Ammortizzatori sociali nel rapporto di lavoro
Il contributo analizza la riforma degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro prevista dal d.lgs. n. 148/2015. In particolare, l’approfondimento riguarda la sistematizzazione delle tutele offerte ai lavoratori nel rapporto di lavoro. Il provvedimento costituisce sicuramente un punto chiave del Jobs act, che tenta la saldatura tra politiche attive e politiche passive.
Per anni il legislatore nazionale ha prodotto provvedimenti in materia di sospensione/riduzione dell’orario di lavoro per ragioni aziendali, affermando che si trattava di provvedimenti adottati «in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali».
A seguito della l. 28.6.2012, n. 92 il riferimento all’attesa di una riforma organica è stato tralasciato.
Nondimeno, la predetta legge revisionava integralmente la disciplina dei trattamenti previdenziali in caso di disoccupazione involontaria, ma sul versante della prestazioni in caso di sospensione/riduzione dell’orario di lavoro non dava luogo ad un intervento di estensione generale. Si preoccupava, infatti, di assicurare tutele nei settori rimasti estranei alla cassa integrazione, puntando sullo strumento del «fondo di solidarietà», ma ritoccava solo parzialmente la disciplina della cassa integrazione.
Un più ampio e completo intervento è stato, invece, programmato dalla l. 10.12.2014, n. 183 che, come l. delega, ha fornito principi e criteri direttivi per la riforma sia dei trattamenti di disoccupazione che delle tutele in costanza di rapporto di lavoro. Espressione – «tutele in costanza di rapporto di lavoro» – che è stata utilizzata per la prima volta dalla l. n. 92/2012 e che anche dalla l. n. 183/2014 è impiegata per indicare sia la cassa integrazione che i fondi di solidarietà.
In questa prospettiva, la l. n. 183/2014, che ha programmato una riforma riguardante l’intera area degli ammortizzatori sociali, prefigura il superamento della legislazione più vecchia stratificatasi nel corso del tempo ma anche di quella più recente, ivi compresa la stessa l. n. 92/2012.
In particolare, dopo il decreto sui trattamenti di disoccupazione, la normativa di delegazione in tema di «tutele in costanza di rapporto di lavoro» ha avuto attuazione con il d.lgs. 14.9.2015, n. 148, su cui occorre concentrare l’attenzione, non prima di aver dato conto di alcune sue disposizioni transitorie.
Nello specifico, la regola generale, da seguire in mancanza di diverse prescrizioni, rende applicabili le disposizioni del decreto «… ai trattamenti … richiesti a decorrere alla data di entrata in vigore», ossia richiesti dal 24.9.2015.
La prima innovazione da segnalare riguarda il modo in cui il d.lgs. n. 148/2015 è congegnato.
Anche se non viene detto espressamente né nella l. delega né nel d. delegato, il nuovo d.lgs. si pone come un testo unico delle norme in materia di cassa integrazione e fondi di solidarietà.
Questo è evidente nell’art. 46, che non solo conferma l’abrogazione di «… ogni altra disposizione contraria o incompatibile …» con le disposizioni dello stesso decreto ma procede anche ad una serie di abrogazioni espresse di norme previgenti, e, soprattutto, chiaramente si atteggia come fonte esaustiva di regolazione della materia riducendo al minimo i richiami a fonti esterne.
Anche alla luce delle tradizionali osservazioni critiche in merito alla dispersione della legislazione previdenziale e, in particolare, di quella in materia di cassa integrazione in tanti e disparati provvedimenti legislativi, l’innovazione non può che essere vista con favore, per la sua utilità pratica e anche per ragioni di trasparenza.
Anche l’articolazione interna del decreto giova alla chiarezza.
Il decreto è diviso in quattro titoli – «Trattamenti di integrazione salariale»; «Fondi di solidarietà»; «Contratti di solidarietà espansiva»; «Disposizioni transitorie e finali» – così da agevolare la lettura e lo stesso coordinamento fra le diverse disposizioni.
2.1 Le disposizioni generali
Il titolo riguardante i «Trattamenti di integrazione salariale» è quello più corposo ed è opportunamente diviso in tre capi: «Disposizioni generali»; «Integrazioni salariali ordinarie»; «Integrazioni salariali straordinarie».
