America
Continente esteso fra gli oceani Atlantico e Pacifico. L’Atlantico si spinge nelle regioni centrali riducendole a una stretta catena di istmi con un compatto arco insulare a E, delimitando un mare interno (Mar Caraibico) e distinguendo il continente in tre masse: Settentrionale, Centrale (dal golfo di Tehuantepec all’istmo di Darién) e Meridionale. La denominazione del continente entrò in uso nel 16° sec., dopo essere stata adottata dal geografo tedesco Martin Waldseemüller (1470 ca.-1520 ca.) in onore di Amerigo Vespucci, uno dei primi navigatori europei approdati nel Nuovo Mondo. Il popolamento umano dell’A. avvenne in un periodo compreso tra 40.000 e 20.000 anni fa, per la migrazione di popolazioni protomongolidi di cacciatori-raccoglitori provenienti dal continente asiatico attraverso lo Stretto di Bering. Non è esclusa l’ipotesi di un precedente flusso migratorio di pescatori e cacciatori giunti in A. Meridionale dall’Oceania o dall’Antartide. Alla grande varietà di ambienti ecologici presenti nel continente corrispose l’accentuata differenziazione culturale dei gruppi umani che vi si insediarono. Al 10°-8° millennio a.C. risalgono le culture del deserto e le culture dei grandi cacciatori nell’A. Settentrionale. Il cruciale passaggio dalla ricerca alla produzione di cibo cominciò a realizzarsi alla fine dell’8° millennio a.C. in alcune aree dell’A. Centrale, dove l’agricoltura divenne, nel 2° millennio a.C., il principale mezzo di sostentamento. Le prime società agricole fondate su insediamenti stabili e dotate di un’organizzazione complessa si formarono, a partire dal 10°-9° sec. a.C., nelle regioni dell’od. Messico, dove successivamente fiorì la grande civiltà dei Maya (4°-11° sec. d.C.). Questo popolo sviluppò avanzate conoscenze in campo astronomico-matematico ed elaborate forme di espressione artistico-religiosa, ma la sua cultura materiale non arrivò a contemplare alcuni elementi tipici delle più antiche civiltà del «vecchio mondo», quali, per es., l’addomesticamento degli animali da tiro e l’uso della ruota. La base dell’economia maya era costituita dalla monocoltura del mais, che veniva praticata senza l’ausilio dell’aratro. Nell’A. Meridionale, lungo la costa peruviana, le prime attività agricole risalgono a 5000 anni fa, mentre la lavorazione della ceramica, dell’oro e la coltivazione del mais iniziarono tra il 1200 a.C. e il 300 d.C.
Durante i secoli immediatamente precedenti alla conquista europea, nelle aree del Messico e del Perù, si costituirono due grandi entità statuali: l’impero degli aztechi (14°-16° sec.) e quello degli incas (13°-16° sec.), al cui dominio furono sottomesse diverse popolazioni locali. L’organizzazione economica di queste società era inquadrata e diretta centralisticamente dall’autorità politica. Il potere era detenuto da un monarca (oggetto di culto quale figura divina) attorniato da un ristretto ceto aristocratico-sacerdotale. I territori dei due imperi erano caratterizzati da evolute forme di urbanizzazione. Tecnicamente sviluppata era l’agricoltura, che tra gli incas comprendeva un prodotto destinato a segnare la storia dell’alimentazione europea: la patata. Il primo approdo di europei in A. è databile intorno al 10° sec., quando navigatori vichinghi provenienti dalla Scandinavia raggiunsero l’isola di Terranova. L’avvenimento, tuttavia, restò ignoto in Europa. Fu invece la spedizione navale compiuta nel 1492 da Cristoforo Colombo, al fine di raggiungere le Indie attraverso l’Atlantico, a dare avviò alla scoperta da parte europea e al conseguente processo di colonizzazione del continente americano (i cui abitanti furono denominati indios per via dell’iniziale qui pro quo geografico). Dopo il Trattato di Tordesillas (1494), che stabilì il criterio di spartizione delle terre d’oltreoceano, spagnoli e portoghesi procedettero