AMERICA
(II, p. 837; App. I, p. 108; II, 1, p. 152; III, 1, p. 79; IV, 1, p. 111; V, 1, p. 145)
Evoluzione del quadro politico (v. tabb. 1, 2, 3)
Nello scorcio del 20° sec. l'A. è la parte del mondo che ha presentato minori perturbazioni della carta politica (figg. 1, 2, 3). Il solo territorio che si avvia a formare una nuova compagine statuale è quello di Aruba, nelle Antille Olandesi, da qualche tempo entrato in un regime transitorio che prelude appunto all'indipendenza. Alla fine dell'anno 1999 avrà termine la gestione statunitense del Canale di Panamá (di cui sarà garantita la neutralità permanente) e della striscia di terra estesa ai lati dello stesso (Zona del Canale).
Se tale prospettiva ha incentivato l'allestimento di progetti per la realizzazione di una nuova via d'acqua lungo l'istmo centrale americano, essa non ha indotto, peraltro, gli Stati Uniti a distogliere la loro attenzione dal contesto geografico e politico che inquadra l'attuale canale: lo testimonia l'intervento armato a Panamá, nel 1989, mirato all'arresto del dittatore M. Noriega, accusato di traffico internazionale di droga. Le forti pressioni del governo di Washington sull'A. istmica e caribica si sono manifestate anche nel 1994 attraverso lo sbarco di truppe statunitensi ad Haiti per il ripristino del governo legittimo del presidente di quella repubblica, J.-B. Aristide, deposto da militari golpisti, e attraverso la prosecuzione dell'embargo contro il regime comunista cubano. Quest'ultima misura è stata rigidamente mantenuta nonostante i segni di apertura del governo castrista, continuando a creare problemi rilevanti all'economia dell'isola.
Una mancata svolta per la scena politica dell'A. Settentrionale è stata rappresentata dal referendum dell'ottobre 1995 con il quale il 50,6% degli abitanti della provincia francofona del Québec ha respinto la proposta d'indipendenza dal Canada. Nell'America Latina non sono mancate tensioni e sporadici scontri armati per modeste vertenze di frontiera, ma solo tra il Perù e l'Ecuador si è pervenuti nel 1995 a un conflitto di pericolosa portata per il controllo di un vasto distretto, non privo d'interessi petroliferi, nell'area della Cordigliera del Condor; la controversia è stata tuttavia risolta mediante la creazione di una zona smilitarizzata alla frontiera tra i due paesi andini. L'annunciato trasferimento della capitale argentina da Buenos Aires a Viedma, connesso a una volontà di accentuazione della pressione geopolitica sulla Patagonia, non ha più avuto luogo.
I sintomi d'instabilità che hanno scosso gli equilibri politici interni dei paesi dell'A. Latina sin dai primi passi della loro indipendenza sembrano essersi attenuati. Divenuti meno pervasivi i ruoli delle caste militari e meno frequenti i loro pronunciamenti, una gran parte dei governi parrebbe avviata in modo più determinato lungo i binari della democrazia. Restano, però, estesi focolai di tensione legati ai forti scompensi sociali che in molti paesi s'incanalano verso forme di guerriglia; in talune circostanze i conflitti s'innestano anche sulle insostenibili condizioni in cui versano le componenti indigene e quelle contadine.
L'esplosione della violenza è stata particolarmente acuta in Perù, oltre che in Colombia, con operazioni dovute soprattutto ai guerriglieri di Sendero luminoso e del Movimiento revolucionario Túpac Amaru, mentre grande attenzione - anche internazionale - hanno suscitato le azioni intraprese nel 1994 nello stato federato messicano del Chiapas da un 'esercito zapatista di liberazione nazionale'. Nella regione centroamericana, anche per effetto dei mutamenti intercorsi nella situazione internazionale, nel 1990 e nel 1992, hanno avuto termine i conflitti civili in Nicaragua e nel Salvador, mentre il 1996 ha segnato la fine della guerriglia e l'avvio di una pacificazione nazionale in Guatemala, quattro anni dopo che l'attribuzione del Nobel per la pace alla militante maya-quiché R. Menchú aveva espresso la generale condanna delle politiche di discriminazione degli elementi indigeni.
Il processo di consolidamento delle basi democratiche ha conferito maggiori possibilità di successo ai tentativi di accordi 'regionali'. Si è assistito così tanto all'instaurarsi di circoscritte esperienze di unione doganale, quanto alla conclusione di più ampi accordi, come quelli per una 'Comunità andina', che comprende Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela. Ma le più ambiziose iniziative di rafforzamento dei legami economici sono quelle avviate nel Nordamerica con il NAFTA (North American Free Trade Agreement), che riunisce Canada, Stati Uniti e Messico, e nel Sudamerica con il MERCOSUR (Mercado Común del Sur), che include Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. A quest'ultimo raggruppamento si sono associati anche il Chile e la Bolivia, mentre pure la Colombia e il Venezuela hanno prospettato la loro adesione.
