VESPUCCI, Amerigo.
– Nacque a Firenze il 9 marzo 1454, da Nastagio (detto Stagio) di Amerigo Vespucci, notaio, e da Elisabetta (detta Lisabetta o Lisa) di Giovanni Mini, notaio originario di Montevarchi. Era il terzogenito, dopo Antonio e Girolamo; sarebbero poi nati il fratello Bernardo e la sorella Agnoletta.
La famiglia di Amerigo versava da tempo in condizioni non particolarmente floride, quanto meno stando alle ‘portate al catasto’, cioè alle dichiarazioni fiscali.
Nelle portate del 1457 e del 1470, Nastagio – all’epoca notaio dell’arte dei vaiai – dichiarò di abitare in affitto; così ancora nella portata del 1480, quando era notaio dell’arte del cambio (in tempi diversi lo fu anche degli ufficiali del Monte e della Signoria), pur possedendo alcuni terreni. Ma più significativo è il carico di sei persone da lui dichiarato in quella portata: la moglie, i quattro figli maschi e Caterina, moglie del primogenito Antonio, mentre la figlia Agnoletta non venne più ricordata dopo la portata del 1457, probabilmente perché morta.
A causa delle doti personali del giovane Amerigo, Nastagio scelse per lui una carriera diversa da quella di notaio, e ne affidò l’educazione al fratello minore, il canonico Giorgio Antonio, l’umanista della famiglia.
Tuttavia gli studi di Amerigo dovettero limitarsi all’apprendimento ‘pratico’ del latino, in una misura giusto sufficiente per svolgere mansioni di segreteria (stando alla Lettera a Piero Soderini, l’apprendimento si sarebbe addirittura limitato ai rudimenti grammaticali).
Da Giorgio Antonio, il giovane Amerigo dovette in realtà soprattutto derivare quella ‘attrezzatura’ scientifica, cosmografica e cartografica che sarebbe poi stata la sua principale risorsa per le navigazioni oceaniche, tanto più che all’epoca Firenze era riconosciuta come «la capitale degli studi astronomico-matematici» (Gentile, in Amerigo Vespucci..., 1991, p. 36).
La Geografia di Tolomeo fu ben nota ad Amerigo, come testimoniano la menzione di Taprobana – nome che gli antichi greci avevano dato all’isola di Ceylon – nella prima e nella terza lettera ‘familiare’ (pp. 41-43), sia pure con la consapevolezza, chiaramente espressa nella stessa prima familiare, che la pratica è superiore alla teoria. Altrettanto nota è l’abilità di cartografo di Amerigo, in seguito ufficialmente riconosciuta con la nomina a piloto mayor.
Una buona occasione per mettere a profitto questo apprendistato non professionale, ma altamente formativo, si presentò nel 1478, quando Amerigo accompagnò un suo lontano parente, Guidantonio Vespucci, in una missione diplomatica a Parigi, affiancandolo come segretario. Rientrato a Firenze, entrò al servizio di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico, se non nel 1480 (al termine della missione), probabilmente subito dopo la morte di ser Nastagio, che sappiamo anteriore al 15 ottobre 1483. È assai probabile che l’assunzione molto dovesse ai buoni uffici di Guidantonio, ma soprattutto di Giorgio Antonio, di cui Lorenzo di Pierfrancesco era stato allievo.
Quest’ultimo nel 1488, insieme al fratello Giovanni, divenne proprietario di un florido banco. Era appassionato di geografia, come riconobbe lo stesso Vespucci, eleggendolo a destinatario delle sue lettere familiari (e del Mundus novus). Nel 1494, quando a Firenze fu restaurata la repubblica, Lorenzo e Giovanni si unirono alla parte filofrancese e, per distinguersi dal ramo di Piero de’ Medici (costretto alla fuga dall’arrivo delle truppe di Carlo VIII), adottarono il nome di Popolani.
Il nuovo impiego di Vespucci fu quello di un ‘uomo di negozi’, un factotum di fiducia, e lo obbligò ad alloggiare presso il padrone tanto a Firenze quanto nelle ville di Trebbio e di Cafaggiolo. Le settantuno lettere a lui indirizzate – oggi conservate nell’Archivio di Stato di Firenze e per la prima volta raccolte da Ida Masetti Bencini e Mary Howard Smith (1902 e 1903) – ci offrono un vero e proprio spaccato della sua vita quotidiana negli anni 1483-91. Nelle prime lettere, Vespucci è soprattutto il domestico della moglie di Lorenzo, Semiramide Appiani, e a lui sono affidati la cura del guardaroba e del vasellame e l’approvvigionamento della mensa; a mano a mano che si avanza nel tempo, le sue mansioni si allargano ai rapporti con i fattori per la gestione delle terre, compresa la vendita dei prodotti della campagna al prezzo da lui stabilito. Ma a Vespucci ci si rivolge anche per raccomandazioni e richieste di mediazioni, come a un tramite con il suo padrone. Naturalmente, Amerigo fu anche costretto a viaggiare, dapprima non lontano, a Piombino e a Pisa. E fu proprio a Piombino che – con la notizia dell’improvvisa malattia, poi superata, dello zio Giorgio Antonio – comparve sulla scena Donato Niccolini, soprintendente, con il fratello Simone, della gestione del banco Medici a Siviglia, dove Vespucci presto si stabilì.
Il 10 novembre 1491 Amerigo risiedeva ancora a Firenze; il primo documento che ne attesta la presenza a Siviglia – una procura a favore di Lorenzo e di Giovanni di Pierfrancesco, che Amerigo firmò come testimone – è datato 10 marzo 1492 (1491, nel testo, secondo lo stile fiorentino; il documento in Luzzana Caraci, 1996, p. 87).
