DE AMBRIS, Amilcare
Nato a Licciana (oggi Licciana Nardi), in provincia di Massa e Carrara, il 4 nov. 1884 da Francesco e da Valeria Ricci, fu fratello minore di Alceste, nonché suo seguace e collaboratore nelle complesse vicende del sindacalismo rivoluzionario italiano, distaccandosi dalla leadership fraterna nel 1926, allorché aderì al sindacalismo fascista. Nel 1914 mutò il proprio cognome in De Ambri.
Di carattere mite, scarsa preparazione culturale e vivace intelligenza - come viene segnalato dalla prefettura di Parma nel 1908 -, arruolatosi sedicenne in marina, fu congedato nel dicembre 1907 col grado di caporale e la specializzazione di fabbro. Invitato a trasferirsi a Parma nel febbraio 1908 dal fratello Alceste, segretario della locale Camera dei lavoro, accolse l'invito e prese a lavorare come meccanico nell'officina di un anarcosindacalista. In breve tempo "abbracciò con ardore le idee sindacaliste" (segnalazione della prefettura del 1908) e iniziò a svolgere un'intensa attività organizzativa presso la Camera del lavoro (C. d. L.) nel momento in cui nelle campagne parmensi più acute si facevano le tensionifrabraccianti e agrari. Il D. avrebbe legato all'Emilia e a Parma inparticolare la quasi totelità della sua attività sindacale fino al 1923.
Nella geografia politico-sindacale del periodo, l'Emilia costituiva la roccaforte bracciantile del sindacalismo rivoluzionario; tali erano le camere del lavoro di Parma, Modena, Cesena, Piacenza, Mirandola, Ferrara e Bologna e dal sindacalismo furono ispirate le grandi lotte bracciantili del 1908. Parma in particolare fu l'epicentro sia dell'organizzazione socialista sia della più grande lotta proletaria di quel periodo: lo sciopero dei braccianti del marzo-agosto 1908.
A seguito della repressione che spezzò lo sciopero - con l'incarcerazione di molti dirigenti e militanti sindacali e l'espatrio di altri -, il D. partecipò all'opera di ricostruzione degli organismi sindacali duramente provati, trovandosi a dover ricoprire incarichi di responsabilità nella C.d.L. e nel settembre 1908 divenne segretario del sindacato dei lavoratori della terra (l'anno stesso aveva partecipato ai lavori del IV congresso della Federazione giovanile socialista, della quale era ancora membro). Nel gennaio 1909 entrò nel direttivo e a maggio prese parte al convegno della tendenza sindacalista rivoluzionaria (Congresso nazionale di resistenza, Bologna 7-12 maggio) sostenendo la proposta, che ivi risultò maggioritaria, che i rappresentanti delle camere del lavoro e delle categorie facenti capo alla tattica dell'azione diretta dovessero farsi carico dell'unità proletaria e rinnovare l'adesione alla Confederazione generale del Lavoro (C.G.d.L.), evitando così per l'immediato una rottura ritenuta pericolosa.
La scelta di mantenere l'unità organizzativa col sindacato confederale fu confermata nel successivo congresso sindacalista (Bologna, 12 dic. 1910), ma ciò non impedi l'accentuarsi delle polemiche che portarono nel giro di due anni alla necessità di sancire anche sul terreno dell'organizzazione nazionale una scissione lacerante in seno alla classe operaia e alle organizzazioni sindacali.
Negli anni successivi, funzionario della C.d.L. "sempre pronto - come segnalavano le autorità - a spingere le cose agli estremi", il D. divenne personaggio essenziale, per le sue notevoli capacità organizzative ed oratorie, del movimento sindacalista emiliano e ricoprì vari incarichi fra cui quello di segretario del sindacato provinciale delle costruzioni. Arrestato a Parma nel novembre del 1911, in seguito a mandato di cattura per eccitamento alla devastazione e alla strage e associazione per delinquere per lo sciopero insurrezionale di Piombino del 24 sett. 1911, fu prosciolto nel marzo 1912 per insufficienza di indizi.
Divenuto vicesegretario della C.d.L. di Parma, in un comizio del maggio 1912 al teatro Verdi polemizzò contro la guerra di Libia. Successivamente fu per alcuni mesi segretario della C.d.L. di Mirandola e poi di Modena. Nel novembre 1912 fu relatore al congresso costitutivo dell'Unione sindacale italiana (U.S.I.), che segnò la rottura organizzativa fra l'anarcosindacalismo e il sindacalismo confederale.