Preso atto della sistematica interna al titolo, che non nega la peculiarità delle due tipologie di integrazioni salariali, è senz’altro apprezzabile, oltre che utile, l’evidenziazione iniziale di regole comuni all’una e all’altra tipologia, atteso che non sono assenti sul piano sostanziale profili di omogeneità pur nella diversità delle tradizionali rationes delle due tipologie.
Il primo blocco di regole comuni riguarda l’individuazione dei lavoratori possibili «beneficiari» delle integrazioni.
Come vedremo, rimane la diversità delle causali che possono giustificare l’autorizzazione delle integrazioni salariali ordinarie oppure straordinarie. Ciò non toglie che l’area dei possibili «beneficiari», dal lato dei lavoratori, è identica.
L’uno e l’altro tipo di integrazione abbraccia il lavoro subordinato e solo il lavoro subordinato, esclusi i dirigenti e i lavoratori a domicilio.
La principale novità riguarda l’inclusione degli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante. Inclusione, peraltro, non completa: se l’apprendista dipende da una impresa per la quale trovano applicazione solo le integrazioni salariali straordinarie, allora l’apprendista è incluso ai fini di tali integrazioni e, peraltro, limitatamente alla causale «crisi aziendale». Se invece l’impresa da cui l’apprendista dipende rientra nel campo di applicazione sia delle integrazioni straordinarie che delle integrazioni ordinarie, allora l’apprendista potrà essere beneficiario delle integrazioni ma solo di quella ordinarie.
Viene, inoltre, chiarito che le ore di integrazione salariale fruite si riflettono sulla durata del rapporto di apprendistato, prorogato in misura equivalente.
All’inclusione vien fatta corrispondere l’estensione dei relativi obblighi contributivi con riferimento alle integrazioni di cui, nelle diverse ipotesi, gli apprendisti possono essere beneficiari. Il costo del lavoro dell’apprendistato professionalizzante, pertanto, cresce.
Infine, ai fini della fruizione delle integrazioni, viene richiesto un requisito – di almeno 90 giorni, comprensivi anche di quelli maturati alle dipendenze del precedente appaltatore nei casi di subentro nei contratti di appalto – di anzianità di effettivo lavoro presso la «unità produttiva» per la quale sono previste le integrazioni. Requisito non richiesto per le integrazioni ordinarie dovute ad eventi oggettivamente non evitabili nel settore industriale.
L’altra area di regole comuni riguarda la «misura» dei trattamenti di integrazione.
A partire dalla precisazione che l’integrazione salariale ammonta «… all’80 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate …», viene raccolta e, per alcuni aspetti, perfezionata una serie di regole, fra l’altro con riferimento ai massimali di importo dei trattamenti di integrazione.
Oggetto di ulteriore regolazione comune è la «durata massima complessiva».
Facendo ancora riferimento alla «unità produttiva», viene previsto un limite temporale massimo entro il quale le integrazioni salariali devono restare.
Come vedremo, sono previsti limiti per ciascun tipo di intervento.
In ogni caso, considerando cumulativamente i vari interventi che interessano la stessa unità produttiva, non si può superare la durata complessiva di 24 mesi in un «quinquennio mobile», ossia in un quinquennio calcolato andando ritroso a partire dal momento in cui si ipotizza un nuovo intervento.
Nel calcolo dei 24 mesi quale limite complessivo nel predetto arco temporale, i periodi di integrazione salariale per la causale contratto di solidarietà difensivo si computano per la metà della loro durata.
In questo modo, si incoraggia l’utilizzo del predetto contratto, potendo giungere la durata complessiva fino a 36 mesi nel quinquennio (ad es., cumulando 12 mesi di integrazioni per «riorganizzazione», che è una delle causali previste per i trattamenti straordinari, e 24 mesi per contratto di solidarietà).
Per le imprese industriali e artigiane dell’edilizia e affini nonché per le imprese industriali esercenti l’attività di escavazione e/o la lavorazione del materiale lapideo e le imprese artigiane che svolgono l’attività di escavazione e di lavorazione del materiale lapideo, la durata massima complessiva è fissata a 30 mesi anziché a 24 mesi.
Al riguardo, la relazione al decreto motiva la regola particolare riservata alle suddette aziende con la specificità delle stesse, «… che tipicamente non consentono l’utilizzo dei contratti di solidarietà … non applicandosi al contempo la citata disposizione relativa ai contratti di solidarietà» (ossia la disposizione di cui si è già detto, che ai fini della computo del limite complessivo massimo dimezza la rilevanza dei periodi riduzione dell’orario di lavoro connessa ai contratti di solidarietà).