Sede di una prospera ‘colonia’ di mercanti fiorentini, Siviglia era inserita in una rete di affari che si estendeva fino a Lisbona e all’Atlantico settentrionale, e partecipava così alle occasioni di guadagno offerte dall’espansionismo portoghese in Africa, tra cui il commercio degli schiavi. Tra i ‘mercanti schiavisti’ c’era il fiorentino Giannotto Berardi – che commerciava anche in tessuti, pellame d’Irlanda e legname –, al quale i Popolani affidarono la gestione del loro banco sivigliano. Con i preparativi per il primo viaggio di Cristoforo Colombo, di cui Berardi era divenuto consulente e finanziatore, il volume degli affari del fiorentino dovette essere tale da rendergli sempre più difficile la gestione del banco. Di qui, la probabile richiesta di un collaboratore, cui i Popolani dovettero rispondere inviando a Siviglia il loro fedele factotum Vespucci.
Nella procura del 10 marzo, accanto a Berardi troviamo Amerigo e altri due fiorentini, Niccolini e Girolamo Ruffaldi. Di fatto Berardi e Niccolini si unirono in una società, i cui ‘fattori’ erano Vespucci e Ruffaldi. Nel 1494 questa si sciolse, dando vita a due società distinte: a Niccolini si associò Piero Rondinelli, che nel 1496-97 gli succedette nella gestione del banco dei Medici, mentre Vespucci e Ruffaldi rimasero, come fattori, a fianco di Berardi, sempre più assorbito dalla gestione degli affari che lo legavano a Colombo, allora impegnato nel suo secondo viaggio.
Nel 1494 Berardi fu incaricato dell’allestimento delle quattro navi che Antonio de Torres avrebbe dovuto portare nell’isola di Hispaniola con un carico di coloni e di rifornimenti; il 9 aprile 1495 ricevette la commessa di una flotta di dodici caravelle, da fornire in gruppi di quattro, destinata allo stesso de Torres, nel frattempo rientrato in Spagna con un carico d’oro e di schiavi, che Vespucci prese in consegna il 21 ottobre 1495.
La revoca dell’autorizzazione reale della vendita di schiavi indios fu l’inizio del tracollo economico per Berardi, che morì improvvisamente il 15 dicembre 1495, lasciando a Vespucci e Ruffaldi il compito di terminare l’allestimento della flotta. Il 3 febbraio 1496 partirono le prime quattro caravelle, che però fecero naufragio al largo della costa spagnola, così che la compagnia dovette essere liquidata. Vespucci, che probabilmente aveva stabilito con Berardi una vera e propria società, si incaricò della relativa liquidazione, interrompendo ogni rapporto economico con Colombo e trovandosi, a quarantadue anni, improvvisamente disoccupato.
Riguardo agli anni immediatamente successivi, sappiamo che Vespucci fu lontano dalla Spagna almeno a partire dal 14 maggio 1499, data delle due procure lasciate a María Cerezo e al fratello di questa Fernando Cerezo, che probabilmente alludono all’imminenza di un lungo viaggio, da identificare con quello compiuto, su navi spagnole, tra il 18 maggio 1499 e il 18 (o 28) luglio 1500 (o tra il 16 maggio 1499 e l’8 settembre 1500, secondo un’altra tradizione). Le testimonianze in nostro possesso concordano, inoltre, sul passaggio di Vespucci al servizio di Emanuele I (Manuel), re del Portogallo, subito dopo il rientro in Spagna, e comunque prima dell’8 maggio 1501; infatti, in quello stesso mese (forse il 10) Vespucci salpò da Lisbona per il viaggio più importante tra i quattro a lui attribuiti, da cui sarebbe rientrato solo nell’estate del 1502. La procura del 1499 non esclude, evidentemente, l’esistenza di altre precedenti, e pertanto nemmeno un viaggio spagnolo anteriore a quell’anno, non potendosi neppure escludere un rientro temporaneo a Firenze nel 1498, come risulterebbe da una portata al catasto avente quella data. Egualmente incerto è l’anno in cui Vespucci lasciò il Portogallo per rientrare definitivamente in Spagna: in una lettera del 3 ottobre 1502 (Luzzana Caraci, 1996, p. 132), il già ricordato Rondinelli dichiara ormai prossimo il rientro di Vespucci a Siviglia, ma, in assenza di altre testimonianze, non è inverosimile che quest’ultimo possa essere rimasto al servizio di Emanuele I per altri due o tre anni, durante i quali avrebbe compiuto il secondo viaggio portoghese a lui attribuito, che la tradizione data tra il 10 maggio 1503 e l’8 giugno 1504. In ogni caso, in una lettera di Colombo al figlio Diego del 5 febbraio 1505 si afferma che Vespucci era in procinto di recarsi a Toro (nella Castiglia nordoccidentale), dove si trovava in quel momento la corte, lì «convocato per questioni relative alla navigazione» (ibid., p. 135). Di fatto, questa è la prima testimonianza sicura del rientro di Vespucci in Spagna, dove in quello stesso anno risulta sposato con la citata María Cerezo. In assenza di dati documentari, siamo dunque costretti a rimetterci alle relazioni di viaggio attribuite a Vespucci.
Anzitutto, le lettere ‘familiari’, indirizzate a Lorenzo di Pierfrancesco e sepolte nelle biblioteche fiorentine (soprattutto nella Riccardiana, dove sono trasmesse dal celebre codice Vaglienti) fino alla metà del XVIII secolo, quando se ne ricominciò la scoperta e la pubblicazione. La prima familiare, datata Siviglia 18 (o 28) luglio 1500, narra del già ricordato viaggio spagnolo del 1499-1500, che possiamo identificare con quello di Alonso de Ojeda e Juan de la Cosa, al quale Vespucci – che, contrariamente all’opinione comune, non fu mai comandante di navi – partecipò come pilota (astronomo e cartografo), anche se non è stato escluso un suo ruolo e interesse autonomo (Luzzana Caraci, 2007, pp. 109-111).
Si trattava di una delle spedizioni intraprese a partire dal 1498 sulla scia del terzo viaggio di Colombo, che il 31 luglio di quell’anno era approdato nell’attuale Venezuela, in prossimità del golfo di Paria (detto allora la ‘Costa’ o la ‘Terra delle perle’).