Assetti demografici e sociali
L'accrescimento medio della popolazione si è fatto più contenuto nel corso dell'ultimo ventennio, collocandosi ora intorno al 15‰ annuo. Nel 1998 l'A. aveva superato gli 800.000.000 di ab. secondo le stime delle Nazioni Unite; la sua incidenza sul totale della popolazione mondiale era del 13% circa e la densità media era di 19 ab./km².
La dinamica demografica naturale si presenta assai diversa nelle varie regioni delle Americhe. In alcune sezioni dell'A. Centrale e Meridionale il calo della natalità non ha ancora assunto una reale incisività: benché il livello di fecondità sia sceso in taluni casi da 6÷7 a 3÷4 gravidanze per donna, i tassi di natalità restano piuttosto elevati in Nicaragua, Honduras e Guatemala, così come in Paraguay e Bolivia. In alcuni di questi paesi e nella poverissima repubblica haitiana i ritmi di accrescimento sono ancora contenuti da una mortalità infantile che supera talora il livello del 50‰; ma ormai la mortalità complessiva è generalmente bassa (spesso inferiore al 7‰) e ne deriva comunque un ritmo di crescita medio della popolazione prossimo o superiore al 25‰ annuo. Più consistente è stata la diminuzione delle nascite che si è registrata in alcuni altri stati dell'A. Latina dove la natalità si aggira, ormai, intorno al 25‰ e in qualche caso scende anche a valori inferiori. Questo insieme include alcuni dei paesi più popolosi del continente, come il Brasile e il Messico, oltre a una nutrita schiera di stati sudamericani di medie dimensioni, come il Perù, la Colombia, l'Ecuador, e i più floridi tra quelli dell'istmo centrale (Salvador, Costa Rica, Panamá). Qui, intanto, l'abbattimento della mortalità infantile a livelli pari al 20÷30‰ (addirittura al 12 in Costa Rica) ha fatto sì che la mortalità complessiva scendesse al di sotto del 6‰. Ne sono scaturiti ritmi di accrescimento della popolazione che, pur restando prossimi al 15÷20‰ annuo, sono ormai calati di circa un punto rispetto agli anni Settanta.
Un regime demografico del tutto diverso è quello che si registra nei due più vasti stati dell'A. Settentrionale, in una consistente porzione dei paesii insulari del Mar Caribico e nel Cono Sud. In questi paesi l'incremento degli abitanti si aggira ora in media sul 10‰ annuo, con punte minime intorno al 5‰ in Giamaica e in Uruguay: il fenomeno è la risultante di una natalità che è scesa ormai intorno al 15÷18‰ e di una mortalità che si è attestata sul 7‰ (ma che tende a risalire consistentemente in paesi funestati dagli eccessi dell'inquinamento e dai guasti della superalimentazione, come gli Stati Uniti, e in quelli con altissima percentuale di anziani, come l'Uruguay). In realtà, in vasti paesi che manifestano la tendenza ad accrescere la gamma delle loro componenti etniche, come avviene per gli Stati Uniti e per il Canada, si riscontrano scarti non indifferenti nei comportamenti demografici dei diversi gruppi (e dunque anche tra le regioni che questi popolano in diversa misura): è in generalmente maggiore il ritmo di accrescimento delle componenti nere, asiatiche o latino-americane.
La speranza di vita sembra riflettere in maniera piuttosto fedele la disponibilità media dei redditi: è minima (appena 57 anni) ad Haiti, compresa tra i 60 e i 67 anni in Brasile e in una parte dei paesi istmici e andini, si fa prossima ai 70÷72 anni nella sezione latino-americana dominata dal popolamento bianco (soprattutto in Argentina); si aggira poi intorno ai 75 anni nei paesi meno poveri nell'area centrale (Giamaica, Costa Rica) e a Cuba, dove il governo castrista ha dedicato particolari cure al miglioramento del comparto sanitario, e si attesta sui 77÷78 anni in Canada e negli Stati Uniti.
Del tutto diversa è la distribuzione dei livelli d'istruzione: mentre un paese come Haiti, con il 55÷60% di analfabeti, sembra confermare la connessione tra miseria e ignoranza, in altri non molto più ricchi, come l'Honduras o la Bolivia, le quote di analfabeti sono quasi tre volte inferiori. In ogni caso, molti dei paesi latino-americani, pur denunciando per numerosi aspetti l'appartenenza al Terzo mondo, fanno registrare un'incidenza dell'analfabetismo spesso prossima o inferiore al 10%, il che decurta in modo meno marcato le capacità del potenziale umano locale.