In ogni caso, in virtù di una disposizione transitoria (art. 42, co. 2), i periodi integrazione salariale fruiti prima del 24.9.2015 non si considerano nel calcolo del limite complessivo.
Altre disposizioni generali, riferite a tutti i tipi di integrazione salariale, riguardano la contribuzione addizionale, ossia la contribuzione gravante sulle imprese che presentano la domanda di integrazione salariale, che viene incrementata nelle seguenti misure: a)9 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata ove non si fosse fatto ricorso alle integrazioni (anche per quelle dovute ad un contratto di solidarietà) sino ad un limite complessivo di 52 settimane di erogazione nel quinquennio mobile; b)del 12 per cento in relazione ai periodi di fruizione che vanno oltre le 52 settimane e fino a 104 settimane sempre nel quinquennio mobile; c) del 15 per cento oltre il limite di cui alla precedente lett. b).
Sempre all’interno delle disposizioni generali, trova conferma che, durante i periodi di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, opera la contribuzione figurativa, con rilevanza sia ai fini della maturazione del diritto pensionistico che della sua misura. Contribuzione da calcolare sulla base della retribuzione globale cui è riferita l’integrazione salariale.
Dalle «Disposizioni generali» giova, infine, segnalare, ma solo per operare un rinvio, le disposizioni dedicate a «Condizionalità e politiche attive del lavoro», che propongono un collegamento sicuramente importante con il d.lgs. 14.9.2015, n. 150 dedicato al riordino della «normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive».
2.2 I trattamenti ordinari
Come si è già sottolineato, il capo II è dedicato ai trattamenti ordinari.
La collocazione di tali trattamenti all’interno della gestione delle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti comporta la responsabilizzazione di tale gestione nella erogazione delle «relative prestazioni» e individua la medesima gestione come la destinataria ultima dei contributi, sia ordinari che addizionali.
Quanto già le «Disposizioni generali» affermano sui lavoratori che possono beneficiare delle integrazioni (ordinarie o straordinarie) si combina con quanto le disposizioni del capo in esame affermano circa le imprese rientranti nel «campo di applicazione» dei trattamenti ordinari.
In sostanza, per poterne fruire il lavoratore deve avere i requisiti illustrati nel precedente paragrafo e, in più, deve dipendere da una impresa appartenente ad una delle categorie elencate dal decreto.
Rinviando per tale elencazione all’art. 10 del decreto, ci si limita ad osservare che vengono sostanzialmente confermati i confini che già prima del decreto circoscrivevano tale campo e che, nell’ambito di una normativa volta a ribadire l’inclusione nell’area dei trattamenti ordinari, spicca la conferma che le imprese agricole rimangono destinatarie dei trattamenti regolati dagli artt. 8 e ss. della l. 8.8.1972, n. 457 «… per quanto compatibili …» con il decreto.
Si rifà alla normativa previgente anche la parte del decreto che individua le causali in grado di legittimare l’attivazione delle integrazioni ordinarie: «situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali; situazioni temporanee di mercato».
Se potranno esserci particolari effetti dell’avere assunto le «intemperie stagionali», tradizionale causale dell’edilizia, nella disciplina generale delle causali è, comunque, un profilo da seguire.
Quanto alla durata, il decreto stabilisce, come regola generale, che le integrazioni ordinarie sono corrisposte fino ad un periodo massimo di 13 settimane continuative, prorogabili trimestralmente fino ad un massimo complessivo di 52 settimane.
In caso di fruizione continuativa delle integrazioni, sarà possibile avanzare una nuova domanda solo dopo che sia trascorso un periodo di almeno di 52 settimane di normale attività lavorativa. In ogni caso, i periodi di fruizione frazionata non potranno superare complessivamente le 52 settimane in un biennio mobile. Questi due tipi di limiti non trovano applicazione relativamente agli interventi per eventi oggettivamente non evitabili, ad eccezione degli interventi richiesti da imprese dei settori edile e lapideo.
Una importante novità, che sulla scia della l. delega punta a favorire le riduzioni di orario in luogo delle sospensioni a zero ore, si ritrova nella regola secondo cui non possono essere autorizzate ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di un terzo delle ore lavorabili nel biennio mobile con riferimento ai lavoratori mediamente occupati, nel semestre precedente la domanda, nell’unità produttiva interessata.
