America
Evoluzione del quadro politico
di Pasquale Coppola
Il millennio si è aperto per questo continente nel segno dei sanguinosi attentati alle Twin Towers di New York e al Pentagono compiuti l'11 settembre 2001 da terroristi islamici. Nella politica estera degli Stati Uniti, aggrediti sul loro territorio, si sono accentuate le tendenze all'unilateralismo che già ispiravano le dottrine dei neoconservatori (neocons) e la presidenza di G.W. Bush, iniziata un anno prima. Il governo di Washington si è così impegnato in una lotta serrata contro il terrorismo internazionale, lanciando, già nel novembre 2001, una campagna militare contro l'Afghānistān, dove gli studenti coranici (ṭālibān) al potere avevano rifiutato la consegna di U. ibn Lādin, capo del gruppo al-Qā̔ida e diretto responsabile delle stragi di settembre. Dopo il rapido abbattimento del governo di Kābul, condotto con l'ausilio delle forze della NATO, il presidente Bush ha intrapreso, nel marzo 2003, una 'guerra preventiva' contro l'Irāq di Ṣ. Ḥusayn, accusato di detenere armi di distruzione di massa. La coalizione coordinata da Washington, contro le opinioni espresse da Francia, Russia e Cina alle Nazioni Unite, ha fatto cadere in un solo mese il regime iracheno, ma successivamente ha incontrato notevoli difficoltà a gestire il progetto di transizione del Paese verso la democrazia a causa dei numerosi attentati e scontri armati.
Questa vicenda ha determinato tra l'altro numerose tensioni con governi e relative opinioni pubbliche internazionali, specie in ambiente islamico, e frequenti proteste dell'opposizione interna contro la guerra e la sua scia di vittime (oltre duemila soldati statunitensi in due anni). L'atteggiamento assunto dagli Stati Uniti ha investito anche le relazioni interne al continente: incrinando i rapporti con il tradizionale alleato canadese, che ha rifiutato di partecipare alla missione irachena; irrigidendo le misure contro Cuba, emblema dell'opposizione a Washington nell'A. Latina; inasprendo la lotta contro il riciclaggio di denaro sporco e i narcotrafficanti, che operando su estesi territori centro-americani e andini intersecano di frequente le rotte del terrorismo. Del resto, in alcuni di questi territori la modesta legittimazione dei poteri e la corruzione diffusa non rassicurano circa il controllo dei traffici illeciti e le derive istituzionali: un esempio è fornito da Haiti, in crisi dopo che, nel 2004, un periodo di scioperi e di scandali era sfociato in aperta rivolta, costringendo alla fuga il presidente J.-B. Aristide.
Un impulso innovativo per i quadri politici del continente proviene dalla domanda di protagonismo delle popolazioni indigene. Sul fronte canadese, il percorso esemplare intrapreso negli anni Novanta dal governo di Ottawa con il riconoscimento di estesi diritti fondiari e minerari alle superstiti tribù eschimesi si è perfezionato con l'istituzione, nel 1999, del nuovo Territorio autonomo degli Inuit, nel Nord-Ovest del Paese (il Nunavut). Ma le novità più corpose vengono da quelle terre dell'A. Centrale e andina in cui gli indios costituiscono una parte cospicua degli abitanti. Così, in Guatemala, dopo anni di autentico genocidio, per la prima volta nel 2003 gli Amerindi hanno espresso un candidato alla presidenza; un anno prima l'appoggio dei movimenti indigeni era stato determinante per eleggere al vertice dell'Ecuador il colonnello L. Gutiérrez; e altrettanto essenziale era stato nel 2001 per designare a presidente del Perù l'economista meticcio A. Toledo; infine, l'ascesa istituzionale dei nativi si è coronata in Bolivia, dove E. Morales, esponente indio del sindacato dei piccoli coltivatori di coca (cocaleros), è assurto alla presidenza nel dic. 2005. In Messico la lotta dell'esercito zapatista, condotta a partire dalle foreste del Chiapas, è culminata nel 2001 in una spettacolare marcia sulla capitale: benché V. Fox, dopo settant'anni primo presidente estraneo al Partido Revolucionario Institucional (PRI), abbia poi promulgato la nuova legge sugli indios senza accordare loro il riconoscimento dei diritti sulle terre e sulle risorse naturali, il rinnovato clima di attenzione ha consentito agli zapatisti il passaggio a una stagione di resistenza pacifica.