Stando a questa lettera, la flotta sarebbe sbarcata in un punto dell’attuale Guiana francese, per poi risalire la costa del Venezuela fino al capo della Vela, con approdi nelle isole del golfo di Maracaibo (o di Venezuela): Trinidad, Curaçao (che de Ojeda soprannominò isola dei Giganti) e Aruba. Come Colombo, anche Vespucci era convinto di aver toccato un lembo dell’Asia; aveva fatto però importanti scoperte, come il metodo da lui escogitato per il calcolo della longitudine, basato sulla congiunzione della Luna con i pianeti. La lettera si chiude alludendo ai preparativi di un nuovo viaggio spagnolo (forse quello progettato, ma poi non realizzato, sotto il comando di Diego de Lepe), al viaggio di Vasco da Gama – di cui si critica, a torto, la navigazione di cabotaggio – e alla spedizione portoghese di Pedro Álvares Cabral, salpata da Lisbona nel marzo del 1500, di cui Vespucci sarebbe tornato a parlare nella seconda lettera familiare, quando era ormai passato al servizio del Portogallo.
Le altre due lettere, più brevi, si riferiscono al viaggio portoghese del 1501-02, del quale narrano la parte iniziale, da Lisbona al promontorio di Capo Verde (nell’attuale Senegal), e il prosieguo fino al ritorno a Lisbona. Nella prima lettera (seconda familiare), scritta a Capo Verde il 4 giugno 1501, si racconta dell’incontro con due delle navi superstiti della flotta di Cabral, allora di ritorno dall’India, sicché la lettera, che è la più ‘marcopoliana’ tra quelle attribuite a Vespucci, finisce con l’essere una relazione del viaggio compiuto dallo scopritore del Brasile lungo le coste dell’Africa orientale e dell’Asia, giusta la descrizione fattane dal converso Gaspar da Gama (o da India). Nella seconda lettera (terza familiare), spedita da Lisbona ma priva di data, domina l’orgogliosa consapevolezza della scoperta di una ‘terra nuova’ corrispondente a «una 1/4 parte del mondo», identificata cioè come un nuovo continente esteso fino a 50° sud, latitudine che sarà raggiunta (e superata) solo nel 1519 con la spedizione di Ferdinando Magellano (Fernão de Magalhães). Scarsa di annotazioni di carattere geografico – nonostante i riflessi immediati del viaggio sulla cartografia portoghese –, la relazione è di grande interesse sul piano dell’etnografia, mettendo a profitto un soggiorno di ventisette giorni fra i tupi-guaraní del Brasile.
Queste lettere, che si possono dire private perché indirizzate a un unico destinatario, in realtà dovettero circolare in una cerchia di mercanti non privi di curiosità e di cultura, residenti tanto a Firenze quanto nelle ‘colonie fiorentine’ di Siviglia e di Lisbona. La prima lettera, in particolare, dovette godere di una discreta diffusione (ce ne restano sei manoscritti), mentre la seconda e la terza restano confinate nel citato codice Vaglienti (latore anche della prima), antologia di viaggi compilata a Firenze, tra la fine del Quattrocento e il 1514, dal mercante fiorentino-pisano Piero di Giovanni Vaglienti.
Distinta è la serie delle due relazioni stampate durante la vita di Amerigo e perciò destinate a ben altro successo di pubblico: il Mundus novus latino e la Lettera di Amerigo Vespucci delle isole nuovamente trovate in quattro suoi viaggi, più comunemente nota come Lettera a Piero Soderini, o senz’altro Lettera. A questi testi si aggiunge la testimonianza del Frammento Ridolfi, che l’autore definisce «lettera familiare».
Il Mundus novus è la traduzione latina di un originale perduto, attribuita a un «iocundus interpres» la cui identificazione con l’umanista e architetto Giovanni del Giocondo, veronese operante a Parigi, è tutt’altro che pacifica. Indirizzata, come le tre familiari, a Lorenzo di Pierfrancesco, la lettera fu spedita da Lisbona, si immagina prima che fosse giunta la notizia della morte del destinatario (20 maggio 1503), ma l’originale potrebbe aver preceduto di diversi mesi la pubblicazione della prima edizione, se questa è la stessa che fu stampata ad Augsburg nel 1504. Si tratta di una seconda relazione del viaggio portoghese del 1501-02, la cui partenza è ora fissata al 14 maggio. Come nella seconda familiare, si accredita una sosta presso il Capo Verde, precisamente nell’attuale isola di Gorée (baia di Dakar), ma con l’omissione dell’incontro con le due navi reduci dalla spedizione di Cabral. Da Gorée, la flotta si sarebbe poi rivolta a sud-ovest, raggiungendo l’attuale Brasile il 7 agosto, con successivo rientro a Lisbona il 22 luglio 1502. La lettera, «scritta in un latino piuttosto semplice e di uno stile scorrevole», e internamente suddivisa in dieci paragrafi che ne rendono chiara l’esposizione, ha un intento divulgativo, mirando a «coinvolgere e [...] incuriosire oltre il destinatario [...], anche un vasto pubblico, promuovendo l’immagine di un Nuovo mondo in contrasto con le conoscenze ereditate dalla tradizione classica e dalle scienze antiche» (America sive Mundus novus, a cura di L. Formisano - C. Masetti, 2007, I, p. 23).