La limitazione non è irrilevante. Comporta che i limiti di durata che prima abbiamo riportato possono risultare, di fatto, non pienamente sfruttabili ove si abbia sospensione a zero ore.
A fronte del notevole incremento della contribuzione addizionale, è disposta una riduzione del 10 per cento delle aliquote contributive ordinarie già previste.
Avendo presente che tali aliquote erano e restano differenziate non solo in relazione alla appartenenza categoriale delle imprese ma anche in ragione del loro organico, vengono dettati specifici criteri da seguire per la determinazione dei limiti dimensionali, comunque da calcolare considerando tutti i dipendenti, ivi compresi i lavoratori a domicilio e gli apprendisti: in particolare, i limiti sono determinati, con effetto dal 1° gennaio, sulla base del numero medio di dipendenti in forza nell’anno precedente; per le imprese costituite nel corso dell’anno, occorre far riferimento al numero medio di dipendenti in forza alla fine del primo mese di attività; le imprese sono tenute a presentare una nuova dichiarazione all’Inps solo nel caso in cui si verifichino eventi che, modificando la forza lavoro in precedenza comunicata, incidano sui limiti dimensionali già segnalati.
A criteri di semplificazione sono improntate le disposizioni relative alla procedura di informazione e consultazione sindacale, prodromica all’accesso alle integrazioni ordinarie nonché al procedimento amministrativo e istruttorio curato dall’Inps ai fini dell’autorizzazione.
In particolare, la domanda di intervento deve essere presentata all’Inps in via telematica entro 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’orario e, in caso di ritardo, il trattamento di integrazione non potrà aver luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione della domanda.
Una novità di particolare rilevanza si ritrova nella previsione secondo cui, a decorrere dal 1.1.2016, le integrazioni ordinarie saranno concesse dalla sede Inps territorialmente competente (un d.m. è chiamato a fissare «i criteri di esame delle domande di concessione»), venendo superate le precedenti commissioni.
2.3 Le integrazioni salariali straordinarie
Il capo dedicato alle «Integrazioni salariali straordinarie» segue, per quanto riguarda la sequenza dei temi trattati, lo stesso schema seguito per le integrazioni ordinarie.
Il primo punto attiene alla collocazione delle integrazioni straordinarie nella Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestione previdenziali (GIAS) istituita presso l’Inps a norma dell’art. 37 della l. 16.3.1988, n. 88 e non, come per le integrazioni ordinarie, nella Gestione delle prestazioni temporanee.
Questo non perché le integrazioni straordinarie non siano anch’esse delle prestazioni temporanee, ma in vista di un possibile concorso dello Stato al finanziamento di tali integrazioni, finanziamento che il nuovo d.lgs. espressamente considera vincolando la Gestione di afferenza delle integrazioni straordinarie ad evidenziare «… l’apporto dello Stato, le prestazioni e la contribuzione ordinaria e straordinaria».
Giova, inoltre, aver presente che lo stesso decreto interviene direttamente sulla GIAS integrando l’art. 37 della l. n. 88/1989, che ora espressamente elenca fra gli interventi che direttamente lo Stato può concorrere a sostenere anche i «… trattamenti di integrazione salariale straordinaria … di cui … al decreto legislativo adottato in attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera a) della legge 10 dicembre 2014, n. 183 …». Il che, venendo citata proprio la normativa di delegazione da cui il d.lgs. n. 148/2015 è scaturito, equivale a rafforzare il legame fra integrazioni straordinarie e possibile apporto dello Stato.
La delimitazione del campo di applicazione delle integrazioni straordinarie non fa registrare particolari innovazioni, anche per quanto riguarda i limiti dimensionali (più di 15 dipendenti o più di 50 dipendenti, inclusi gli apprendisti e i dirigenti) richiesti alla maggior parte delle imprese per poter rientrare nel predetto campo di applicazione.
Passaggi non privi di profili innovativi e particolarmente rilevanti sono quelli dedicati alle «Causali di intervento», individuate in: «a) riorganizzazione aziendale; b) crisi aziendale, ad esclusione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa; c) contratto di solidarietà».
Le tre diverse causali sono destinatarie di diverse discipline, sotto vari profili, in primo luogo a partire dai diversi contenuti richiesti per il «programma di riorganizzazione» e per il «programma di crisi» che devono accompagnare le relative domande di intervento.