Il crollo economico-finanziario argentino (2001), tra continue manifestazioni e proteste popolari, congelamento dei conti bancari e mancato rimborso delle obbligazioni emesse dal governo di Buenos Aires, non ha comunque scosso l'assetto democratico ritrovato dal Paese da circa un ventennio. Il presidente N.C. Kirchner, al potere dal 2003, ha faticosamente riavviato l'economia, riallacciato i rapporti con i finanziatori internazionali e rinegoziato il debito dei tangobond, il cui taglio ha peraltro colpito duramente una moltitudine di piccoli risparmiatori (anche in Italia). Intanto il parlamento argentino ha cercato di chiudere i conti con un tragico passato politico, abrogando le leggi che avevano sottratto alla giustizia molti colpevoli delle efferatezze degli anni Settanta. Su un'analoga lunghezza si è mosso il Cile, governato per la prima volta da esponenti socialisti dopo la tragica destituzione di S. Allende nel 1973: R. Lagos dal 2000 e M. Bachelet, prima donna al vertice in Sudamerica, dal 2005. Anche in questo Paese è iniziata una fase giudiziaria che ha coinvolto in prima persona l'ex dittatore A. Pinochet. Ulteriore conferma dei nuovi orientamenti in questa parte dell'A. Latina è venuta dall'avvento, nel 2004, del primo socialista (T. Vázquez) alla guida dell'Uruguay.
L'evento politico più emblematico del Sudamerica, per l'estensione del Paese interessato, le aspettative delle masse diseredate e l'eco internazionale, è rappresentato, comunque, dall'elezione con ampio consenso a presidente del Brasile di L.I. 'Lula' da Silva, esponente del Partido dos Trabalhadores.
Dal 2003 Lula ha enunciato una serie di obiettivi ambiziosi: dall'ampliamento delle aree protette in Amazzonia alla distribuzione di terre a mezzo milione di contadini poveri, alla realizzazione del progetto politico 'cancellazione della fame'. Fondata su un ampio sostegno popolare è pure la politica intrapresa in Venezuela dal colonnello H. Chávez Frías, al governo dal 1998, contrassegnata dal rifiuto dell'egemonia statunitense, stretti contatti con il governo castrista, accordi con Russia e Cina, potenziamento degli scambi con altri Paesi sudamericani. In effetti, caratteristiche che accomunano in questa fase molti gruppi dirigenti sudamericani sono un atteggiamento di 'orgogliosa perplessità' circa le ricette liberiste del Fondo monetario internazionale e una presa di distanza, più o meno marcata, nei confronti del Nordamerica. L'espressione più chiara di questo clima è l'ostilità riservata alle proposte di un accordo commerciale di respiro continentale formulate da Bush al vertice interamericano di Mar del Plata tenutosi nella primavera australe del 2005.
Assetti demografici e sociali
Nel 2004 la popolazione del continente era prossima a 880.000.000 individui: la sua incidenza sul totale mondiale era di poco inferiore al 15%, in leggera ascesa grazie a un incremento medio annuo assestato sul 12-13‰; la densità si avvicinava ai 22 ab./km2.
Benché i comportamenti demografici conservino una forte differenziazione a scala continentale, non mancano linee di convergenza che coinvolgono parecchi ambiti. Ormai solo nel blocco di terraferma tra il confine meridionale del Messico e quello settentrionale del Costa Rica, area a forte popolamento indio, resistono livelli di natalità superiori al 30‰, purtroppo stemperati da una mortalità infantile ancora rilevante. L'alto quoziente di nati è condiviso da Bolivia e Paraguay e, con pesante inasprimento dei decessi infantili, da Haiti. Nel resto dell'A. Latina la natalità si aggira tra il 12 e il 25‰, con conseguenti ritmi d'incremento degli abitanti inferiori al 2% annuo. Non mancano situazioni in cui tale incremento è ancora più modesto, come in buona parte della regione insulare, o addirittura nullo (a Panama e nella Repubblica Dominicana), anche in ragione di crisi economiche locali e dell'esodo di mano d'opera.
I comportamenti del Cono Sud, espressi da fecondità contenuta, bassa mortalità infantile, mortalità complessiva tra il 7 e il 9‰, tendono a essere i più prossimi a quelli dei colossi economici del Nordamerica; e la stessa tendenza esprime Cuba, che vanta in particolare un basso livello di decessi infantili: frutto evidente degli sforzi compiuti dal governo castrista in campo sanitario, che hanno portato, tra l'altro, quasi a 6 il numero dei medici per 1000 ab. (3,5 negli Stati Uniti). Le differenze residue tra quest'ultimo gruppo di Paesi e la coppia Stati Uniti-Canada si leggono lungo la piramide delle età: avendo conseguito prima lo stadio di bassa crescita demografica, i due Stati nordamericani vantano una quota di anziani più alta, con il 18-19% di abitanti oltre 60 anni contro il 13-14 di Cuba, Argentina e Cile. Gli scarti nella struttura per età si fanno più marcati rispetto a regioni dotate di persistente vitalità demografica: nel Messico, per es., i giovani sotto i 15 anni sono quasi un terzo degli abitanti e gli anziani sopra i 60 appena il 7%; nei suoi vicini meridionali la schiera dei minori supera il 40% e la quota di anziani non raggiunge il 5%.