a rapide conquiste: nei Caraibi, in Messico e in Perù, i primi; in Brasile, i secondi. A quell’epoca, nessuna delle popolazioni americane aveva superato la soglia della civiltà del bronzo. La metallurgia era diffusa, ma – al di là dei diversi e molteplici livelli di sviluppo culturale e di organizzazione politica – la lavorazione del ferro era ovunque sconosciuta. L’enorme gap tecnologico tra le civiltà del Vecchio e del Nuovo Mondo condizionò inesorabilmente l’esito del loro inatteso confronto. Le guerre di conquista, la violenza predatoria della colonizzazione, le vessazioni connesse alla riduzione in schiavitù, nonché le malattie introdotte dagli europei (dal vaiolo al tifo al morbillo), ebbero un impatto distruttivo sui popoli autoctoni, tale da configurarsi nelle dimensioni del genocidio. Politicamente annichiliti, socialmente assoggettati ed economicamente sfruttati dai conquistadores nelle miniere d’oro, d’argento e nelle encomiendas, i nativi americani si avviarono lungo la china del deperimento demografico, riducendosi gradualmente alle proporzioni di una minoranza nell’articolazione etnica dei paesi colonizzati, dove aumentava l’afflusso di immigrati europei e l’importazione di schiavi africani. Nel viceregno della Nuova Spagna (Messico), all’inizio del Seicento vivevano un milione di indios: un secolo prima erano 25 volte di più. La stessa istituzione economico-politica dell’encomienda, intorno a cui si era andata organizzando la società coloniale secondo schemi feudali di subordinazione personale e di lavoro coatto della terra, entrò in crisi per la progressiva scomparsa della manodopera indigena. A sperimentare un modello alternativo di colonizzazione furono i gesuiti, protagonisti dell’evangelizzazione che accompagnò e legittimò ideologicamente la conquista e la formazione degli imperi di Spagna e Portogallo. Nelle reducciones da essi create, in un’area compresa tra il Paraguay, l’Argentina e il Brasile, gli indios vivevano dei frutti del proprio lavoro agricolo sulle terre comuni. Sebbene non liberi, erano in questo modo liberati dalle forme più dure di schiavizzazione, tanto che il trend demografico di queste comunità, fino a quando durarono (18° sec.), ebbe segno positivo.
Tempi diversi, differenti protagonisti e altre modalità ebbe la colonizzazione dell’A. Settentrionale, inizialmente terra di conquista per spagnoli, francesi, olandesi, svedesi e inglesi. Dal prevalere di questi ultimi derivò la divisione del continente in due principali aree linguistico-culturali: l’A. latina centromeridionale e il Nord A. anglosassone. La competizione coloniale per i territori settentrionali si fece intensa a partire dal 17° secolo. Nel 1626 gli olandesi fondarono Nuova Amsterdam, che nel 1664 passò all’Inghilterra, prendendo il nome di New York. Nel 1638 nacque, lungo il fiume Delawere, la colonia della Nuova Svezia, che nel 1655 fu inglobata dalla Nuova Olanda. La colonizzazione francese si estese su un territorio molto vasto tra il Canada e il Golfo del Messico. La presenza inglese nell’A. Settentrionale, inaugurata nel 1607 dalla fondazione di Jamestown in Virginia, arrivò nel 1688 a comprendere 12 colonie (13, con la Georgia, nel 1732), popolate dal flusso migratorio dei dissidenti religiosi, di cui è paradigmatica la vicenda dei padri pellegrini giunti in Massachusetts a bordo della Mayflower (1620). Al termine della guerra dei Sette anni (1763), quasi tutti i territori nordamericani dell’impero francese passarono sotto il dominio britannico. Ancora una volta, la colonizzazione europea segnò il destino delle popolazioni locali che non furono in grado di fronteggiarla. I cd. «pellerossa», cacciatori-raccoglitori organizzati in tribù, erano all’inizio del Seicento 1.200.000 ca.: tre secoli dopo ne restavano soltanto 250.000 ridotti a vivere nelle «riserve».