Nel primo caso, si tratta delle misure volte a fronteggiare le inefficienze della struttura gestionale o produttiva, le indicazioni sugli investimenti e sull’eventuale attività di formazione e una finalizzazione del programma «… a un consistente recupero occupazionale» gli elementi caratterizzanti.
Per la «causale riorganizzazione», relativamente a ciascuna unità produttiva, il trattamento straordinario può avere una durata massima di 24 mesi, anche continuativi nel quinquennio mobile.
Nel caso della «crisi», viene chiesto un «… piano di risanamento volto a fronteggiare gli squilibri di natura produttiva, finanziaria, gestionale o derivanti da condizionamenti esterni», con indicazione degli interventi correttivi e «… gli obiettivi concretamente raggiungibili finalizzati alla continuazione dell’attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale».
Per questa causale, il trattamento di integrazione non può avere una durata massima superiorea 12 mesi, anche continuativi. È peraltro esclusa l’autorizzazione di nuovi periodi prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente autorizzazione.
Sia con riferimento alla «riorganizzazione» che alla «crisi» viene previsto un ulteriore limite: possono essere autorizzate sospensioni (non riduzioni dell’orario) soltanto nel limite dell’80 per cento delle ore lavorabili nell’unità produttiva nell’arco di tempo di cui al programma autorizzato.
Tale limite, peraltro, non trova applicazione nei primi 24 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. (e, quindi, opererà con decorrenza dal 24.9.2017).
La disciplina della «crisi aziendale» è destinataria, peraltro, di una specifica normativa transitoria per gli anni 2016, 2017 e 2018.
Con un finanziamento di 50 milioni di euro per ciascuno dei predetti anni, si consente la possibilità di autorizzare, a seguito di accordo in sede governativa, un ulteriore intervento di integrazione salariale qualora, all’esito del programma di crisi, l’azienda cessi l’attività ma «sussistano concrete prospettive di una rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale». La protrazione delle integrazioni salariali può arrivare, nel summenzionati anni, ad un limite massimo rispettivamente di 12, 9 e 6 mesi, anche in deroga al limite massimo complessivo di cui si è detto nel precedente paragrafo.
A sua volta, la causale contratto di solidarietà, che così è qualificato il contratto di solidarietà dal nuovo decreto, si rifà allo schema già previsto per i cosiddetti contratti difensivi, intesi come accordi che, stabilendo una riduzione dell’orario, sono volti ad evitare o a limitare la riduzione del personale.
Alle condizioni di cui all’art. 21, co. 5, le integrazioni salariali straordinarie possono avere, per la causale contratto di solidarietà, una durata massima di 24 mesi, che possono raggiungere, se non preceduti o seguiti da integrazioni ordinarie o straordinarie, anche i 36 mesi continuativi, nel quinquennio mobile sempre che siano rispettate le regole relative alla durata massima complessiva.
Della contribuzione addizionale si è già detto e qui basta rimarcare che essa è estesa anche alle integrazioni per contratto di solidarietà che, inoltre, vengono assoggettate anche ai massimali di trattamento prima non riguardanti le integrazioni connesse a tale causale.
Per il finanziamento contributivo delle integrazioni salariali straordinarie, il decreto, per quanto riguarda la contribuzione corrente, conferma l’aliquota dello 0,90 per cento della retribuzione imponibile, di cui 0,60 a carico del datore di lavoro e lo 0,30 a carico dei lavoratori.
Oggetto di ampia trattazione è la «consultazione sindacale» che deve precedere la richiesta di integrazioni salariali per «riorganizzazione» o «crisi aziendale», centrata sulla comunicazione aziendale, la richiesta di esame congiunto da parte dei sindacati che deve concludersi entro 25 giorni successivi a quello in cui è stata presentata la richiesta (10 giorni per le imprese che occupano fino a 50 dipendenti).
Materie dell’esame sono il programma che l’impresa intende attuare e, fra l’altro, le misure previste per la gestione delle eventuali eccedenze, le modalità della rotazione tra lavoratori o le ragioni tecnicoorganizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.
La previsione secondo cui l’esame congiunto deve riguardare anche le «ragioni che rendono non praticabili forme alternative di riduzione di orario» costituisce una novità di notevole rilievo.
Nell’esame, inoltre, devono rientrare «…i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, che devono essere coerenti con le ragioni per le quali è richiesto l’intervento, e le modalità di rotazione o le ragioni tecnicoorganizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione».
