amniocentesi
Procedura per l’ottenimento di campioni di liquido amniotico durante i primi mesi di gravidanza. Ha avuto grande sviluppo e diffusione nella medicina prenatale soprattutto negli anni Novanta del XX sec., e insieme all’esame dei villi coriali è la tecnica più utilizzata per valutare l’esistenza di anomalie nel feto attraverso l’analisi del cariotipo (l’assetto cromosomico) fetale. L’amniocentesi si esegue mediante un ago cavo, raggiungendo il sacco del liquido amniotico, solitamente tra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza. Si aspirano quindi alcuni cm3 di liquido (ca. 25÷50) che contiene cellule embrionali di sfaldamento. Il percorso dell’ago viene seguito tramite ecografia e il sacco amniotico viene raggiunto attraverso l’addome o la cervice. Le cellule contenute nel liquido amniotico vengono successivamente coltivate in specifici terreni sintetici in termostato, in ambiente al 5% di CO2, sino al momento in cui, mediante normali procedure citogenetiche, è possibile procedere all’identificazione dell’assetto cromosomico per evidenziare eventuali alterazioni a carico del numero o della struttura dei cromosomi (trisomia del cromosoma 21, sindrome di Down; delezioni del braccio corto del cromosoma 5; sindrome del cri-du-chat; traslocazioni ecc.) ed effettuare eventuali analisi su base enzimatica o molecolare, così da identificare anche eventuali mutazioni genetiche patogeniche note. Alcuni risultati preliminari (relativi alla sindrome di Down) si possono attualmente avere già dopo 48 ore, mentre le analisi complete richiedono fino a due settimane. La procedura dell’amniocentesi è di per sé praticamente innocua sia per la madre sia per il feto, anche se può comportare un rischio, di aborti procurati o di malformazioni fetali, che è attualmente valutato intorno allo 0,2%.
→ Genetica. Screening genetico