Dove la convergenza si fa di nuovo consistente è nella speranza di vita: nella maggior parte dell'A. ha toccato 70-75 anni, mentre oltre il limite degli 80 si pongono il Canada, gli Stati Uniti e il Cono Sud, quasi raggiunti da Cuba, Costa Rica e Territori francesi d'oltremare; aspettative assai peggiori toccano, invece, agli uomini del Guatemala (64 anni) e di Haiti (solo 50), anche per l'eredità dei sanguinosi conflitti civili.
Il grado di disarticolazione delle istituzioni haitiane si desume anche dall'analfabetismo, che attanaglia ancora una metà degli abitanti. Solo la fascia più povera della terraferma centro-americana registra poi quote di analfabeti tra il 20 e il 30%, mentre la maggior parte del continente si attesta su livelli prossimi o inferiori al 10% e i Paesi più ricchi o più organizzati hanno quasi azzerato questo handicap sociale. Negli Stati Uniti, peraltro, lo 0,5% di analfabeti, come molti altri indici demografici e sociali, risulta dalla media di scompensi interni talora marcati, soprattutto sul piano delle componenti etniche e delle aree in cui queste sono in prevalenza insediate. Le proporzioni stesse di tali componenti tendono a modificarsi in base ai diversi livelli di natalità: solo latinos e neri assicurano ora l'essenziale dei saldi naturali positivi agli Stati Uniti. Il gruppo degli ispanici cresce pure in virtù di un forte contributo migratorio, sicché nel 2001 ha superato per la prima volta il numero degli abitanti neri, salendo al 13% della popolazione totale, con incidenza particolare negli Stati meridionali.
Nel complesso, le cifre ufficiali riferiscono di una migrazione verso gli Stati Uniti di circa un milione di individui all'anno, ma persistono molti ingressi di clandestini dalla frontiera meridionale. Dopo i latinos, la più numerosa componente in entrata è data dagli asiatici, i quali prevalgono invece tra gli immigrati (circa 200.000 all'anno) accolti dal Canada. Con il Messico, i Paesi del continente che manifestano quote più consistenti in uscita sono Puerto Rico, Panama, Nicaragua e Giamaica, cui le recenti traversie economiche hanno aggiunto Uruguay e Argentina.
In ampie parti dell'A. il popolamento urbano è di gran lunga dominante: se per i margini estremi - Canada e Stati Uniti, da un canto, e Cono Sud, dall'altro - la soglia dell'80% di cittadini è consolidata da tempo, questo traguardo è stato conseguito più di recente pure da popolose realtà come Cuba, Venezuela e Brasile e non appare lontano per Messico e Perù. Resta, invece, ancora ben rappresentato l'insediamento rurale in parecchi territori andini e dell'A. centrale, dove le città assorbono talora anche meno di metà degli abitanti. Anche lì dove il fenomeno urbano è dominante, comunque, il drenaggio di uomini dalle campagne rallenta e le trasformazioni non riguardano tanto l'espansione fisica della città quanto la sua articolazione interna e l'ispessirsi delle sue connessioni. Si delineano, soprattutto nel Nordamerica florido, interventi rilevanti di rinnovo edilizio e funzionale degli spazi centrali o di quelli dismessi da industrie e attività portuali, con forti rialzi delle rendite immobiliari.
Nell'A. Latina, dove le memorie della colonizzazione sono di vasto spessore, il rinnovo assume talora il connotato di recupero e valorizzazione dei sontuosi centri storici (così a L'Avana, Quito, Salvador). In molti ambienti urbani gli inconvenienti di traffico e inquinamento e, soprattutto, la dilagante insicurezza inducono le classi agiate a nuovi modelli di vita, originati nel Nord ma adottati via via anche nel resto del continente: sono le gated communities, quartieri cintati con polizie private, spazi verdi e ampia gamma di servizi. Ne deriva un accrescimento della segregazione nella città americana, che vive spesso di contrasti notevoli, soprattutto sul versante dell'A. Latina, dove una quota consistente di abitanti continua a risiedere in caotici e miserabili addensamenti precari. Nel complesso, sono una ventina le aree metropolitane con oltre 5 milioni di abitanti: su tutte svettano New York, Città di Messico e San Paolo, che superano i 18 milioni di individui, mentre Los Angeles, Rio de Janeiro e Buenos Aires ne annoverano 11-12 milioni.
