amistà (amistade; amistate)
Questo sostantivo (le forme non apocopate sono meno frequenti della tronca e senza rilevanza semantica o stilistica, sì che risulta inutile distinguere percentuali o posizioni) è di uso e ambito quasi esclusivamente prosastico (un solo caso nelle Rime); oltre a Cv II XII 3, in cui serve a tradurre il titolo de De Amicitia di Cicerone, ricorre per lo più nel senso comune di " rapporto affettuoso " genericamente inteso, " consuetudine di benevolenza scambievole ".
1. Ciò avviene in primo luogo nel corso di una discussione che illumina di riflesso il concetto di amicizia, in quel capitolo XI del III libro del Convivio che rappresenta lo sforzo più vistoso di D. per caratterizzare una nozione per molti aspetti marginale nel suo trattato (tale infatti rimane rispetto alla linea maestra della tematica generale e dell'argomentazione specifica, incentrata com'è sul problema della Filosofia); e invece sottintesa e assorbita e operosa nella Commedia, soprattutto nel Purgatorio, cantica dell'amicizia, quantunque non espressa attraverso un lessico adeguato. (Risultano assai poche in fondo - vedi AMICIZIA; AMISTANZA - le ricorrenze degli astratti di ‛ amico ' in D.). Cosicché siamo costretti a leggere in controluce o a contrasto l'idea che D. ha dell'amicizia, e a puntare soprattutto su questo passo, tanto più importante quanto più isolato ed eccezionale. Tra le affermazioni più notevoli di tale excursus è quella infatti, suggerita per via di paragone (e una volta tanto, a differenza di quanto si verifica in molte similitudini dantesche, in primo piano passa il secondo termine, cioè proprio la Filosofia) in III XI 9, dove s'insiste sul carattere non egoistico della vera amicizia per ritrovarlo però - a suffragio della ragion etimologica - anche nella Filosofia, amore disinteressato del sapere: E sì come l'amistà per diletto fatta, o per utilitade, non è vera amistà ma per accidente, sì come l'Etica ne dimostra, così la filosofia...; XI 11 E sì come intra le spezie de l'amistà quella che per utilitade è, meno amistà si può dicere, così questi cotali [cioè legisti, medici e religiosi] meno participano del nome del filosofo che alcuna altra gente; per che, sì come l'amistà per onestade fatta è vera e perfetta e perpetua, così la filosofia... E proseguendo sul duplice binario, che indica sì la presenza assidua alla mente di D. del concetto di amicizia - nonostante le angustie lessicali sopra rilevate - ma anche la sua sudditanza rispetto alla vasta problematica della Filosofia, e insomma la rinuncia di D. ad approfondirlo nella sua autonomia quanto più impellente era in lui il lievito dell'amicizia in re, dei suoi tanti amici, reali e ideali, dell'atmosfera affettuosa e colloquiale che dalla vita rifiorirà nel Purgatorio: si può dire, come la vera amistà de li uomini intra sé è che ciascuno ami tutto ciascuno, che 'l vero filosofo ciascuna parte de la sua sapienza ama... E sì come la vera amistade, astratta de l'animo, solo in sé considerata, ha per subietto la conoscenza de l'operazione buona, e per forma l'appetito di quella; così la filosofia... E sì come de la vera amistade è cagione efficiente la vertude, così de la filosofia è cagione efficiente la veritade. E sì come fine de l'amistade vera è la buona dilezione, che procede dal convivere secondo l'umanitade propriamente, cioè secondo ragione... così fine de la Filosofia... (XI 12-14). Tale digressione era stata preceduta da una propedeutica generale, dove per la verità sembrava invece prevalere il primo termine del confronto (anche a considerare che il punto di partenza era pur sempre la dichiarazione etimologica dei termini ‛ filosofo ' e ‛ Filosofia ', con passaggio secondario da ‛ filos ' ad amore ' ad ‛ amicizia '): III 11; XI 7 e 8 non diciamo Gianni amico di Martino, intendendo solamente la naturale amistade significare per la quale tutti a tutti semo amici, ma l'amistà sopra la naturale generata, che è propria e distinta in singolari persone. Così non si dice filosofo... Ne la 'ntenzione d'Aristotile... quelli si dice amico la cui amistà non è celata a la persona amata... E così, acciò che sia filosofo...; XI 16 dicemo, mostrando l'amico, vedi l'amistade mia'.
A caratterizzare nuovi aspetti del concetto D. s'induce in altri luoghi adiacenti e remoti, tuttavia congegnati sempre in funzione di altro argomento, in apparenza più urgente al suo orizzonte ideologico. Così dove riconosce nell'utilità del dono (nella fattispecie il suo convento in volgare alle canzoni) un autentico nutrimento de l'amistade (I VIII 12); oppure afferma che la prossimitade è seme d'amistà (XII 6), e quindi del proprio attaccamento alla parlata materna; ovvero - a spiegare la genesi e i modi della ‛ loda ' per la ‛ Donna gentile ' - sostiene la tesi che intra dissimili amistà essere non possa e che pertanto dovunque amistà si vede similitudine s'intende (III I 5), ribadita in I 7 (due volte), 8 e XII 3 (due volte), 4; o ancora definisce l'adolescenza come l'età soave in cui si seminano la maggiore parte de l'amistadi (IV XXV 1) e, negativamente, il traditore come colui che sotto pretesto d'amistade chiude lo difetto de la inimistade (XII 3).