Non diversamente dalla terza familiare, la relazione – che non manca di errori e imprecisioni nella stessa indicazione dei venti e perciò della rotta – non si sofferma sull’esplorazione della costa, proclamando, sin dal primo paragrafo, la scoperta di un «Mondo nuovo», nel senso preciso di un nuovo continente distinto dai tre fino ad allora conosciuti, la cui esistenza viene nuovamente dedotta dalla lunghezza della costa e dalla latitudine raggiunta (50° sud). Segue la descrizione degli usi e costumi degli indigeni, che ripete luoghi comuni – già presenti nella prima e soprattutto nella terza familiare, relativa allo stesso viaggio portoghese –, soffermandosi sugli aspetti che più dovevano attirare l’attenzione del lettore: la licenziosità delle donne, la poligamia, l’antropofagia, l’incesto. Si conclude con una sezione cosmografica, in cui si fornisce una raffigurazione schematica del cielo australe, delle sue stelle e dei loro movimenti – tema sommamente vespucciano – e si rende conto della posizione del nuovo continente rispetto a Lisbona. Negli ultimi paragrafi, probabilmente un’aggiunta, il mittente afferma che il viaggio, qui chiamato «terza giornata», è stato preceduto da altri due (le prime due «giornate») compiuti per conto del «serenissimo re di Spagna», ossia Ferdinando il Cattolico. Si aggiunge la notizia dei preparativi di una «quarta giornata», ancora al servizio del re di Portogallo, per cui i viaggi portoghesi salirebbero a due, tanti quanti sono i viaggi spagnoli che li avrebbero preceduti. Il Mundus novus si pone così alle origini di una tradizione che la Lettera a Piero Soderini si sarebbe incaricata di confermare.
La Lettera, datata Lisbona 4 settembre 1504, fu stampata a Firenze, se non proprio in quello stesso anno subito dopo, e conobbe una grande fortuna, come mostrano i pochissimi esemplari che sono sopravvissuti e la circolazione parallela in forma manoscritta, oggi documentata da tre codici, tutti indipendenti dalla stampa, uno dei quali (la cosiddetta Copia Amoretti, ora nella Biblioteca del Congresso di Washington) contiene delle varianti redazionali.
Nel testo a stampa il destinatario è un ignoto «Magnifico Signore» che ha in mano le sorti della Repubblica fiorentina. In due manoscritti e nella versione raccolta nel primo libro delle Navigationi et viaggi di Giovanni Battista Ramusio (Venezia 1550) è senz’altro identificato con Piero di Tommaso Soderini, gonfaloniere di Giustizia perpetuo (in realtà, fino alla destituzione avvenuta nel 1512): destinatario plausibile in quanto patrono di Vespucci dopo la morte di Lorenzo di Pierfrancesco, che oltretutto poteva vantare legami politici e di parentela con il ramo dei Popolani della famiglia Medici.
La relazione si presenta come una trattazione organica dei viaggi attribuiti a Vespucci, ed è preceduta da un prologo celebrativo del destinatario, che con il mittente sarebbe stato condiscepolo di Giorgio Antonio Vespucci; si aggiunge la menzione del trasferimento in Spagna con lo scopo di «trattare mercatantie» e dei quattro anni (dal 1491 al 1495?) spesi in quell’attività fino all’improvviso ribaltamento causato dalla Fortuna. Segue la relazione dei viaggi: quattro, equamente ripartiti tra Spagna e Portogallo; il tutto chiuso dall’indirizzo finale di saluto, accompagnato dalla menzione del latore della lettera (tal Benvenuto di Domenico Benvenuti) e dalla raccomandazione di avere a cuore la sorte del fratello Antonio e del resto della famiglia.
Il raddoppio del numero dei viaggi si compie con l’aggiunta di un primo viaggio spagnolo e di un secondo viaggio portoghese: il primo negli anni 1497-98, il secondo datato al 1503-04. Nel caso delle navigazioni spagnole, non sfugge che l’aggiunta sia ottenuta attraverso lo sdoppiamento del viaggio narrato nella prima lettera familiare, i cui materiali vengono ridistribuiti in un ordine cronologico e geografico sospetto. Soprattutto suscita dubbi l’anticipazione dello sbarco in terraferma, dal 1498, come nella prima lettera familiare, al 1497, quanto basta perché Colombo perda il primato di aver riconosciuto per primo la continentalità delle terre scoperte, sia pure da lui tenacemente identificate con una parte estrema dell’Asia, un punto su cui peraltro la Lettera non si esprime chiaramente, segnando in questo senso una sorta di regressione nei confronti della terza familiare e del Mundus novus. Comunque sia, se lo sdoppiamento ha come base un viaggio realmente avvenuto tra il 1497 e il 1498, c’è stata quanto meno una manipolazione dei dati che la prima familiare aveva reso disponibili, per cui il viaggio del 1497-98 resta avvolto nel mistero. Meno problematico è invece il secondo viaggio portoghese, che Ilaria Luzzana Caraci ha identificato con la spedizione di Gonçalo Coelho diretta al Brasile, anche se manca la prova documentaria che Vespucci vi abbia realmente partecipato.
Infine, il Frammento Ridolfi (così detto in omaggio a Roberto Ridolfi, che lo scoprì e lo pubblicò nel 1937), dove un Vespucci insolitamente acrimonioso risponde piccato a una lettera, oggi perduta, in cui si riferivano le obiezioni che a Firenze sarebbero state mosse a una sua relazione sul viaggio portoghese del 1501-02. Da quanto si evince dal testo, la relazione presa di mira può ritenersi affine, ma non identica, al Mundus novus, di cui condivide la dichiarazione di due viaggi spagnoli, mentre per altri punti se ne distacca per avvicinarsi alla versione contenuta nella Lettera a Piero Soderini, non senza l’importante precisazione che la longitudine di 50° sud si riferirebbe a una navigazione in alto mare a partire dai 32° raggiunti lungo la costa. Probabilmente, siamo in presenza di un anello della catena che dal Mundus novus conduce alla Lettera; solo che, a differenza di questo, il Frammento Ridolfi si presenta come una lettera familiare, e proprio come le familiari è rimasto sepolto nelle biblioteche in forma manoscritta; segno che un plagio non è necessariamente costruito in vista della stampa. Di fatto, se è ignoto il mittente della lettera di cui il frammento rappresenta la responsiva, la storia di questo testo, che non a caso si autodefinisce «lettera familiare», non è diversa da quella delle tre lettere a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici: è trasmesso in un codice scoperto solo nel secolo scorso, per di più trascritto di seguito a una copia della lettera del luglio del 1500.
