AMERIGHI, Amerigo
Nato a Siena al principio del sec. XVI dauna delle più importanti famiglie dell'ordine dei popolari, figlio di Niccolò e fratello di Marco Antonio e di Pier Maria, partecipò attivamente alla vita politica della sua città e fu uno dei capi più influenti della fazione detta Monte dei Riformatori. Faceva parte del Consiglio generale nel 1547, allorché gli Spagnoli di don Diego Hurtado de Mendoza conquistarono Siena. Entrò di li a poco fra i Dieci di Balia, una magistratura provvisoria ristretta imposta dal Mendoza, rimasto nella città a capo del presidio spagnolo, e responsabile dell'applicazione in Siena delle direttive politiche imperiali. Ma, pur nel suo ossequio verso gli Spagnoli, l'A. rimase profondamente legato alle tradizionali libertà cittadine. Per la sua posizione nel governo poté seguire l'ambiguo evolversi dei progetti degli imperiali, che urtavano in egual modo il suo patriottismo municipale, oscillanti tra la costituzione di una signoria in Siena con principe spagnolo e l'assorbimento della città nello stato dell'alleato mediceo in cambio di vantaggi territoriali sulla costa tirrenica; e, d'altra parte, poté valutare perfettamente il crescente risentimento dei ceti cittadini colpiti tutti indistintamente dal carovita e dalla politica del Mendoza, che ebbe il suo momento più impopolare quando fu iniziata, nel novembre 1550, la costruzione di una fortezza per il presidio spagnolo. Così quando, nella primavera del 1551,i fratelli Marco Antonio e Pier Maria gli esposero un piano di congiura promosso dal fuoruscito Giovanni Maria Benedetti per scacciare gli Spagnoli da Siena e gli garantirono la protezione francese, che aumentava in modo rilevante le possibilità di riuscita dell'impresa, aderì senza esitazioni al complotto.
Per prendere diretti contatti con il cardinale de Tournon, uno dei principali artefici della politica francese in Italia, l'A. passò a Roma, col consenso della Balia, con il pretesto di riferire su alcuni importanti affari cittadini al Mendoza, allora in missione presso il pontefice Giulio III per incarico di Carlo V. Negoziò con il Tournon l'invio di un corpo di spedizione francese in soccorso di Siena e mantenne rapporti tra i Francesi e i congiurati, fermandosi a Roma per tutta l'estate del 1551.
Seppe al tempo stesso distogliere da sé e dagli amici i sospetti del Mendoza e dei suoi informatori ricorrendo a un complicato espediente che lo espose all'accusa di tradimento da parte di non pochi congiurati e al risentimento dei Senesi antispagnoli. L'attività dell'A. in Roma coincise e interferi con quella, isolata, di un fuoruscito senese, Cesare Vaiari, il quale faceva pubblica professione di fede antispagnola e andava sottoponendo ai Francesi, indipendentemente dalla congiura cui aderiva l'A., i suoi piani per la liberazione di Siena. L'A. decise di servirsi del Vaiari, la cui opera era nota al Mendoza, come di uno schermo per proseguire in tutta sicurezza i suoi rapporti con i Francesi: ottenne dal Mendoza l'autorizzazione a prendere contatti con il Vaiari e seppe abilmente coprire la propria effettiva attività e agire indisturbato tenendo informato il Mendoza dei passi compiuti dall'esule senese. Nell'ottobre del 1551però il Mendoza fece arrestare il Vaiari e attribuì all'A., dinanzi al Consiglio generale, tutto il merito della scoperta della congiura.
L'A. riuscì solo con molta difficoltà a giustificarsi presso i suoi amici politici; ma in definitiva l'iniziativa del Mendoza gli giovò poiché poté proseguire, godendo la fiducia dello spagnolo, la preparazione della congiura che andava guadagnando altri influenti esponenti della classe dirigente senese: fondamentale fu l'adesione, ottenuta dall'A., di Enea Piccolomini, personalità di grande prestigio tra la gioventù senese.
