Amor che ne la mente mi ragiona
È la seconda, dopo Voi che 'ntendendo, delle tre canzoni commentate nel Convivio; è citata nel De vulgari Eloquentia (II VI 6) come esempio di poesia in cui ha trovato applicazione il grado eccellentissimo di costruzione, sapidus et venustus... et excelsus, qui est dictatorum illustrium (§ 5); è ricordata in Pg Il 112, nell'episodio di Casella che, pregato da D. di consolare per un momento la sua affannata anima con l'amoroso canto, intona appunto Amor che ne la mente mi ragiona. E costitúita di 5 stanze di 18 versi endecasillabi tranne un settenario in dodicesima sede, con l'ultima stanza in funzione di congedo come in Donne ch'avete. La struttura metrica della stanza (ABBC, ABBC; CDE e DFDFGG) riprende per la fronte esattamente quella di Donne ch'avete, e per la sirima quella di Li occhi dolenti, arricchita di 3 versi prima del distico finale.
Oltre che nella tradizione manoscritta del Convivio, la canzone si trova insieme con altre rime di D. in codici autorevoli del sec. XIV come il Chigiano L VIII 305, il Magliabechiano VI 143, il Veronese 445, i due autografi del Boccaccio (Chigiano L V 176 e Toledano 104, 6, dove occupa il terzo posto dopo Voi che 'ntendendo, nella serie di 15 canzoni che si diffusero in tanti altri manoscritti col medesimo ordine), ecc. Indipendentemente dalle edizioni a stampa del Convivio, la canzone fu pubblicata per la prima volta in appendice all'edizione della Commedia di Pietro Cremonese (Venezia 1491) insieme con le altre 14 canzoni della tradizione Boccaccio, alle quali si trovano aggiunte in principio altre due canzoni della Vita Nuova (Donne ch'avete e Donna pietosa), e in fine il discordo Ar faux ris. Nell'edizione Giuntina del 1527 è al secondo posto, dopo Voi che 'ntendendo, nel libro IV della sezione dantesca che comprende sei canzoni morali. Nell'edizione del 1921 il Barbi la collocò col n. LXXXI al terzo posto nel libro IV, che comprende le " Rime allegoriche e dottrinali ".
Secondo le affermazioni di D. nel Convivio (III I 1-4), questa canzone fu composta per la medesima donna di cui aveva già cantato in Voi che 'ntendendo, al fine di lodare la persona amata per la quale egli sente che il suo amore a guisa di fuoco, di picciolo in grande fiamma si era acceso (§ 1). Nessun accenno in questo punto del Convivio c'è che nell'intervallo di tempo che corre tra Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente bisogna collocare almeno un'altra poesia composta per la medesima donna, come risulta dal testo dell'ultima stanza (vv. 73-76), dove si dice di una sorella della canzone, nella quale la donna che questa fa tanto umil, quella chiama fera e disdegnosa. Né nel commento letterale né in quello allegorico dei versi dell'ultima stanza D. ci fa sapere quale sia questa sorella, ma si tratta di una ballatetta (cfr. Cv III X 3), che par certo da identificare con la ballata Voi che savete. Si limita, commentando allegoricamente, a spiegare che aveva chiamato la sua donna, cioè la Filosofia, fera e disdegnosa perché egli, per proprio difetto, non intendeva le sue persuasioni e non poeta vedere le sue dimostrazioni (Cv III XV 19).