Il Mundus novus e la Lettera ebbero una grande fortuna, che determinò anche quella di Vespucci, di volta in volta considerato un astuto impostore o un grande scopritore. Il Mundus novus soprattutto, dove le terre scoperte sono senz’altro identificate con un nuovo continente. L’operetta fu ristampata più volte tra il 1504 e il 1506, con una circolazione particolarmente intensa nei Paesi di lingua tedesca, ma che coinvolse anche Parigi e Anversa. Se ne ebbe anche un’edizione veneziana, probabile punto di partenza per la traduzione veneta inserita nell’antologia dei Paesi novamente retrovati et Novo Mondo da Alberico [sic] Vesputio Florentino intitulato (Vicenza, per Enrico Vicentino, 3 novembre 1507), compilazione di viaggi più volte ristampata fino al 1521, cui si aggiunsero una retroversione in latino (Milano 1508) e una traduzione in francese (Parigi 1515?, con due successive edizioni tra il 1515 e il 1516). La retroversione fu a sua volta inserita nel Novus orbis regionum ac insularum veteribus incognitarum di Johann Huttich, con prefazione di Simon Grynaeus (Basilea 1532), mentre un rimaneggiamento italiano del testo originale fu proposto, come già detto, nelle Navigationi et viaggi di Ramusio, dove i viaggi spagnoli vengono omessi e quelli portoghesi sono intitolati Di Amerigo Vespucci fiorentino lettera prima, drizzata al magnifico M. Pietro Soderini, gonfaloniere perpetuo della magnifica ed excelsa signoria di Firenze, di due viaggi fatti per il serenissimo re di Portogallo, la lettera seconda non essendo altro che la narrazione del quarto viaggio; segue una traduzione, non priva di interpolazioni erudite, del Mundus novus, inspiegabilmente intitolata Sommario di Amerigo Vespucci fiorentino, di due sue navigazioni, al magnifico M. Pietro Soderini, gonfalonier della magnifica republica di Firenze.
La Lettera a Piero Soderini fu a sua volta tradotta in latino con il titolo Quatuor Americi Vespuccij navigationes, e in questa sua nuova veste inserita nella Cosmographiae Introductio di Martin Waldseemüller (detto in latino Hylacomylus o Ilacomilus), manuale di cosmografia tolemaica cui il testo di Vespucci fornisce il necessario aggiornamento. Il manuale, dedicato all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, venne pubblicato il 25 aprile 1507 a Saint-Dié-des-Vosges (allora nel ducato imperiale di Lotaringia e oggi nell’Alsazia francese), sede del Gymnasium vosagense, un cenacolo di studiosi appassionati di geografia; tra questi, oltre a Waldseemüller, vi erano Gauthier (o Vautrin) Lud, stampatore e autore di una Speculi orbis [...] declaratio et canon (Strasburgo 1507), e Mathias Ringmann, latinista, che nel 1505 curò la pubblicazione di una nuova edizione del Mundus novus, il De ora Antartica, da lui dedicata a Renato II, duca di Lorena e di Bar e re nominale di Sicilia e di Gerusalemme. Nella stessa edizione viene annunciata la successiva pubblicazione della Cosmographiae Introductio con la traduzione latina della lettera di Vespucci, espressamente commissionata al canonico, latinista e poeta Jean Basin de Sandaucourt e da questo eseguita a partire da un originale francese che Amerigo avrebbe indirizzato al duca Renato. A quest’ultimo è appunto dedicata la versione latina della Lettera, ma senza che dall’originale italiano vengano espunti i riferimenti, di sapore autobiografico, all’ambiente fiorentino, compreso il particolare degli studi alla scuola di Giorgio Antonio Vespucci, di cui, a questo punto, il duca Renato diventerebbe discepolo. Perfettamente plausibile è invece lo scopo dichiarato della traduzione: grazie a Vespucci, le recenti scoperte avrebbero trovato una giusta collocazione all’interno del globo terrestre descritto da Tolomeo. La «quarta parte del mondo» entra così a pieno titolo nel manuale, dove a due riprese (cap. VIII, sui «climi», e cap. IX, su «alcuni rudimenti della cosmografia») si afferma la liceità del nome prescelto: «Amerige(n), quasi Americi terra(m) sive America(m)», dove America andrà pronunciato Amerìca, da Amerìcus (Amerigo), poi divenuto Amèrica con ritrazione dell’accento sul modello di Africa (Contini, 1988, pp. 223-225, riprendendo un’osservazione di Bruno Migliorini). Non meno importanti sono i due ‘allegati’ che accompagnano il manuale, entrambi dovuti alla mano di Waldseemüller: un globo terrestre in dodici fusi – da ritagliare e incollare su una sfera – e una grande carta a forma di cuore, intitolata Universalis Cosmographia secundum Ptholomaei traditionem et Americi Vespuccii aliorumque lustrationes, dove il nome dell’America fa la sua prima comparsa per designare un’area grosso modo corrispondente all’attuale Brasile, da Vespucci costeggiato nel viaggio del 1501-02. L’illustrazione cartografica venne così a ribadire la proposta avanzata nel testo verbale, sicché il 25 aprile 1507 può considerarsi il giorno in cui l’America è stata tenuta a battesimo, ancorché l’estensione del nome all’intero continente sia avvenuta solo più tardi.