La relazione del D., oltre ad una succinta storia delle polemiche intercorse fra sindacalismo rivoluzionario e C.G.d.L., conteneva un duro attacco ad alcuni aspetti, ritenuti decisivi, del cindacalismo riformista: il "confessionalismo politico" e l'"autoritarismo centralista". Se col primo la- C.G.d.L. aveva legato strettamente "la propria sorte a quella dei partito socialista - peggio ancora: ad una frazione di questo partito", allontanando inevitabilmente da sé tutti coloro che non si sentivano "per nulla disposti a vincolare la propria azione di organizzati per fare gli interessi di un partito che non è il loro", il secondo - "sul quale la C.G.d.L. poggia tutto il suo sistema" - appariva al dirigente sindacalista "nemico dell'unità operaia" in quanto costringeva a "subordinare alle teoriche necessità di un unitarismo puramente formale le necessità pratiche del movimento locale e della psicologia proletaria". Era una ricostruzione almeno in parte esatta dei sindacalismo riformista ma che prescindeva da un'analisi strutturale sia delle condizioni sociali del proletariato, sia della denunciata degenerazione dei principio d'autorità nella C.G.d.L.
Il D. a questo punto - senza evitare di rinfocolare antiche polemiche ideologiche ("non è soltanto una questione di metodo che ci divide dai riformisti. Il diverso metodo è determinato dal fatto che essi mirano ad uno scopo diverso") -escludeva che il sindacalismo rivoluzionario, pur essendo potenzialmente maggioritario all'interno della classe operaia, potesse divenire egemone nella C.G.d.L. e come soluzione proponeva nella mozione congressuale la costituzione dell'U.S.I., sulle basi "dell'aconfessionalismo, dell'apoliticismo di partito e dell'autonomismo sindacale", in alternativa alla C.G.d.L.
"Nel complesso - come suggerisce Adolfo Pepe - la soluzione della scissione non risolveva il problema della direzione del proletariato. Anzi, essa appariva come una manifestazione della crisi degli stessi gruppi dirigenti, incapaci di trovare soluzioni strategiche e organizzative adeguate alla crescente attivizzazione e pressione delle masse proletarie. Era insomma il risultato concomitante di due crisi insolute, piuttosto che il loro superamento" (1971, p. 80).
Eletto nel comitato centrale dell'U.S.I. in rappresentanza di Modena, lasciò presto quella C.d.L. per divenire - a seguito dell'arresto dei sindacalista Decio Bacchi - segretario del sindacato metallurgico milanese alla cui costituzione aveva egli stesso contribuito, in contrapposizione alla Federazione metallurgica della C.G.d.L. A Milano fu fra i promotori dello sciopero del 9 giugno 1911, indetto per protesta contro l'eccidio di Rocca Gorga, e degli scioperi dei metallurgici e dei ferrovieri nel giugno-luglio dello stesso anno. Partecipò al successivo congresso dell'U.S.I. (Milano, 4-7 dic. 1913) ma prese la parola solo nel comizio di chiusura. Era ormai divenuto uno dei massimi dirigenti del sindacalismo rivoluzionario italiano e in quel periodo venne ripetutamente segnalato per una lunga serie di accesi comizi contro la guerra di Libia - ad esempio quello del 29 luglio 194 a Milano, insieme a Benito Mussolini e all'on. Pietro Chiesa - per i quali riportò anche lievi condanne. Fu fra i dirigenti, nel giugno 1914, della mobilitazione contro la repressione seguita alla "setti-nana rossa" di Ancona e per la liberazione del sindacalista Filippo Corridoni e a seguito di questa manifestazione fu denunciato per istigazione all'odio fra le classi.
Lo scoppio del conflitto europeo e il diffondersi dell'interventismo democratico attenuarono la carica pacifista dell'U.S.I.; dall'agosto 1914 al suo interno si scontrarono la tendenza libertaria e neutralista di A. Borghi e l'interventismo a favore dell'Intesa dei fratelli De Ambris e ciò dette luogo ad una rottura che portò gli interventisti minoritari ma forti del consenso delle unioni sindacali di Parma e Milano - fuori dall'U.S.I., alla costituzione dell'Unione italiana del lavoro. Il D. stesso fu organizzatore di un comitato per la diffusione dei fasci rivoluzionari interventisti.
Nel settembre 1915 fu richiamato alle armi e si congedò nel 1919. Stabilitosi nuovamente a Parma, rientrò nelle fila dei sindacalismo rivoluzionario, lavorò alla riorganizzazione della U.I.L., divenne segretario del a C.d.L. provinciale e direttore del suo organo, L'Internazionale. In quegli anni fu inoltre ispettore generale del Sindacato delle cooperative aderenti alla U.I.L., collaboratore del settimanale Battaglie dell'Unione italiana del lavoro e redattore capo del settimanale sindacalista milanese La Rivoluzione. Nel 1921 lavorò in particolar modo alla vertenza dei muratori e allo sciopero agrario nell'alto medio Parmense.
