AMIR KHUSRAW, Yamīn ad-dīn Abū'l-Ḥasan
Poeta persiano, nato nel 651 èg. (1253 d. C.) a Patyālī nell'India, dove il padre si era rifugiato fuggendo l'invasione mongola, morto a Dehli nel 725 èg. (1325 d. C.), dopo avere goduto nella lunga vita il favore di sette consecutivi sovrani di Dehli. La sua copiosissima produzione letteraria (si vuole arrivasse a scrivere mezzo milione di versi!), che fa di lui una tra le più notevoli figure della letteratura persiana in India, dimostra soprattutto profondo l'influsso di Niẓāmī (v.), il grande poeta persiano del sec. XII. Sull'esempio di Niẓāmī, e riprendendo soggetti già da lui trattati, anche Amīr Khusraw compose la sua Khamsah (lett. Quintetto), corpus di cinque poemi epico-lirici, e cioè:1) Shīrīn wa Khusraw (la storia d'amore di Cosroe e Shīrīn, già trattata con lo stesso titolo, invertito, da Nizāmī), 2) Maǵnūn wa Laylà (altro romanzo d'amore, con identico titolo in Niẓāmī); 3) Maṭla‛ al-anwār (la levata delle luci, poema mistico ricalcato sul Makhzan al-asrār di Niẓāmī); 4) Hasht Bihisht (gli otto paradisi), e 5) Ā'īneh-i Iskandar (specchio di Alessandro), rispettivamente corrispondenti al Haft Paykar e al Sikandar nāmeh niẓāmiano. Oltre a questi poemetti, Amīr Khusraw scrisse divani lirici, che raccolse sotto varî titoli allusivi alle diverse età della vita in cui li aveva composti, una novella d'amore in versi (Duwalrānī Khiḍr Khān), un epos politico su eventi contemporanei (Qirān as-sa‛dayn) e numerose altre opere poetiche che non occorre qui enumerare.
Il valore artistico di Amīr Khusraw, come di gran parte dei poeti suoi contemporanei, è ben scarso; notevole è però la sua importanza per la storia della cultura, quale propagatore in India degli spiriti e delle forme predilette dalla poesia persiana.
Bibl.: I. Pizzi, Storia della poesia persiana, Torino 1894, I, pp. 104-106, II, pp. 197-98; H. Ethé, in Grundriss der Iran. Philol. di Geiger e Kuhn, Strasburgo 1896-1904, II, pp. 244-45; E. G. Browne, A history of persian Literature under Tartar Dominion, Cambridge 1920, pp. 108-110.