Nella Lettera a Piero Soderini il passaggio al servizio del Portogallo, probabilmente avvenuto entro l’aprile del 1501, è enunciato all’inizio del terzo viaggio, dove il pressante invito di Emanuele I e del suo intermediario, Giuliano di Bartolomeo del Giocondo, fiorentino residente a Lisbona, sono indicati come l’unica causa della partenza improvvisa, quasi una fuga, da un regno «dove mi era fatto onore et il re mi teneva in buona possessione». Il vero motivo va ovviamente rintracciato nei risultati raggiunti con il viaggio spagnolo del 1499-1500, con il quale Vespucci si era spinto fino a 6° sud, sicché la sua esperienza poteva essere decisiva per «verificare la posizione geografica della terra scoperta da Cabral e accertare se e come potesse essere utilizzata nel quadro del progetto di espansione transoceanica portoghese» (Luzzana Caraci, 1999, p. 230). In ogni caso, da due lettere sopra citate, quella di Rondinelli e quella di Colombo al figlio Diego, sappiamo che dal servizio prestato al Portogallo Vespucci non ricavò alcun profitto economico. Quanto al rientro in Spagna e alla convocazione a Toro, si può ritenere che ci si fosse resi conto dell’esperienza acquisita durante il viaggio portoghese del 1501-02, quando a Vespucci dovette apparire chiaro che la deviazione della costa a sud-ovest lasciava aperta la possibilità di trovare lo stretto che avrebbe permesso di raggiungere l’Asia (Luzzana Caraci, 2007, pp. 180-184). Il risultato fu che il 13 marzo 1505 gli ufficiali della Casa de la Contratación di Siviglia ricevettero l’ordine di organizzare una spedizione comandata da Vespucci e da Vicente Yáñez Pinzón. La spedizione non ebbe luogo – probabilmente per la crisi politica successiva alla morte di Isabella di Castiglia e per la cronica mancanza di denaro da parte della corona –, ma sui suoi preparativi, compreso il salario previsto per i due capitani, possediamo una ricca documentazione; apprendiamo così che il 25 agosto 1506 lo stesso progetto venne nuovamente autorizzato da Filippo d’Asburgo, divenuto erede del Regno di Castiglia insieme alla moglie Giovanna, salvo poi arenarsi per sempre con la morte improvvisa del sovrano (25 settembre). Nel frattempo Vespucci, tornato a risiedere a Siviglia, era stato naturalizzato cittadino spagnolo (24 aprile 1505) e aveva continuato a lavorare per la Casa de la Contratación. Il 25 aprile 1507 la pubblicazione della Cosmographiae Introductio con il nome dell’America venne a sancire una fama di cui il fiorentino non dovette essere del tutto inconsapevole.
La ripresa dei progetti di espansione nel Nuovo Mondo e la necessità di trovare un passaggio a sud-ovest che permettesse di contrastare i crescenti successi portoghesi in Asia spiegano la creazione di un organismo tecnico all’interno della Casa de la Contratación capace di riunire le migliori competenze in fatto di navigazione, nonché il ruolo che in esso venne affidato a Vespucci: il 22 marzo 1508 il re nominò quattro piloti reali e un piloto mayor, quest’ultimo nella persona di Amerigo. Si tratta di un esplicito riconoscimento delle competenze cosmografiche e cartografiche di Vespucci: l’incarico, appositamente istituito, comportava infatti l’aggiornamento della carta ufficiale delle scoperte (il padrón general) – dalla quale trarre le carte nautiche di cui si dovevano dotare le navi – e il compito, delicato, di istruire i piloti, dando loro l’attestato necessario per ottenere un imbarco. Lo stipendio, accompagnato da un rimborso spese, era sufficientemente elevato per vivere più che dignitosamente; a sua volta, il prestigio della carica fece sì che Vespucci venisse ufficialmente richiesto di esprimere il suo parere su varie questioni, anche relative all’esportazione delle merci nel Nuovo Mondo e su come contenere l’evasione fiscale; il 9 luglio 1509 venne persino richiesto di una perizia calligrafica per accertare l’autenticità di una firma di Colombo. In quell’occasione dichiarò di avere cinquantasei anni e di conoscere bene la firma dell’ammiraglio per averlo visto «scrivere e firmare molte volte e perché è stato collaboratore del detto [...] e ha tenuto i suoi registri» (Luzzana Caraci, 1996, p. 195).
Non sappiamo quando Vespucci fu raggiunto a Siviglia dal nipote Giovanni, figlio del fratello Antonio, che accolse nella casa in cui viveva con la moglie María e la cognata Catalina, occupandosi della sua educazione proprio come lo zio Giorgio Antonio si era occupato della sua. Giovanni è però nominato nel testamento redatto in spagnolo il 9 aprile 1511 e revocato qualche mese più tardi. Dal testamento (ibid., pp. 197-208) si ricava che Amerigo aveva di che vivere agiatamente: manteneva due servitori, cinque schiavi di colore e una canaria di venticinque anni, Ysabel, con i figli Juanica e Juanico, che si è supposto fossero suoi figli naturali e che dispose che venissero affrancati alla morte della moglie; i debiti sono complessivamente pochi e i crediti molti, anche con gli eredi di Berardi. Non conosciamo la consistenza dei suoi beni mobili e immobili, che lascia alla moglie da cui non ha avuto figli; a suo nipote Giovanni lascia, invece, tutti i suoi vestiti, i suoi libri sia in latino sia in volgare e i suoi strumenti nautici, tra i quali un astrolabio di metallo. Alla madre, di cui ignora se sia viva, lascia i beni mobili e immobili che eventualmente gli spettano a Firenze, da trasmettere ai fratelli Antonio e Bernardo nel caso che monna Lisa sia morta, chiedendo in cambio che a Firenze gli vengano rese le onoranze funebri che competono a una persona del suo stato, in particolare che nella chiesa d’Ognissanti siano per lui celebrate una messa da requiem e una messa cantata e che altre trentatré messe siano recitate per la sua anima. Infine, dispone di essere sepolto con abito di francescano nella chiesa sivigliana di San Miguel (demolita nel 1868) o nel locale monastero francescano. Come esecutori testamentari sono nominati il fiorentino e amico Rondinelli e il genovese Manuel Cataño (Emanuele Catalano), canonico della cattedrale di Siviglia.
Vespucci, che al momento di dettare testamento doveva già essere ammalato – forse della malaria contratta durante il viaggio spagnolo del 1499-1500, di cui parla nella prima lettera familiare –, morì a Siviglia il 22 febbraio 1512.
Alla vedova fu assegnato un vitalizio, che alla sua morte (26 dicembre 1526) venne confermato per la sorella Catalina, da detrarre dallo stipendio di Juan de Solís, successore di Vespucci nell’incarico di piloto mayor. Il 18 settembre di quello stesso anno il nipote Giovanni Vespucci, di cui si conserva una geocarta nautica del 1523, fu nominato piloto real in virtù dei servigi resi allo zio. Il 13 novembre 1515, convocato alla Casa de la Contratación, testimoniò che il capo di Sant’Agostino è situato a 8° sud, come ha letto nel giornale di bordo dello zio, che vi si era recato due volte (ibid., p. 261), dato confermato dalla Lettera a Piero Soderini. Venne tuttavia licenziato nel 1525.