In ogni caso, a meno che non si tratti di domande di integrazioni avanzate da imprese edili ed affini, le parti sono tenute a dichiarare, ove seguano la via delle integrazioni salariali per le altre causali, «… la non percorribilità della causale di contratto di solidarietà …».
La concessione delle integrazioni straordinarie è rimessa al Ministero del lavoro, a cui va indirizzata la richiesta.
2.4 I fondi di solidarietà nei vari modelli
Seguendo lo schema della l. n. 92/2012, anche il nuovo provvedimento si rimette ai fondi di solidarietà allo scopo di assicurare tutele in costanza di rapporto di lavoro a favore di chi dipende da aziende non rientranti nell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali.
Il d.lgs. n. 148/2015, peraltro, introduce una notevole novità.
Essendo estranei alle integrazioni salariali, si è tenuti a partecipare al sistema dei fondi di solidarietà ove « … si occupino mediamente più di 5 dipendenti …», soglia al cui raggiungimento concorrono anche gli apprendisti. Prima, a stregua della l. n. 92/2012, erano le «… soglie dimensionali comunque superiori ai 15 dipendenti …» che facevano scattare l’obbligo di partecipare al sistema dei fondi solidarietà. Ciò premesso, avendo presente quanto già previsto dalla l. n. 92/2012 e come il nuovo d.lgs. lo modifica e lo integra, può tracciarsi il seguente schema generale che, superato un primo periodo di adattamento alle nuove normative, opererà a partire dal 1.1.2016:
a) fondi di solidarietà bilaterali senza personalità giuridica e costituiti come gestioni autonome all’interno dell’Inps. La fonte istitutiva di tali fondi deriva dalla combinazione di accordi sindacali e di decreti ministeriali di recepimento; la loro finalità generale consiste, come si è già sottolineato, nell’assicurazione di sussidi economici «… nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per le cause …» previste come causali delle integrazioni ordinarie e straordinarie. Se questa appena indicata è una finalità indefettibile, i fondi possono, per scelta in primo luogo del contratto collettivo istitutivo, andare oltre, prevedendo: prestazioni integrative dei trattamenti di disoccupazione; assegni straordinari di accompagnamento nel quadro di processi di agevolazione all’esodo a favore di lavoratori che maturano la pensione nei successivi cinque anni; contributi a finanziamento di programmi formativi di riconversione e riqualificazione professionale. In particolare, l’assegno ordinario, che è la prestazione dei fondi assimilabile alle integrazioni salariali per il fatto che anch’essa presuppone la riduzione o la sospensione dell’attività, ha una misura almeno pari all’integrazione salariale e una durata massima fissata dai fondi, non inferiore a 13 settimane in un biennio mobile e non superiore a quelle previste per le integrazioni salariali anche con riferimento al limite di durata complessiva. Questi fondi sono finanziati con contributi a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori nella misura di due terzi e un terzo, in maniera tale da assicurare riserve per l’avvio dell’attività e una situazione di equilibrio del fondo anche in prospettiva, nonché con un contributo addizionale, non inferiore all’1,5 per cento, a carico del datore di lavoro che, effettuando la riduzione o sospensione di attività, dà luogo alla erogazione di assegni ordinari. Un sistema di finanziamento che non prevede una contribuzione versata continuativamente, ma solo una contribuzione straordinaria di importo «corrispondente al fabbisogno di copertura», è previsto per l’assegno straordinario, contribuzione straordinaria dovuta dal datore di lavoro che porta avanti il «processo di agevolazione all’esodo». Ribadito che nuovi fondi di solidarietà bilaterali devono abbracciare i datori di lavoro a partire da quelli che occupano mediamente più di 5 dipendenti, l’unico fondo già costituito come fondo bilaterale a stregua della l. n. 92/2012, ossia il Fondo per il personale delle aziende di trasporto pubblico (d.m. n. 86985/2015), è tenuto ad adeguarsi all’ampliamento del campo di applicazione entro il 31.12.2015. In mancanza, i datori di lavoro del settore confluirebbero nel fondo di cui sub c);