È ovvio dunque, date queste premesse, che riesca più immediata in D. - nei limiti rigorosamente segnati - l'adibizione di a. al senso figurato, riferita cioè a un termine astratto, anzi in funzione del polo di confronto: I XII 2 dirò come a lei [la mia loquela propria] fui fatto amico, e poi come l'amistà è con fermata; XIII 1, 7 e 9; XIII 10 E così si vede essere a questa amistà [col volgare] concorse tutte le cagioni generative e accrescitive de l'amistade [da una parte la prossimitade e la bontade, e dall'altra lo beneficio, lo studio e la consuetudine]. Con altro e ormai saggiato punto di riferimento, in III XV 17 0 peggio che morti che l'amistà di costei [la Sapienza] fuggite.
Sta a sé l'esempio offerto da Vn XXII 2, ove si allude a un legame particolarmente stretto e affettuoso, con ciò sia cosa che... nulla sia sì intima amistade come da buon padre a buon figliuolo e da buon figliuolo a buon padre, per lumeggiare pateticamente il dolore di Beatrice alla morte del genitore.
2. A questo punto diventa più pregnante e significativo l'uso che D. fa del termine astratto a indicare un rapporto preciso con persona ben determinata e individuata, e non più con un correlativo ideologico (per il concreto si verifica invece la condizione opposta).
Alludiamo in primo luogo a quel celebre passo della Vita Nuova (III 14) che ci introduce nel mezzo della società letteraria del tempo e delle costumanze già allora invalse di tenzoni e corrispondenze per le rime su argomenti di varia casistica morale, gnomica o (come qui) amorosa: A questo sonetto fue risposto da molti e di diverse sentenie [per quel che sappiamo, Guido Cavalcanti, Dante da Maiano, Cino da Pistoia o forse meglio Terino da Castelfiorentino]; tra li quali fue risponditore quelli [il Cavalcanti] cui io chiamo primo de li miei amici, e disse allora uno sonetto, lo quale comincia: Vedeste, al mio parere, onne valore. E questo fue quasi lo principio de l'amistà tra lui e me; ma soprattutto segna la primavera di quella ‛ sodalitas ' che rappresenterà nel Duecento il più insigne esempio di affinità elettiva, come nel Trecento quella sorta fra il Petrarca e il Boccaccio.
Si tratta in secondo luogo di Vn XXXII 1, dove oltre ad aprire un prezioso spiraglio su altra consuetudine di quei tempi (poi canonizzata nei secoli successivi quale cerimonia mondana e gioco di società), cioè la richiesta di versi d'occasione rivolta a lui come al poeta più prestigioso, D. allude forse a Manetto forse a Ricovero Portinari (ma più al primo che al secondo) come a uno, lo quale, secondo li gradi de l'amistade, è amico a me immediatamente dopo lo primo (ancora, Guido).
In quest'ambito riesce di molto interesse un'analisi stilistica dell'uso di a. nel Fiore, in particolare per l'insistenza sull'accostamento non puramente sintagmatico ‛ amare ' - ‛ amistate ' (poco importa se legato costantemente - quasi per raffinata malizia - al turpe personaggio di Falsembiante): CVI 5 i' amerei assa' meglio l'amistate / del re di Francia che quella a colui [al povero mendicante] / che va caendo per l'uscio l'altrui; CXXXV 7 Sed egli amasse tanto l'amistate [qui con valore di " familiarità ", " intimità ", a sfondo lubrico e carnale] / del fior quanto vo' [Malabocca] dite, a buona fede!, / egli [Amante] ha gran pezza che v'avria morto. Il rapporto delle due nozioni infatti risulta caratteristico di D. nelle opere canoniche; anzi rivelato per sua espressa dichiarazione, in adesione a una venerata topica antica, in Cv IV I 1 (ma già per iscorcio in Rime CVI 133).
Meno interessante dal punto di vista concettuale (in quanto svaria verso l'uso generico o di maniera) Fiore LXXXIX 7 I' sì mi sto con que' religiosi / ... e sì si mostran molto soffrettosi rettosi / ... sì che per ciò mi piace lor amista: la forma con accento ritratto (in rima con vista, trista, acquista) potrebbe anche giustificarsi come analogica sulla serie di nominativali del tipo ‛ maiesta ', ‛ podesta ', ecc.; tanto più, accertato che a. risalga - attraverso il provenzale amistat e l'antico francese amistiet - a un latino volgare * amicitas -atis.