Va affrontata a questo punto la cosiddetta questione vespucciana. Nella terza lettera familiare, la scoperta di un quarto continente è un fatto acquisito, senza che si invochino particolari precedenze nei confronti di Colombo; la stessa consapevolezza permea di sé il Mundus novus, mentre nella Lettera a Piero Soderini il primato di Vespucci si limiterebbe al fatto di essere approdato nell’attuale Venezuela un anno prima di Colombo, che dal canto suo continuò sino alla fine a credere (o quanto meno a far finta di credere) di avere raggiunto un’appendice dell’Asia: una convinzione che la prima lettera familiare condivide e che venne meno solo con il viaggio portoghese del 1501-02. Ciononostante, non fu il Mundus novus, ma la Lettera a Piero Soderini a fornire l’aggiornamento scientifico della Cosmographiae Introductio di Saint-Dié, nella quale il nome dell’America fu tenuto a battesimo; e fu appunto la traduzione latina della Lettera lì inserita a scatenare il coro dei detrattori. La relazione venne infatti considerata come un attacco diretto a Colombo che, a causa del presunto sbarco in terraferma del 1497, veniva privato del primato della scoperta del continente, per di più in un periodo in cui, ormai morto, si incominciava a metterne in discussione i meriti e i privilegi. Di qui la reazione di fra Bartolomé de las Casas che nella Historia de las Indias (terminata nel 1561, ma pubblicata nel 1875) si scaglia contro il «falso e iniquo» Vespucci, reo di aver usurpato, grazie alla sua eloquenza, la gloria di Colombo, che della scoperta della terraferma era stato il vero artefice, sicché la terra avrebbe dovuto chiamarsi «non America», da Amerigo, bensì «Columba, da Colón o Columbo che la scoprì, o la terra Santa o di Grazia, nome che lui stesso le impose» (cit. in Luzzana Caraci, 1996, pp. 402 s.): accuse che si inquadrano perfettamente nell’ambito dei Pleitos colombinos, l’azione legale intentata contro la corona dagli eredi di Colombo. Se questa è la data di nascita della ‘questione vespucciana’, quest’ultima finì per trasformarsi in un dialogo tra sordi, alimentato da pregiudizi e da risentimenti nazionalistici e dall’opposizione, presto di maniera, tra Colombo e Vespucci, peraltro smentita dalla stessa lettera che il primo indirizzò al figlio Diego il 5 febbraio 1505. La scoperta e la pubblicazione delle lettere familiari ha poi ricondotto la ‘questione’ sui giusti binari, giacché il problema che le due serie di lettere ascritte a Vespucci ci prospettano è essenzialmente di carattere attributivo.
Si rese dunque necessaria un’opera di bonifica filologica, di fatto intrapresa solo nei primi decenni del Novecento da Alberto Magnaghi (Amerigo Vespucci: studio critico..., 1924). Per il geografo italiano le concordanze riscontrabili tra la serie a stampa e quella manoscritta si spiegherebbero con l’utilizzazione della seconda da parte della prima, che pertanto sarebbe dovuta al montaggio di frammenti preesistenti. La falsificazione avrebbe avuto inizio con il Mundus novus, dove al riuso sistematico della terza familiare si accompagna il ricorso a una letteratura secondaria, con dettagli atti a suscitare l’attenzione di un pubblico curioso, ma incompetente. La falsificazione sarebbe poi stata perfezionata dalla Lettera, zeppa di errori grossolani, ma anche reticente, dove si sarebbe proceduto allo sdoppiamento in due viaggi del viaggio spagnolo del 1499-1500, con il risultato di un itinerario improbabile, comprendente uno sbarco sulle coste dell’Honduras; non mancano inattendibili referti etnografici, che sarebbero tratti di peso dal viaggio portoghese del 1501-02, dove sono perfettamente congruenti con quanto sappiamo dei tupi-guaraní del Brasile, mentre cessano di esserlo quando vengano riferiti a latitudini più settentrionali. La tradizione dei quattro viaggi sarebbe dunque il risultato di un’operazione eseguita a tavolino, come mostrerebbe anche la contrazione crescente della narrazione, facilmente spiegabile con l’imbarazzo di un manipolatore che ha ‘bruciato’ tutto il materiale a sua disposizione; per non dire del particolare curioso di quattro viaggi effettuati a cadenza regolare, tre dei quali con partenza il 10 maggio e rientro entro il settembre-ottobre dell’anno successivo. La falsificazione sarebbe stata compiuta a Firenze a maggior gloria del suo illustre cittadino, divenuto autore, come Colombo, di quattro viaggi. A Firenze sarebbero infatti uscite entrambe le cinquecentine, la tradizione manoscritta della Lettera dipendendo interamente dalla stampa, anche perché senza una stampa coeva l’opera di falsificazione sarebbe priva di senso, benché Magnaghi abbia poi sostenuto che il Frammento Ridolfi rinvia a un’ulteriore contraffazione intervenuta dopo la pubblicazione della Lettera. Privato del Mundus novus e della Lettera, a Vespucci resterebbe il merito indiscusso di aver percorso in soli due viaggi quasi tutta la costa dell’America Meridionale e di essere stato il primo a riconoscere l’esistenza di un nuovo continente.