b) fondi di solidarietà alternativi. In alternativa al già descritto modello, nei settori dell’artigianato e della somministrazione di lavoro già operano due fondi finalizzati alla erogazione di assegni in caso di riduzione/sospensione dell’orario di lavoro. Si tratta di Fondartigianato, a suo tempo costituito dando attuazione all’art. 3, co. 14, l. n. 92/2012, e del Fondo di solidarietà per i lavoratori in somministrazione, derivante dall’adeguamento di Forma. Temp alla predetta finalità (d.m. 17.4.2015). Ebbene, a questi fondi, che per come è scritto il decreto appaiono formare una categoria non aperta a nuovi ingressi, il decreto impone di assicurare almeno una delle due seguenti prestazioni: assegno ordinario di durata e misura almeno pari all’assegno ordinario di cui si è trattato in precedenza sub a); assegno di solidarietà, a seguito di contratti collettivi aziendali che stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare o limitare licenziamenti per ragioni aziendali. Assegno di durata massima non inferiore a 26 settimane nel biennio mobile e regolato, per gli altri aspetti, conformemente all’assegno di solidarietà di competenza del fondo di integrazione salariale. Entro il 31.12.2015, i fondi alternativi dovranno adeguarsi al già illustrato ampliamento del campo di applicazione. In mancanza, i datori di lavoro confluirebbero dal 1.1.2016 nel fondo di integrazione di cui ci si accinge a dire, al quale potrebbero chiedere l’assegno ordinario a partire dal 1.1.2016;
c) fondo di integrazione salariale. La l. n. 92/2012 aveva previsto la costituzione di un fondo presso l’Inps – il fondo residuale – destinato a raccogliere le aziende con più di 15 dipendenti che, per appartenenza settoriale e dimensione, erano estranee al campo di applicazione delle integrazioni salariali e per le quali la contrattazione collettiva non si fosse attivata per istituire un fondo presso lo stesso Inps o nel modello alternativo all’esterno dell’Inps. Ora, il nuovo d.lgs. stabilisce che, a decorrere dal 1.1. 2016, il fondo residuale, già operante in attuazione della l. n. 92/2012, assuma la denominazione di fondo di integrazione salariale e segua le regole di cui allo stesso decreto a decorrere dal 1.1.2016. La regola base è quella prevista per il fondo residuale:
sono soggetti alla disciplina del fondo di integrazione i datori di lavoro non rientranti nell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali e nemmeno di un fondo in uno dei modelli di cui alle precedenti lett. a) e b). La novità consiste nel fatto che tale regola trova applicazione già a partire dai datori che occupano mediamente più di 5 dipendenti.
La prestazione tipica del fondo di integrazione è rappresentata dall’assegno di solidarietà, conseguente ad accordi aziendali volti ad evitare o limitare la riduzione del personale e disciplinato, per gli altri aspetti, dall’art. 31 del decreto.
Al riguardo, è dettata una disciplina costruita secondo lo schema del contratto di solidarietà difensivo. L’assegno, in particolare, può essere visto come una prestazione che svolge una funzione analoga a quella tradizionalmente propria dei contratti di solidarietà difensivi di tipo “B”, ora accantonati dal nuovo decreto (dal 1.7.2016, infatti, il nuovo decreto abroga il d.l. 20.5.1993, n. 148 che, all’art. 5, disciplina i contratti di solidarietà per le aziende estranee al campo di applicazione delle integrazioni salariali).
In virtù di una specifica norma transitoria, i datori di lavoro, che occupano mediamente da più di 5 sino a 15 dipendenti, potranno richiedere l’assegno per gli eventi di sospensione o riduzione del lavoro che si verificheranno dal 1.7.2016.
Esclusivamente per i datori di lavoro che occupano mediamente più di quindici dipendenti, il fondo di integrazione prevede anche assegni ordinari, che possono raggiungere una durata massima di 26 settimane in un biennio mobile, in relazione a causali di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa previste dalla normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie.
A partire dal 1.1.2016, il finanziamento del fondo è basato su di una aliquota dello 0,65 per cento in caso di datori di lavoro che occupano mediamente più di 15 dipendenti e dello 0,45 in caso di datori che occupano da più di cinque dipendenti fino a 15 dipendenti, ripartita fra datore di lavoro e lavoratore nella misura di due terzi e un terzo. Nel caso di ricorso alle prestazioni del fondo, è prevista una contribuzione addizionale del 4 per cento.
2.5 Fondi di solidarietà: tratti comuni
Al di là delle peculiarità dei tre diversi modelli di fondo, che si ritrova anche nel fatto che il fondo di integrazione non prevede «prestazioni ulteriori» rispetto alle due direttamente regolate dalla legge (assegno di solidarietà, assegno ordinario), non mancano tratti sostanzialmente comuni.
