CAVALCANTI (de Chavalchanti), Amerigo (Aymericus, Americo, Herigo)
Cavaliere fiorentino, iscritto all’arte del cambio, dovette nascere molto probabilmente nella città di Firenze intorno al primo quarto del sec. XIV. Era figlio di Giannozzo di Uberto di Pazzo di Cavalcante: apparteneva quindi a quel ramo della famiglia Cavalcanti che si era stabilito a Napoli, dove aveva raggiunto ben presto una notevole potenza, acquistandosi onori e ricchezze.
Secondo Scipione Ammirato, che si basa sul testamento di Mainardo di Giachinotto di Uberto Cavalcanti redatto nel 1380, contemporaneamente al C. sarebbe vissuto un suo omonimo, figlio di Giachinotto di Uberto Cavalcanti e quindi cugino primo del C., il quale avrebbe sposato Francesca di Iacopo Acciaiuoli e ne avrebbe avuto un figlio, Giovanni. Nel suo testamento, infatti, Mainardo nomina come sua esecutrice testamentaria appunto Francesca Acciaiuoli, sorella di sua moglie Andreola e sposa di Amerigo Cavalcanti. L’affermazione dell’Ammirato, tuttavia, non sembra in nessun caso accettabile per una serie di motivi. Innanzitutto, perché nessuna fonte coeva o posteriore (in quest’ultimo caso, è evidente, escluse quelle che dipendono dall’Ammirato) ricorda un Amerigo di Giachinotto Cavalcanti; in secondo luogo, perché dalla concorde testimonianza dei documenti in nostro possesso risulta che Francesca di Iacopo del fu Donato Acciaiuoli e suo figlio Giovanni erano rispettivamente moglie e figlio di Amerigo di Giannozzo Cavalcanti. Erra dunque l’Ammirato, quando scrive che erano invece moglie e figlio di un ipotetico Amerigo di Gioachinotto; e il suo errore deve aver avuto origine da un equivoco. Egli ha con ogni probabilità frainteso il significato del termine latino frater contenuto nel testamento di Mainardo e riferito in realtà al C.: con quel termine, infatti, nel Medioevo si poteva indicare tanto un fratello quanto un cugino.
La prima notizia che si abbia del C. è del 1334, quando venne creato ciambellano da Roberto d’Angiò. Nel 1344 chiese alla Repubblica fiorentina il permesso di entrare al servizio degli Estensi; nello stesso anno comandò, insieme con messer Manno Donati, un contingente misto di cavalleria e fanteria inviato da Firenze in aiuto del legato di Bologna per reprimere la ribellione scoppiata a Forlì il 20 ag. 1344. Nel 1348 fu inviato insieme con Bernardo Gottspil nel Regno, per preparare la presa di potere di Giovanna I; l’anno seguente, inviato da Luigi di Taranto in Puglia, fu preso prigioniero a Corneto dal voivoda Stefano, condottiero al servizio di Ludovico d’Ungheria. Nel 1350 era in Toscana come ambasciatore della regina Giovanna. Sempre in quell’anno fu inviato, in qualità di ambasciatore fiorentino, al “duca di Lando”, col quale – si dice nelle Carte Dei, senza però dare altre notizie – “firmò una pace”. Questo “duca di Lando” deve identificarsi con quel Corrado dei conti di Landau, un capitano di ventura, che nel 1352 e nel 1358 entrò con la sua compagnia nel territorio del Comune di Firenze, sottoponendolo a selvagge devastazioni. Ma prima di queste due incursioni può esservi stata – o semplicemente essere stata progettata – un’altra scorreria di Corrado di Landau, e forse per questa ragione nel 1350 il C. venne inviato a trattare un accordo, dimostratosi però poco duraturo, se solo due anni dopo la sua stipulazione, nel 1352, il conte di Lando costituì in Italia una nuova compagnia di ventura insieme con un cavaliere provenzale chiamato Friere Morreale. Fu appunto alla testa di questa compagnia che, in quello stesso anno, scese in Toscana per la Val d’Elsa minacciando da vicino il Comune di Firenze, il quale, impotente a resistergli, fu costretto a venire a patti: gli offrì infatti un compenso di 25.000 fiorini perché si allontanasse. Il conte di Lando accettò, ma più tardi cercò pretesti per estorcere alle popolazioni altri denari. Nel luglio del 1358 il condottiero tornò ancora con i suoi armati, questa volta avendo accanto a sé il conte tedesco Broccardo. Di nuovo il Comune di Firenze cercò con lui un accordo per indurlo ad abbandonare il contado: il C. venne incaricato di accompagnarlo per guidarlo sino ai confini. Ma, durante la marcia di ritorno, la banda dei mercenari venne assalita e dispersa dalle genti di campagna, insorte a causa dei gravi saccheggi che le milizie, venendo meno ai patti, avevano compiuto nelle regioni. attraversate: il conte Broccardo e molti componenti della compagnia furono uccisi. Corrado di Landau e pochi altri superstiti si rifugiarono su un monte e qui cercarono di difendersi dall’assedio dei contadini esasperati. Sarebbero stati tutti uccisi, se il C., loro guida, non fosse riuscito, durante la notte, ad eludere la sorveglianza degli avversari, facendoli sfuggire all’accerchiamento. Per questo fatto il C. si attirò il biasimo di molti: poiché i mercenari non avevano rispettato i patti, l’emissario del governo fiorentino avrebbe dovuto lasciarli uccidere tutti dai civili insorti. Il C. si difese dichiarando che il Comune gli aveva affidato un preciso incarico che egli, per lealtà, aveva dovuto adempiere, anche se la compagnia aveva mancato alla parola data. Altri lo accusarono di aver lasciato fuggire sia il conte di Lando sia i suoi mercenari superstiti perché aveva avuto “dimestichezza” con loro in Puglia.
