibile: catgut) dei vasi sezionati, i quali durante l'amputazione non dànno sangue, grazie al laccio emostatico che, come s'è detto, è stato preventivamente stretto attorno alla radice dell'arto. Legati i vasi, si asporta un tratto dei tronchi nervosi che affiorano dalla superficie di sezione (ad evitare i dolori che provocherebbero, se impigliati nella cicatrice) e si regolarizzano i margini ossei e le superficie muscolari. A questo punto si fa togliere il laccio emostatico per esser certi che nessun vaso sia sfuggito alla legatura, assicurandosi così di una perfetta emostasi.
c) Sutura. - Con punti di catgut si affrontano e si congiungono fra loro successivamente i varî piani delle parti molli (muscoli, aponeurosi), e da ultimo, con filo di materiale non riassorbibile (seta, crine di cavallo), o con grappette metalliche, si chiude la ferita cutanea. Se è necessario, la ferita sarà drenata, cioè mantenuta parzialmente aperta da uno o più tubi di gomma, o con liste di garza che permettono lo scolo dei liquidi impuri. Il moncone vien quindi ricoperto con un bendaggio asettico leggermente compressivo, di garza e cotone tenuto a posto con fasce di garza e strisce di cerotto adesivo.
Cure postoperative. - Il moncone dovrà essere tenuto per qualche giorno leggermente elevato, al coperto di traumi o raffreddamenti. Se la guarigione avviene per prima intenzione, in capo ad una diecina di giorni i punti di sutura saranno tolti, e potranno così iniziarsi le cure (massaggio, esercizî di movimento, ecc.) necessarie a rendere in breve tempo il moncone capace di tollerare l'applicazione dell'arto artificiale provvisorio.
Complicazioni. - La più temibile è la cosiddetta emorragia secondaria, che può prodursi a qualche ora o giorno dall'intervento, o in conseguenza di abnormi condizioni del sistema vasale del malato, o in causa di un'imperfetta emostasi. Come ogni ferita operatoria, anche quella dell'amputazione può divenir sede di una infezione secondaria, che obbliga alla parziale o totale riapertura della ferita stessa. Il moncone può divenire doloroso a causa delle aderenze che la cicatrice operatoria prende coi tessuti sottostanti e più specialmente coi nervi, all'estremità dei quali si producono delle intumescenze (neuromi d'amputazione) che arrecano gravi sofferenze.
Causa di dolore sono anche le ulcerazioni, che talvolta si producono all'estremità del moncone in conseguenza di una imperfetta nutrizione dei tessuti, dell'attrito dell'arto artificiale, ecc. Negli individui in via di accrescimento, qualora non si abbia l'avvertenza di rivestire il moncone osseo di un sufficiente strato di parti molli, l'osso, crescendo in lunghezza, preme sulla cicatrice (moncone conico) rendendo il moncone inservibile all'appoggio.
Per alcuni mesi dopo l'intervento gli amputati possono soffrire di sensazioni dolorose che essi riferiscono al segmento di arto amputato e che sembrano essere dovute a stimolazioni irritative delle estremità dei tronchi nervosi recisi.
Riamputazione. - È un intervento secondario che si compie, a minore o maggiore distanza dall'amputazione primitiva, quando questa abbia prodotto un moncone per varie ragioni dannoso o inutilizzabile (moncone conico, cicatrici aderenti, ulceri trofiche, piaghe, fistole, neuromi dolorosi, ecc.). Nell'ultima guerra non meno dell's0% dei monconi ha richiesto la riamputazione.
Bibl.: Il capitolo Amputazioni, in tutti i trattati di medicina operatoria e chirurgia generale. Per le amputazioni di guerra, ampia rivista sintetica in J. O. H. Ritter, Die Amputation und Exartikulation im Kriege. Ergebnisse der Chirurgie und Orthopädie, Berlino 1920, voll. 12. Per le amputazioni cinematiche: G. Vanghetti, Plastica e protesi cinematiche, Empoli 1906; id., Vitalizzazione delle membra artificiali, 1916; A. Pellegrini, Amputazioni cineplastiche, 1924; Sauerbruch, Ruge, Felix e Stadler, Die willkürlich bewegbare künstlische Hand, Berlino 1916.