Uno di questi si ritrova nella tensione ad assicurare ai lavoratori una tutela estesa anche a quella pensionistica attraverso la «contribuzione correlata», destinata ad accompagnare l’assegno ordinario e l’assegno di solidarietà ed eventualmente le «prestazioni ulteriori» per previsione delle fonti istitutive (cfr. art. 34 del decreto) e computata secondo i criteri previsti per la contribuzione figurativa (art. 40 l. 4.11.2010, n. 183).
Altro tratto comune è rappresentato dalla forte attenzione a meccanismi in grado di assicurare, anche prospetticamente, l’equilibrio e la solvibilità dei fondi, di cui possono considerarsi espressioni anche le previsioni volte a favorire l’effettività della contribuzione dovuta ai fondi estendendo ad essa le normative proprie della contribuzione previdenziale obbligatoria.
Infine, ferma restando l’omogeneità di forma giuridica dei tipi di fondo illustrati sopra sub a) e c) e l’eterogeneità del tipo illustrato sub b), che è l’unico dotato di autonoma soggettività, risalta come comune, sia pure con diverso grado di purezza e in diversa misura, il principio della pariteticità, che comporta il concorso all’amministrazione di tutti i fondi soggetti designati in numero eguale dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, con connesse prescrizioni in merito ai requisiti di professionalità e onorabilità dei soggetti impegnati nella gestione.
Al di là delle specifiche questioni interpretative che il nuovo d.lgs. n. 148/2015 pone, l’interrogativo più rilevante, ma anche più stimolante, che la riforma sollecita attiene alla saldatura che esso, in combinazione con il d.lgs. n. 150/2015 sui servizi per l’impiego e le politiche attive, tenta fra politiche passive e politiche attive.
L’art. 5 d.lgs. n. 148/2015 e l’art. 22 d.lgs. n. 150/2015 rafforzano i «meccanismi di condizionalità» e prefigurano «patti di servizio personalizzati» con i lavoratori interessati da riduzioni o sospensioni dell’attività lavorativa superiori al 50 per cento dell’orario di lavoro e ciò «allo scopo di mantenere o sviluppare le competenze in vista della conclusione della procedura di sospensione o riduzione dell’attività …».
Lo scenario predisposto è, quindi, particolarmente interessante.
Pensiamo al ricorso ai trattamenti straordinari per la causale «riorganizzazione» e al relativo «programma», che evidenzia cambiamenti di vario genere in azienda, nuovi investimenti e che, non a caso, evidenzia anche il bisogno di formazione fatto emergere dai cambiamenti conseguenti alla «riorganizzazione». Tutto questo in una situazione in cui sono tante e concordi le analisi che in generale sottolineano l’impellente esigenza di migliorare la qualità del capitale umano e in cui, a seguito della novellazione dell’art. 2103 c.c., viene ampliata la facoltà delle aziende di modificare le mansioni attribuite ai lavoratori e, al tempo stesso, introdotto un «obbligo di formazione» ove la riqualificazione professionale sia richiesta dal disposto cambiamento del lavoro attribuito (e la riorganizzazione aziendale, per definizione, comporta cambiamenti anche del lavoro).
Questo, dunque, è l’interrogativo: nell’assetto determinato anche dall’insieme degli aggiornamenti legislativi di attuazione del Jobs act, è realistico pensare che risultino effettive le sinergie ricercate che, dal punto di vista qui assunto, dovrebbero tradursi in una diffusa prassi di valorizzazione di una formazione continua, a sua volta, di alta qualità?
La risposta potrà essere positiva solo se tutti i soggetti della neonata «rete dei servizi per politiche attive», superando tradizionali inadeguatezze e i tanti burocratismi, sapranno operare all’altezza delle responsabilità loro attribuite.
Se questo non succederà, il d.lgs. n. 148/2015 finirà per rilevare solo come una razionalizzazione utile ad evitare gli eccessi di assistenzialismo, a liberare risorse da spendere di più in altri ambiti del welfare pubblico (in particolare nell’area dei trattamenti di disoccupazione), ad attenuare le diversità di trattamento fra le imprese e i lavoratori dei vari settori (avvicinati da un depotenziamento delle integrazioni salariali ed un certo potenziamento dei fondi di solidarietà), ma non di più. Tutto questo, invero, non può considerarsi insignificante, ma altrettanto certamente non esaurisce tutto quello di cui si ha bisogno.