Nel giugno del 1360 il C. venne nominato podestà di Bologna e fu durante la sua podesteria che, nell’ottobre dello stesso anno, il cardinale Egidio Albornoz fece il suo ingresso nella città. Nel febbraio del 1361 egli ricoprì la carica di vicerettore di Romagna. Nel luglio dello stesso anno partecipò, come consigliere del capitano generale Rodolfo da Camerino, alla guerra fra Pisa e Firenze, scoppiata in seguito all’occupazione, da parte dei Pisani, di Pietrabuona, località strategicamente importante della Val di Nievole. Nel 1364 fu a Pisa, in qualità di ambasciatore, evidentemente per trattare la pace, che venne stipulata appunto nell’agosto di quell’anno. Nel 1365 abbandonò la carica di ufficiale di fortezza che ricopriva a Firenze, per andare a Napoli, dove si acquistò, come già suo padre Giannozzo durante il regno di Roberto d’Angiò, grandi onori e ricchezze diventando gran ciambellano della regina Giovanna.
Alla regina Giovanna il C. fu legato da sincera amicizia e devozione, tanto che, narra l’Ammirato, quando essa cadde in disgrazia, si offrì di restituirle i doni e le terre, fra cui quella di Capua, avuti in regalo da lei: ma Giovanna, ammirata e nello stesso tempo commossa da tanta lealtà, rifiutò decisamente.
Il C. rimase probabilmente a Napoli fino al 1381: dal 1365, anno della sua partenza da Firenze, al 1381 si ha infatti di lui una sola notizia, che però non comporta necessariamente la sua presenza nella città natale; il 23 maggio 1371 presentò alla Signoria una supplica per ottenere il permesso di dare, senza penale, la figlia Lena in moglie a Roberto figlio del conte Carlo del fu Simone da Battifolle, conte palatino in Toscana, permesso che gli venne accordato. Comunque, già nel 1381 (altre fonti dicono invece nell’anno successivo) il C. doveva aver senz’altro fatto ritorno a Firenze, giacché in tale anno e in tale città fece testamento, lasciando le sue sostanze alla moglie Francesca e nominando eredi universali i suoi figli Giovanni e Giannozzo. Sempre nel 1382 egli partecipò ancora una volta attivamente, nonostante l’età ormai avanzata, alla vita politica della sua città: fece parte infatti dei ventitré cittadini eletti dai Priori perché pacificassero Firenze, sconvolta dopo il tumulto dei Ciompi. Dopo tale data non si hanno più notizie di lui. La sua morte è da porsi quindi fra il 1382 e il 1396, anno in cui risulta già morto.
Il C., che aveva tre fratelli – messer Uberto, Neri e Vanni (una genealogia, contenuta nelle Carte Dei, gli attribuisce anche un altro fratello, Filippo) –, sposò Francesca di Iacopo del fu Donato Acciaiuoli, dalla quale ebbe due figli maschi, Giovanni – che sposò Costanza del fu Niccolò dei marchesi Malaspina – e Giannozzo, e due figlie, Lena e Costanza. Quest’ultima, andata sposa a Iacopo di messer Francesco Rinuccini, non ebbe figli. Da Giovanni, suo figlio, nacquero: Giannozzo, che fu podestà di Montaione nel 1440; Amerigo, che fu podestà nella stessa città nel 1442; Niccolò, Bartolomea e Ginevra, la quale andò sposa a Lorenzo, fratello di Cosimo de’ Medici: da questo matrimonio nacque Pier Francesco, bisavolo del duca Cosimo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Dei, sub voce Cavalcanti; Ibid., Istoria della fam. Cavalcanti scritta da Scipione Ammirato l’anno 1586 (ms. sec. XVI); Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani, sub voce Cavalcanti; Corpus Cronic. Bononiensium, III, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 106-108; Matthaei de Griffonibus Memoriale histor. de rebus Bononiens., ibid., XVIII, 2, a cura di A. Sorbelli-L. Frati, p. 63; Il tumulto dei Ciompi: cronache e mem., ibid., XVIII, 3, a cura di G. Scaramella, pp. 133-134; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, ibid., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, pp. 244 s., 252 s.; G. Albornoz-A. de La Roche, Correspond. de lègats et vicaires généraux, a cura di J. Glénisson-G. Mollat, Paris 1964, pp. 209, 213; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane et umbre, Firenze 1673, III, pp. 59, 60, 64; F. Rinuccini, Ricordi storici..., a cura di G. Aiazzi, Firenze 1840, p. 122; D. Tiribilli-Giuliani, Sommario stor. delle famiglie celebri toscane, Firenze 1855, I, sub voce Cavalcanti; G. Yver, Le commerce et les marchands dans l’Italie mérid. au XIIIe et au XIVe siècle, Tours 1903, p. 326; G. Salvemini, Magnati e popolani nel Comune di Firenze dal 1280 al 1295, Torino 1960, p. 466; G. A. Brucker, Florentine Politics and Society (1343-1378), Princeton 1967, pp. 127, 230.