Dopo la pur vittoriosa resistenza antifascista dell'agosto 1922, i fratelli De Ambris, resisi conto della sconfitta cui il movimento operaio stava andando incontro, furono promotori alla fine del 1922 di un tardivo quanto vano tentativo - cui concorsero fra gli altri Rinaldo Rigola e Gabriele D'Annunzio - di ricucire l'unità sindacale con la C.G.d.L. (e il settimanale milanese Sindacalismo fu uno degli strumenti di questa confusa operazione). Allorché i fascisti - aprile 1923 -devastarono la C.d.L. di Parma, essi furono costretti ad abbandonare la città e si trasferirono in Francia.
In un primo tempo il D. si impegnò nella propaganda antifascista, poi (fine 1923) si stabilì alla Spezia dove prese a gestire una miniera di ferro in località Rocchetta Vara, acquistata in comproprietà con i fratelli, lontano da ogni attività politica. Fu nel 1926 che - su invito dell'ex anarcosindacalista Edmondo Rossoni, passato al fascismo nel 1919 e divenuto segretario della Confederazione nazionale dei sindacati fascisti - il D. tentò l'inserimento nelle nuove strutture sindacali create dal fascismo per il contenimento dei conflitti di lavoro. Era il periodo in cui si andava elaborando lo. carta. del lavoro, e il D. non sarebbe stato l'unico dirigente sindacale a subire il fascino dell'"esperimento" corporativo. Nel settembre 1926 fece pervenire a Mussolini per tramite della madre dello scomparso sindacalista Filippo Corridoni (la cui figura durante il fascismo era assurta ai fasti del mito) una missiva in cui, anche a seguito del recente attentato di Anteo Zamboni, protestava i suoi sentimenti di fedeltà al fascismo e al duce. Ebbe un incontro al ministero degli Interni e nel novembre 1926 fu chiamato a Roma a dirigere l'ufficio contratti della Federazione nazionale dei sindacati fascisti dell'industria.
La sua nomina suscitò gli sfavorevoli commenti degli industriali emiliani, che ben lo conoscevano come agitatore sindacale, sul Corriere emiliano. In sua difesa intervenne, sul Lavoro d'Italia, lo stesso Edmondo Rossoni il quale, senza incontrare sostanziali opposizioni da parte di Mussolini, favoriva l'immissione di ex socialisti, e soprattutto sindacalisti, nel ruolo dei quadri dirigenti del corporativismo. Va qui però rimarcato un notevole ritardo storiografico che ci impedisce di seguire più in dettaglio le vicende del D. quale dirigente sindacale fascista (del resto, nel 1931, il suo nome fu espunto dallo schedario dei sovversivi e non ci sono ulteriori informazioni della polizia sul suo conto). Nel 1928 aveva sposato Maria Corridoni, sorella del noto sindacalista.
Il D. avrebbe dedicato al sindacalismo fascista tutti gli anni fino alla Liberazione. Nel dicembre 1934 fu nominato segretario della Federazione nazionale fascista dei lavoratori delle industrie meccaniche e metallurgiche, venendo così a figurare fra i massimi dirigenti della Confederozione fascista dei lavoratori dell'industrio. della quale divenne, nel dicembre 1938, vicepresidente. In questa veste il D. fu membro di diritto della Carnera dei fasci e delle corporazioni fin dalla sua istituzione, divenendo segretario della Commissione legislativa dell'industria, incarico che ricoprì con notevole assiduità fino al 1942. Dal 1936 al 1942 va inoltre segnalata la sua collaborazione alla Rivista del lavoro, mensile della Federazione fascista dei lavoratori dell'industria, in merito a problemi vertenziali e di organizzazione del lavoro.
Nel marzo 1943, allorché nelle fabbriche del Nord si dispiegò il grande sciopero industriale, il D. rifiutò di recarsi a Torino e a Milano per prestare la sua opera di paciere, segnando di fatto il suo distacco dal fascismo. Dopo la Liberazione, nel 1946, fondò il giornale Vita del lavoro (1946-1948). schierato a favore del sindacato unitario ma per la collaborazione fra le classi. Diede vita nel 1947 al Movimento sindacalista italiano - di cui Vita del lavoro divenne l'organo -, gruppo che aderì alla Confederazione generale italiana del lavoro, battendosi per l'indipendenza della confederazione dall'ingerenza dei partiti politici, in realtà su posizioni moderate. A seguito della scissione sindacale del 1948, il gruppo ispirato dal D. aderì alla Unione italiana del lavoro.
Il D. morì a Roma il 24 dic. 1954.
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