Come dimostrato (da ultimo Formisano, in Vespucci, Firenze e le Americhe, 2014), la soluzione di Magnaghi, senza dubbio economica ed elegante, si scontra con i dati oggettivi che si ricavano dall’analisi filologica e linguistica. La tradizione manoscritta della Lettera non solo non dipende dalla stampa, ma talora è a essa superiore, non senza qualche traccia di varianti redazionali. La lettera pullula di iberismi rari, di prima mano, peraltro non sempre ingenui, ma di matrice chiaramente colombina, diciamo pure letteraria, che è difficile ritenere escogitati appositamente da un falsificatore con lo scopo di accrescere la verosimiglianza della paternità vespucciana; a maggior ragione lo stesso può dirsi della presenza dell’indigenismo carabe («sapiente»), voce del tupi-guaraní impropriamente riferita al secondo viaggio, ma solidamente attestata. Soprattutto, non pochi degli iberismi trovano un complemento nella prima familiare, come dimostra il codice Riccardiano 2112 bis, rispetto al quale gli equivalenti fiorentini del codice Vaglienti, manoscritto importante sul piano documentario, ma banalizzante su quello testuale, sono da considerarsi senz’altro lezioni deteriori. La Lettera e il Mundus novus, da una parte, e la prima e terza familiare, dall’altra (la seconda costituisce un caso speciale), si rivelano perfettamente complementari anche dal punto di vista della narrazione; nelle due serie testuali, infatti, una stessa notizia viene riferita con differenze talora minime, spesso ‘gratuite’, come si addice a relazioni che non pretendono di esaurire una volta per tutte un’esperienza comunicabile solo per frammenti e che appartiene a un solo scrivente. Quello che vale per la lingua e lo stile vale anche per la presenza di una letteratura di seconda mano, tutt’altro che assente nella prima familiare, dietro la quale non è difficile scorgere la presenza della nascente letteratura americanistica, il cui modello è fornito dagli scritti di Colombo, per i quali è facile dimostrare una circolazione coeva in forma manoscritta, ancorché siano stati pubblicati solo in età moderna.
Per queste ragioni è legittimo ritenere che il Mundus novus e la Lettera, con tutti i loro irrimediabili difetti, siano il risultato di una falsificazione compiuta a partire da un corpus di lettere familiari più ampio di quello da noi posseduto. Non sapremo mai se in quel corpus si fosse parlato di quattro viaggi, perché la misura esatta del montaggio ci sfugge, anche se non sfugge la presenza di almeno due mani, una delle quali sicuramente di Vespucci, sicché le due lettere a stampa, prese nel loro insieme, si configurano come testi più paravespucciani che pseudovespucciani. Ammettendo che Vespucci abbia avuto una qualche responsabilità nella doppia falsificazione, si può ritenere, con Luzzana Caraci, che il Mundus novus sia stato concepito all’interno della comunità fiorentina di Lisbona come «operetta destinata al grande pubblico» e che Vespucci vi possa aver collaborato, senza preoccuparsi di imprecisioni che non sarebbero sfuggite agli specialisti (Luzzana Caraci, 2007, pp. 82 s.). Il successo dell’operazione avrebbe fatto sì che questa venisse poi ripetuta con la Lettera: «Sintesi di quella che vorrebbe proporsi come l’intera esperienza odeporica vespucciana» (p. 87). Lo scopo era evidentemente di carattere ‘pubblicitario’, «a sostegno degli interessi e dei progetti dei mercanti fiorentini di Lisbona [...], in un momento in cui l’ampliamento dei circuiti mercantili li aveva portati a cercare alleanze con altre comunità nazionali di mercanti» (Luzzana Caraci, 2003, p. 24). Resta la questione del primo viaggio, questione che è di natura extratestuale e che pertanto può essere risolta solo sulla base di dati documentari che non possediamo. Ciò premesso, l’ipotesi di un viaggio spagnolo anteriore al 1499 non può essere esclusa, a patto che lo si intenda correttamente non come un viaggio di esplorazione lungo le coste del Sudamerica, ma come «un semplice viaggio commerciale, effettuato da Vespucci tra il 1496 e il 1497 in una qualsiasi delle flotte inviate dai re Cattolici all’isola di Hispaniola, o anche con una spedizione clandestina di cui si potrebbero essere perse le tracce» (Luzzana Caraci, 2007, p. 94). Comunque sia, il ruolo di Vespucci nella storia delle grandi scoperte può fare a meno tanto del Mundus novus quanto della Lettera a Piero Soderini; un ruolo che non fu mai quello di un comandante di navi, di un navigatore in senso stretto, ma di un cosmografo e di un cartografo delle cui competenze le navigazioni oceaniche non poterono più fare a meno.
Fonti e Bibl.: Bibliografia vespucciana
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Fonti vespucciane
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Lettere di viaggio, scelte antologiche con commento e studio introduttivo: L. Formisano, Amerigo Vespucci, in Nuovo mondo: documenti della storia della scoperta e dei primi insediamenti europei in America, 1492-1640, II, Gli italiani, 1492-1565, a cura di P. Collo - P.L. Crovetto, Torino 1991, pp. 205-268 (la lettera familiare e la Lettera a Piero Soderini); Scopritori e viaggiatori del Cinquecento e del Seicento, I, Il Cinquecento, a cura di I. Luzzana Caraci, testi e glossario a cura di M. Pozzi, Milano-Napoli 1991, pp. 219-280 (le tre lettere familiari); America sive Mundus novus. Le lettere a stampa attribuite ad Amerigo Vespucci, I-II, a cura di L. Formisano - C. Masetti, Genova 2007 (nel II volume i facsimili del Mundus novus e della Lettera a Piero Soderini).
Cosmographiae Introductio: Cosmographiae Introductio by Martin Waldseemüller and the English translation of Joseph Fischer and Franz von Wieser, Ann Arbor University microfilms 1966 (coll. March of America facsimile series, 2); Comitato Amerigo Vespucci a Casa Sua, V Centenario della morte. 1512-2012, Amerigo Vespucci svelatore del “Mundus novus”, I-II, a cura di D. Baldi - M. Maggini - M. Marrani, Reggello 2012 (I volume, alle pp. 25-65, la trad. it. della Cosmographiae Introductio; II volume, la ripr. in facsimile del testo, e in allegato la ripr. a grandezza naturale del planisfero); A. Vespucci, Cronache epistolari. Lettere 1476-1508, a cura di L. Perini, Firenze 2013.
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