GITAI, Amos
Gitai, Amos. – Regista israeliano (n. Haifa 1950). La sua opera è caratterizzata da una riflessione politico-esistenziale sulle radici dell’identità israeliana, ma anche da una vocazione ‘apolide’ in cui il tema dell’erranza è declinato tra storia, mito e metafora. Delineatasi questa poetica in un periodo di esilio parigino, tra gli anni Ottanta e Novanta, il primo decennio del 21° sec. vede il suo ritorno in Israele segnato da un coraggioso percorso in cui ricostruisce criticamente le ragioni e i dissidi del suo Paese. Una trilogia di film esplicita tale ricostruzione: Kippur (2000), su un episodio della guerra del 1973 che lo vide protagonista sul fronte, racconta con piani sequenza ossessivi e materici l’allucinante odissea umana, immersa nel fango e nello strazio dei corpi, degli ufficiali colpiti dall’abbattimento del proprio elicottero, traendone una cupa meditazione antimilitarista; Eden (2001), da un romanzo di A. Miller, risale al processo di costruzione dello Stato di Israele negli anni Quaranta ed esplora le contraddizioni e le spinte ideali di un gruppo di personaggi, una coppia di americani sionisti, un padre e una figlia coinvolti nel terrorismo antibritannico; Kedma (2002; Verso oriente), prende a metafora il nome di una nave di profughi ebrei che giunge in Palestina nel 1948, anno della proclamazione di Israele e dell’avvio del conflitto arabo-israeliano, e si fa lancinante riflessione sull’epifania della guerra e sulle radicali ragioni di entrambi le parti. Con un'ulteriore trilogia G. affonda il suo sguardo crudo nella contemporaneità della vita israeliana: in Alila (2003) un condominio periferico di Tel Aviv diventa l’architettura filmica delle relazioni e pulsioni di un ‘melting-pot’ che si dibatte negli spazi soffocanti, metafora di frustrazioni e desideri; in Promised land (2004) un altro spazio si fa spaccato della disumanità, il luogo dove viene tradotto da una trafficante di corpi femminili un gruppo di ‘schiave bianche’ dell’Est europeo destinate allo stupro e alla prostituzione; in Free zone (2005) l’incessante ricerca dell’identità si declina ancora al femminile in un viaggio claustrofobico di tre donne, una ebrea-americana, una palestinese e una israeliana. Desengagement (2007) sembra suggellare il ritorno israeliano di G. illuminando l’ambiguità di un'operazione come quella dello sgombero dei coloni dalla striscia di Gaza. I film successivi – Plus tard tu comprendras (2008), basato sulle memorie di J. Clement, Carmel (2009) e Lullaby for my father (2010) – uniscono idealmente esilio e ritorno in una cronaca familiare che omaggia la madre, ebrea russa, e il padre, architetto tedesco del Bauhaus.