In sede di interpretazione della canzone indipendentemente dal contesto del Convivio, il problema si pone nello stesso modo che per Voi che 'ntendendo (v.). Il punto cruciale della questione rimane l'affermazione di D. nel Convivio che la donna cantata nelle due canzoni, e che è da intendere per la Filosofia, è la medesima gentile donna di cui aveva fatto menzione ne la fine de la Vita Nuova (Cv II II 1). Tale identificazione non risulta confermata da un obbiettivo esame di tutto l'episodio della Donna gentile nella Vita Nuova, dove è espressamente detto che quel suo malvagio desiderio ebbe la durata solo di alquanti die, e che fu discacciato in seguito alla sopravvenuta visione della gloriosa Beatrice (Vn XXXIX 1-2). La proposta del Barbi, che già era stata del Carducci e del D'Ancona, di considerare l'esperienza amorosa di D. per la donna gentile della Vita Nuova distinta da quella per la Donna gentile-Filosofia per la quale furono composte con intento originariamente allegorico le due canzoni Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente e un ristretto numero di altre rime, è stata accolta da molti critici e appare ragionevolmente idonea a risolvere con minor Danno l'intricata questione; ma non sono mancati e non mancano tuttora dissensi più o meno gravi. Fra gli studiosi più recenti (Renucci, Pézard, Montanari, De Robertis), c'è anzi una ripresa assai vivace della tendenza a negare l'allegoria originaria e a considerare l'episodio della Vita Nuova non limitato nel tempo, come vorrebbe il testo del libretto, ma con svolgimento assai più ampio, durante il quale D. avrebbe composto non solo i quattro sonetti che si leggono nella Vita Nuova, ma anche altre poesie, fra le quali le due canzoni Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente. La questione rimarrà forse sempre aperta, ma è difficile negare che il testo di Amor che ne la mente offre elementi interni che giustificano l'opinione dell'allegoria originaria. L'aveva riconosciuto anche un acerrimo sostenitore dell'allegoria sovrapposta più tardi al tempo del Convivio, il Pietrobono, che faceva un'eccezione per Amor che ne la mente, affermando che " nessun'altra è così decisamente allegorica ".
Nella prima stanza D. dichiara il proposito di cantare le lodi della sua donna mettendo tutto il suo impegno nel riferire le cose che Amore gli ragiona nella mente, pur essendo consapevole che di quel che ascolta deve tralasciare la parte che rimane incomprensibile al suo stesso intelletto, e gran parte di quel che s'intende per difetto del parlar nostro, che non ha valore / di ritrar tutto ciò che dice Amore (vv. 12, 17-18). Evidenti le analogie con i rispettivi proemi di Donne ch'avete e di Voi che 'ntendendo, ma c'è anche una notevole differenza: qui D. non commisura il suo dire a chi è invitato ad ascoltare (le donne, che hanno intelletto d'amore, nella prima; le intelligenze del terzo cielo, nella seconda),ma si propone di esprimere le lodi della donna come può e come sa, indipendentemente dalla qualità delle persone che ne verranno a conoscenza. Nelle successive tre stanze la materia della lode è suddivisa in modo che nella seconda stanza la donna è lodata nel suo insieme, sì ne l'anima come nel corpo (Cv III V 1), nella terza specialmente per l'anima, nella quarta specialmente per il corpo. Tutta la canzone essendo imperniata sul tema della lode, non può far meraviglia che D. si valga dell'esperienza precedente relativa a Donne ch'avete, la canzone della lode di Beatrice, ma bisogna dire che in questo caso c'è qualcosa di più della ripresa di questo o quel motivo da un componimento poetico all'altro.
La distribuzione della materia della lode per la donna gentile ricalca puntualmente quella per Beatrice in Donne ch'avete, dove la seconda, terza e quarta stanza trattano rispettivamente, com'è spiegato nella prosa della Vita Nuova, secondo quello che di Beatrice si comprende in cielo, secondo quello che si comprende in terra quanto da la parte de la nobilitade de la sua anima, secondo quello che si comprende in terra quanto da la parte de la nobilitade del suo corpo (Vn XIX 17-18). E fin qui si tratta della ripresa di un'impostazione strutturale, ma l'analogia è estesa alla materia del canto così strettamente da lasciare l'impressione di un deliberato proposito da parte del poeta di dire non meno e talora di più e meglio che in Donne ch'avete. L'ammirazione delle Intelligenze celesti per la Donna gentile, la virtù e la bellezza infuse da Dio oltre 'l dimando di nostra natura (v. 29), e perciò esemplari per le donne e gli uomini del mondo terreno, gli effetti miracolosi in chi ha la ventura di contemplarla sono tutti motivi della canzone della lode per Beatrice, qui sviluppati con discorso più ampio e tono più elevato.