Continuavano intanto le trattative con i vari rappresentanti della politica francese in Italia. Le fila della congiura divenivano sempre più intricate facendo capo a Venezia, a Roma, a Parigi: al centro di tutti questi maneggi era l'A., divenuto ormai il capo effettivo del complotto. Il 15-18 luglio 1552 si tenne a Chioggia un convegno cui parteciparono, con i fautori della politica francese in Italia> i rappresentanti dei fuorusciti toscani, napoletani e lombardi. L'A. fece approvare l'intervento francese a Siena, contro altre due proposte di spedizioni nell'Italia meridionale e in Lombardia. Tornato a Siena il 20 luglio, mentre il Mendoza, ingannato da false notizie di una spedizione francese verso il Regno di Napoli, inviava una parte del presidio a difendere il litorale, l'A. sostenne la necessità di collaborare con gli Spagnoli alla difesa del dominio senese ed ebbe l'autorizzazione a mobilitare le forze paesane. In tal modo, servendosi del sigillo pubblico, poté intestare a una quarantina di congiurati altrettanti ordini di arruolamento. Il 26 luglio, ammassate tutte le milizie così raccolte a San Quirico, senza attendere l'arrivo del corpo di spedizione francese guidato da Piero Strozzi, diede inizio alla rivolta. Mentre Enea Piccolomini e il fratello Pier Maria marciavano su Siena, l'A. con una parte delle milizie occupò Buonconvento e MontaIcino. Nella notte del 27 luglio i Senesi, all'arrivo delle truppe del Piccolomini, insorsero e scacciarono gli Spagnoli.
Nel clima della riconquistata libertà l'A. fu l'animatore di un Consiglio di sedici cittadini incaricati di compilare una nuova costituzione (agosto 1552). Il 23 apr. 1554 era degli Otto della Guerra, la suprema magistratura repubblicana che diresse la disperata resistenza della città, assediata dalle truppe di Gian Giacomo de' Medici, inviato da Carlo V, e di Cosimo I di Firenze. Alla fine di giugno l'A. riusciva a raggiungere, nonostante l'assedio, a Montalcino, lo Strozzi, col quale trattava per incarico ufficiale della Repubblica. Nell'ottobre riprese il suo posto tra gli Otto, ma, aggravatasi la situazione interna di Siena e orientatisi gli assediati, delusi dal mancato intervento francese, a trattative di resa, l'A. il 13 genn. 1555 raggiunse Roma per esporre ai cardinali de Tournon e Farnese le tragiche condizioni della città e chiedere l'autorizzazione alla resa. Ricevute assicurazioni di un imminente arrivo di soccorsi, l'A. si oppose, ritornato a Siena, ad ogni proposta di trattative; ma nel mano, dopo un nuovo deludente viaggio a Roma insieme con Ambrogio Nuti e Pier Antonio Pecci, dovette accettare i preliminari della capitolazione, avvenuta il 17 apr. 1555.L'A. si rifugiò a Montalcino dove fu proclamata la "Repubblica Senese ritirata in Montalcino",che continuò la guerra sino al 1559.
Fonti e Bibl.: La cacciata della guardia spagnòla da Siena d'incerto autore,in Arch. stor. ital.,I, 2 (1842), pp. 479-524, passim;A. Sozzini, Diario..., ibid.,pp.1-444, passim;O. Malavolti, Dell'Historia di Siena,Venetia 1599, III, p. 152;G.A. Pecci, Memorie stor.-critiche della città di Siena,III, Siena 1758, pp. 195, 257, 258,262, 264; IV, ibid. 1760, pp. 10, 134 n., 177, 192-194, 196, 204; L. Cantini, Vita di Cosimo dei Medici...,Firenze 1805, pp. 240, 583; N. Giorgetti. Le armi toscane,I, Città di Castello 1916, pp. 89-92; A. D'Addario, Il problema senese...,Firenze-Empoli 1958, pp. 85-87, 92-95, 102-104 e passim.