Le due grandi potenze economiche dell'A. Settentrionale continuano ad attrarre popolazione dall'Asia e dai paesi latino-americani. Per quanto gli Stati Uniti abbiano reso più severi i controlli alle loro frontiere meridionali, è particolarmente intenso il flusso di immigrati che giungono dal Messico e che forniscono mano d'opera a buon mercato per l'economia delle regioni sud-occidentali. È in questa sezione del paese che la mescolanza di culture ha raggiunto livelli assai elevati: si calcola, per es., che nella vasta area urbana di San Diego oltre un terzo degli abitanti sia ormai costituito da asiatici e latino-americani.
Per quanto l'A. sia una delle parti più largamente urbanizzate del globo, i ritmi di espansione della popolazione urbana mostrano una certa flessione, soprattutto nella fascia settentrionale più industrializzata, dove la quota dei residenti in distretti urbani si è stabilizzata da tempo intorno al 77÷78%. Qui molte delle città maggiori, per via dell'inquinamento, della deindustrializzazione e del dilagare della criminalità, sono entrate in crisi ormai da circa un trentennio e i loro quartieri centrali si sono spesso svuotati o degradati da un punto di vista sociale e urbanistico, mentre si sono espansi quelli periferici abitati dalle classi medie e alte. In alcuni casi, tuttavia, si è registrata anche una ripresa delle aree centrali, grazie a cospicue operazioni di recupero ambientale e urbanistico (come a Pittsburgh), o a un'intensa rivalorizzazione del fronte costiero (come a Baltimora). Nonostante il complessivo declino dei nuclei centrali, il dilatarsi delle periferie ha comportato la saldatura di vasti complessi metropolitani: quello che ruota intorno a New York ha così superato i 18 milioni di ab., mentre sul versante nord-orientale emergono anche i sistemi imperniati su Chicago (8 milioni di ab.), Filadelfia (6 milioni) e Detroit (quasi 5 milioni); lungo il Pacifico, invece, giganteggiano Los Angeles (prossima a 15 milioni di ab.) e San Francisco (oltre 6 milioni).
Anche nell'A. Latina si è fatto più contenuto l'afflusso di popolazione dalle campagne verso le città, soprattutto in quegli stati del Cono Sud (Argentina, Uruguay) dove si è superata già la soglia dell'85% di popolazione urbana; ma anche in altri paesi con livelli superiori al 75%, come il Messico, Cuba o il Brasile, i ritmi di crescita urbana sembrano ora meno accentuati. Restano intense le spinte di accrescimento in gran parte dell'A. istmica e insulare, e nelle regioni andine, dove la quota di popolazione urbanizzata è ancora contenuta tra il 40 e il 60%.
Il gigantismo urbano, comunque, continua qui ad accompagnarsi al proliferare di insediamenti spontanei popolati da masse diseredate e privi dei più elementari servizi, facendo delle grandi città latino-americane il teatro di acute tensioni sociali. Al tempo stesso, poiché queste continuano a essere la sede privilegiata delle attività industriali e a offrire notevoli occasioni di lavoro informale, il loro richiamo resta consistente, così come si presentano alti i livelli d'inquinamento, particolarmente rischiosi nella tentacolare conurbazione di Città di Messico. Quest'ultima metropoli ha superato i 16 milioni di ab., cifra cui si avvicina San Paolo, mentre Buenos Aires attualmente ne annovera oltre 11 e poco meno di 10 se ne contano a Rio de Janeiro; e Lima e Bogotá hanno di gran lunga superato i 6 milioni di residenti e Santiago i 5 milioni.
Attività economiche
Appare sempre più vivo nell'economia americana il contrasto tra le ampie risorse alimentari dei paesi delle fasce temperate, grandi produttori ed esportatori di cereali, soia e carne, e quelle di molti paesi dell'area centrale e andina, ancora legati a una limitata varietà di colture di tradizione coloniale (banane, cacao, caffè, canna da zucchero) e largamente deficitari per i fabbisogni delle popolazioni locali. Alla fine degli anni Novanta è particolarmente sentita l'esigenza di incentivare colture alternative a quella della coca, che, diffusa soprattutto nei distretti meno accessibili dell'area andina (in Colombia, Bolivia e Perù), alimenta il vasto mercato nordamericano della droga. Ancor più diffuso e preoccupante è il problema della dissennata deforestazione che investe le selve dell'A. Meridionale (particolarmente l'area amazzonica) per i rifornimenti di legname e, soprattutto, per l'estensione del pascolo brado in vastissime aziende spesso di proprietà di compagnie multinazionali: le conseguenze in termini di degrado ambientale rischiano di essere di portata mondiale. Già gravissimi sono gli effetti che i cambiamenti climatici hanno portato lungo la fascia marittima del Pacifico, dove è in atto una deviazione delle correnti marine che avevano fatto la fortuna del Perù nelle attività pescherecce e che ora accrescono il potenziale del Chile.