Due punti in modo particolare richiamano la nostra attenzione. Il primo riguarda il confronto tra i vv. 41-42 di Donne ch'avete e i vv. 51-54 di Amor che ne la mente. Di Beatrice D. aveva detto che Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato / che non pò mal finir chi l'ha parlato (Donne ch'avete 41-42). È uno degli effetti miracolosi della presenza di Beatrice in questo mondo, che tuttavia presenta dei limiti rispetto a quel che D. dice della Donna gentile, il cui aspetto giova / a consentir ciò che par maraviglia; / onde la nostra fede è aiutata: / però fu tal da etterno ordinata (Amor che ne la mente 51-54). Anche di Beatrice, operando ella miracolosamente nel procurare la salvazione eterna a chi ha avuto la ventura di parlarle, si può intendere implicitamente che fu ordinata da etterno per aiutare la nostra fede, ma qui l'affermazione così esplicita fa sospettare che la donna di cui si parla appartenga a una sfera diversa e più elevata rispetto a quella di qualunque donna reale e della stessa Beatrice. E ha il suo valore, ai fini del significato allegorico della Donna gentile per la Filosofia, il fatto che nel v. 54 D. trascrive in traduzione la prima parte del versetto 23 dei Proverbi 8, dove la Sapienza che per D. è corpo di Filosofia (Cv III XV 11), dice di sé stessa: " Ab aeterno ordinata sum / et ex antiquis, antequam terra fieret ". Il secondo punto riguarda il v. 72 (costei pensò chi mosse l'universo), che non ha nessun riscontro né implicito né esplicito in Donne ch'avete. Ebbene, anche in questo caso D. attinge alla medesima fonte biblica concernente la Sapienza (Prov. 8, 27-30, citato in Cv III XV 16; cfr. Sap. 9, 9 " tecum sapientia tua, quae novit opera tua, / quae et adfuit tunc, cum orbem terrarum faceres "). Al significato allegorico dell'amore per la Filosofia ben si adatta anche il testo della quinta e ultima stanza che, come in Donne ch'avete, ha funzione di congedo, e alla quale si è già accennato per l'esplicito riferimento che in essa si trova a una precedente poesia in cui D. aveva detto che era fera e disdegnosa la medesima donna esaltata per la sua umiltà in Amor che ne la mente. Il contrasto è solo apparente, perché quand'ella la chiama orgogliosa, / non considera lei secondo il vero, / ma pur secondo quel ch'a lei parea (vv. 81-83), versi di cui conosciamo già il senso allegorico. Il contrasto si ripeterà tra il sonetto Parole mie (Rime LXXXIV), dove della donna, per la quale aveva cominciato a cantare la canzone Voi che 'ntendendo, si dice che in lei non v'è Amore (v. 9) e perciò D. desisterà dal comporre altre poesie, e il sonetto composto subito dopo, O dolci rime, dove si afferma che nel sonetto precedente non dimora / cosa che amica sia di veritate (LXXXV 7-8). Di atti disdegnosi e feri della medesima donna D. parla anche nella canzone Le dolci rime (vv. 5-7), e commenta nel Convivio (IV II 4) confermando quel che aveva detto nell'ultima stanza di Amor che ne la mente, e cioè li atti di questa donna [non] essere ‛ disdegnosi e fieri ' se non secondo l'apparenza.
Porre l'accento sui lati più favorevoli all'intento allegorico originario non significa convinzione che la questione sia senz'altro risolta e che tutte le contraddizioni siano sanate; si è voluto mettere in rilievo che le affermazioni di D. nel Convivio, per quanto riguarda Amor che ne la mente, hanno un solido fondamento negli elementi interni del testo della canzone. Si aggiunga che, se si deve ammettere che Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente all'origine non erano allegoriche, appare alquanto strano che D., per cantare in esse un nuovo amore, a qualche anno di distanza dalla morte di Beatrice, per donna reale che deliberatamente viene esaltata più di Beatrice, non sappia fare altro che riprendere nella prima i motivi di cui aveva intessuto due sonetti (L'amaro lagrimar e Gentil penero) composti per la medesima donna, e nella seconda riprendere struttura esterna e motivi interni della canzone della lode per Beatrice. Più credibile è che D., dopo aver composto fra il 1292 e il 1293 la Vita Nuova, dove l'episodio della Donna gentile è quale risulta obbiettivamente dal testo poetico e dalla poesia, cioè reale o immaginato come reale, s'infervorò tanto degli studi filosofici da sentire il bisogno di cantare le lodi della Filosofia, immaginandola come donna pietosa e consolatrice, e usufruendo dell'esperienza psicologica e artistica dei sonetti composti per la Donna gentile, e della canzone in lode di Beatrice. La Filosofia poteva essere lodata più di Beatrice e D. poteva essere scusato del mutamento del suo animo (cfr. Cv III I 12).
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