Attività economiche
Le stime del 2004 attribuivano agli Stati Uniti un prodotto interno lordo pro capite superiore ai 37.000 dollari, circa ottanta volte quello disponibile per un abitante della Repubblica di Haiti. Se in termini di opulenza il Canada (27.000 dollari) seguiva di lontano gli Stati Uniti, un solo grande Paese, la Colombia, e alcune isole in particolari condizioni istituzionali (Puerto Rico, Martinica), oltre alla piazza turistico-finanziaria delle Bahama, godevano di oltre 10.000 dollari. Il grosso della popolazione del continente si attestava invece sui 2000-4000 dollari pro capite, con una punta superiore per il Messico (6000) e con un discreto gruppo di Stati anche sotto i 1000 dollari.
Il netto contrasto tra i due Paesi ricchi e il resto dell'A. si riproduce nel tasso di partecipazione femminile alla popolazione attiva: il 46% contro una media generale intorno al 35. Al contrario, la quota degli addetti all'industria è pressoché analoga dappertutto, collocandosi poco sopra il 20%; ma è poi assai più variabile il peso sul prodotto lordo, con incidenza più significativa sull'economia del Venezuela, che è uno dei maggiori produttori petroliferi mondiali. Alquanto differenziata è pure la percentuale di occupati nel terziario, che di norma si pone tra il 60 e il 75%: se, però, negli assetti economici più articolati il comparto è denso di servizi avanzati, in buona parte del Sudamerica esso assume la funzione di assorbire un'amplissima quota di 'mestieri' fantasiosi e precari con redditività insignificante. Analogamente bassa è la produttività del settore agricolo in molte regioni dove pure impiega più del 30% degli addetti, come Haiti, El Salvador, Nicaragua e Paraguay, che occupano anche gli ultimi posti per il prodotto lordo; all'opposto stanno le altissime rese di Stati Uniti e Canada, in testa alla graduatoria mondiale per molte derrate pur con meno del 3% di agricoltori.
Dopo una contenuta fase di stasi, la principale economia del continente, quella statunitense, ha mostrato all'inizio del 21° sec. segni di ripresa, con incrementi del prodotto lordo nell'ordine del 3-4% e con crescita dell'occupazione, pur all'insegna di una marcata flessibilità. Non mancano, peraltro, motivi di perplessità: l'ammontare delle importazioni si è espanso in misura inusuale, generando un forte deficit nella bilancia commerciale, e le spese delle campagne militari hanno spinto il debito pubblico intorno al 7% del prodotto. Sul fronte commerciale, la principale fonte di destabilizzazione consiste nelle crescenti capacità di concorrenza della Cina, che continua ad accumulare saldi positivi e vanta ormai poderosi crediti nei confronti del Tesoro statunitense.
La forza di penetrazione delle merci cinesi induce il ridimensionamento di vari comparti industriali, dal tessile-abbigliamento all'elettronica civile, seminando motivi di crisi persino in aree-chiave della produzione di punta, come la Silicon Valley californiana. Poco può a confronto l'impiego sempre più vasto di mano d'opera latino-americana a buon mercato nelle regioni del Sud o in migliaia di impianti decentrati appena oltre il confine messicano.
Intanto, in oltre un ventennio di accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, il Canada e il Messico hanno accresciuto la loro dipendenza dagli scambi con l'economia egemone, che concentra ben quattro quinti del loro commercio con l'estero. Un accordo commerciale con gli Stati Uniti è stato stipulato pure dal Cile, ma quest'ultimo è al tempo stesso uno dei Paesi sudamericani associati al MERCOSUR (Mercado Común del Sur), organizzazione composta da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay, che nel corso degli anni Novanta ha quintuplicato il flusso dei traffici interni, prima di conoscere una stasi legata soprattutto alla crisi argentina. In effetti, si manifesta una tendenza a espandere l'integrazione tra le economie latino-americane, in aggiunta o in alternativa ai tradizionali vincoli con il Nord del continente: e molto si deve all'emergere, quale fulcro di mercato e di produzione, del potenziale gigante economico brasiliano.
Poiché le importazioni contano già per metà nel crescente consumo energetico degli Stati Uniti e provengono spesso da scacchieri instabili e lontani, il surriscaldamento del mercato petrolifero accresce la pressione sulle risorse del continente. Ne derivano talora pesanti attacchi ambientali, in particolare per alcune regioni petrolifere finora quasi incontaminate (come l'Alasca, la Patagonia o le selvas amazzoniche); e altri ne potrebbero nascere su larga scala ove l'innalzarsi dei costi dell'energia rendesse conveniente attingere alle enormi distese di sabbie bituminose di cui è dotato il Nord canadese. Sempre sul fronte ambientale, non rassicura l'ostinazione con la quale gli Stati Uniti rifiutano di sottoscrivere protocolli per la riduzione delle emissioni nocive, concentrandosi peraltro sulla ricerca di processi produttivi meno inquinanti.
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