Ricchissime sono le risorse del sottosuolo, le quali, tuttavia, continuano a fornire una valida base per le attività industriali solo negli Stati Uniti e nel Canada, mentre altrove, di norma, le tendenze più recenti non sono andate oltre la valorizzazione locale in termini di prodotti intermedi.
Nel campo petrolifero alla produzione statunitense, che domina la scena (331 milioni di t nel 1995), si sono affiancate con sempre maggior rilevanza quelle di Messico, Venezuela e Canada: questi quattro paesi estraggono oggi quasi un quarto del greggio mondiale. Rilevanti sono anche le quote di partecipazione dell'A. nella dotazione mineraria di argento (oltre metà della produzione mondiale viene da Messico, Perù, Stati Uniti, Canada e Chile), di bauxite (Giamaica e Brasile), di ferro (Brasile), di rame (Chile), di stagno (Perù e Brasile) ecc. Resta cruciale, nell'economia mineraria, il ruolo del Canada, che da solo estrae quasi un terzo del totale planetario dell'uranio e annovera preziose riserve di altri minerali di valore, come nichel, zinco, cadmio e platino.
Accanto alle grandi potenze industriali nordamericane, l'unico paese latino-americano che mostra segni di evoluzione nel senso di un completamento della struttura industriale è il Brasile, favorito anche dall'enorme dotazione di forza idraulica, che gli consente oggi di disporre di oltre un decimo della produzione mondiale di energia idroelettrica. Anche l'Argentina, il Chile e il Messico dispongono ormai di un apparato industriale più articolato e maturo; ma ancora importante è il ruolo che vi giocano capitali esteri che sfruttano mano d'opera a buon mercato e favorevoli condizioni fiscali. Negli altri paesi i processi d'industrializzazione restano sporadici e sono spesso ostacolati dalla carenza di infrastrutture e di servizi (in particolare nel campo della viabilità e della fornitura di energia e di acqua). Così, gran parte dell'A. Latina continua a essere dominata da attività terziarie poco remunerative e da un vasto settore informale che ha la sua sede elettiva negli ambienti urbani.
Le economie industriali statunitense e canadese sono invece state all'avanguardia nel processo di ristrutturazione degli apparati produttivi che ha connotato l'intero Occidente, riuscendo anche, grazie all'intensità dell'innovazione, a contenere le perdite di posti di lavoro e, in alcuni distretti e nei settori più moderni, ad accrescere il novero degli occupati. Il vasto rinnovamento ha però spostato i fulcri di maggior dinamismo economico: mentre le aree centro-settentrionale e nord-orientale mostravano segni di declino, guadagnandosi il nome di Rust belt ("fascia della ruggine"), in quelle meridionale e occidentale decollavano le industrie di punta, legate soprattutto all'aeronautica, all'elettronica e ai computer. In questa Sun belt ("fascia del sole") lo slancio delle attività innovative è stato anche favorito dall'afflusso di mano d'opera a buon mercato dall'Asia e dal vicino Messico. In ogni caso, per vitalità demografica, economica e culturale la costa occidentale da Vancouver a Seattle e a San Diego si colloca in un rapporto di continuità con le coste dell'Asia e dell'Australia che si affacciano sullo stesso oceano, contribuendo a far emergere le regioni del Pacifico (Pacific rim) come uno dei maggiori bacini di prosperità mondiale, quello più modernamente proiettato verso il Duemila. A questa scadenza l'economia delle Americhe, pur connotata al suo interno da enormi scompensi, tende a presentarsi con un livello d'integrazione maggiore che nel passato e con una maggior diffusione dell'impronta liberista. Dopo che gran parte dell'A. Latina è stata per lungo tempo tormentata da livelli altissimi d'inflazione e da onerosi gravami del debito estero, politiche di rinegoziazione del debito, di contenimento delle spinte inflattive e di diffuse privatizzazioni hanno consentito di arrestare la pericolosa deriva, ma hanno anche determinato un sensibile abbassamento del livello di vita delle popolazioni, suscitando nuove preoccupanti tensioni sociali.
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