Il dominio degli Stati europei sui paesi del Nuovo Mondo cominciò a vacillare alla fine del 18° sec., quando le colonie inglesi, in seguito a un conflitto di natura economica e fiscale con la madrepatria, proclamarono e conquistarono militarmente la propria indipendenza (1776-1783), creando la federazione repubblicana degli Stati Uniti d’America. Alla successiva espansione territoriale verso O si accompagnò l’estromissione dall’area nordamericana delle altre potenze europee: nel 1803 gli USA acquisirono la Louisiana, venduta da Napoleone, nel 1819 la Florida, venduta dalla Spagna, nel 1867 l’Alaska, venduta dalla Russia (che l’aveva occupata nel 1784). Tra il 1808 e il 1826, raggiunsero l’indipendenza anche i paesi dell’A. latina, che approfittarono della debolezza del potere centrale, causata dalle guerre napoleoniche e dalla precarietà della restaurazione dinastico-assolutistica. Protagonisti delle guerre di liberazione furono l’argentino José de San Martin e il venezuelano Simón Bolívar, sotto la cui direzione militare si realizzò l’indipendenza del Cile (1818), della Colombia (1819), del Perù (1821), dell’Ecuador (1822), del Venezuela (1823) e della Bolivia (1825) dal governo spagnolo (che aveva già perso il controllo del Paraguay, nel 1811, e dell’Argentina, nel 1816). In A. Centrale, il processo di disgregazione del vicereame della Nuova Spagna, emancipatosi nel 1821, portò alla nascita di sei nuovi Stati: Messico, Guatemala, Honduras, San Salvador, Nicaragua e Costa Rica. Diversa è la vicenda del Brasile, dove il figlio del re di Portogallo, nel 1822, proclamò la costituzione di un impero sotto la sua sovranità, spezzando così i vincoli coloniali. Salvo una breve parentesi monarchica del Messico (e il singolare caso brasiliano), i nuovi Stati indipendenti adottarono ordinamenti repubblicani, fondati su costituzioni scritte ispirate al modello statunitense. Tuttavia, la fragilità del potere civile e l’instabilità istituzionale accrebbero la centralità politica – acquisita durante le guerre d’indipendenza – delle élites militari, la cui ingombrante presenza ostacolò a lungo lo sviluppo della democrazia. Negli Stati Uniti, i contrastanti interessi tra il Nord industrializzato e il Sud schiavista a vocazione agricola scatenarono una guerra di secessione, conclusasi con la sconfitta degli Stati meridionali nel 1865. Alla fine del secolo gli USA intrapresero una dinamica politica di potenza, occupando le Isole Hawaii e parte delle Samoa (1898-99) e strappando alla Spagna Cuba (trasformata in protettorato), le Filippine e il Portorico. Tra Ottocento e Novecento l’A. Settentrionale conobbe una nuova, importante ondata migratoria, che arricchì la composizione etnica del continente con l’afflusso di popolazioni europee determinate a migliorare le proprie condizioni di vita, cui si aggiunsero numerosi ebrei sfuggiti alle persecuzioni della Russia zarista.
Nei primi anni del 20° sec. gli Stati Uniti cominciarono a insidiare il primato geopolitico delle potenze europee. Lo sviluppo economico fu accompagnato, nei due mandati consecutivi della presidenza di Theodore Roosevelt (1901-09), da una crescita del peso militare e dalla vocazione egemonica al controllo dei Paesi del Sud A. Nel corso della Prima guerra mondiale gli indiscriminati attacchi sottomarini dei tedeschi indussero gli Stati Uniti a prendere parte al conflitto (1917), al termine del quale, nonostante l’impegno del presidente Wilson nel promuovere la formazione di una Società delle nazioni (1919), il nuovo governo statunitense avviò una politica isolazionista. La crisi economica che nel 1929 colpì duramente gli USA si riverberò anche in A. Meridionale, con conseguenze molto gravi per i paesi esportatori di derrate alimentari e materie prime minerarie, il cui mercato subì una forte contrazione. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale e l’attacco subito a Pearl Harbor da parte dell’aviazione giapponese (1941), coinvolsero ancora una volta la potenza statunitense in una guerra al fianco della Gran Bretagna e dei suoi alleati. La fine del conflitto coincise con il bombardamento atomico delle città di Hiroshima e Nagasaki da parte degli USA, che nel dopoguerra sancirono il loro primato economico e militare, guidando il fronte liberale e capitalistico contrapposto all’Unione Sovietica. Il 4 aprile 1949, nell’incipiente clima internazionale della Guerra fredda, gli Stati Uniti diedero vita al Patto atlantico, un’alleanza militare in funzione anticomunista, cui aderì anche il Canada. In quasi tutta l’A. latina, intanto, permaneva una condizione di arretratezza economica, aggravata dalle profonde iniquità sociali che caratterizzavano l’organizzazione interna degli Stati: pochi proprietari terrieri detenevano il potere politico, a discapito della maggioranza contadina. Il settore industriale era quasi interamente diretto e amministrato da imprese statunitensi, generando una relazione di subalternità nei confronti della superpotenza nordamericana. Queste circostanze favorirono, per un verso, la nascita di movimenti rivoluzionari in diversa misura vicini all’URSS, per altro verso, il costituirsi di rigide e brutali dittature militari, sostituite da governi democratici con la fine della Guerra fredda. Nell’A. meridionale del 21° sec., il Brasile vive un’importante fase di ascesa economica, che consente di annoverarlo tra le potenze emergenti a livello globale, alle spalle della Cina e dell’India. In tutti i Paesi latinoamericani è aumentata la visibilità politica delle popolazioni indigene, che hanno conquistato importanti traguardi sul piano giuridico e sociale. Il Nord A. conserva nel nuovo millennio una forte influenza economica sulle regioni centrali e meridionali del continente, dove non mancano, tuttavia, risolute spinte emancipatorie. Stati Uniti e Canada sono entrambi membri del G8, e i primi svolgono il ruolo di superpotenza mondiale in virtù della loro supremazia militare e della loro forza di espansione economica, legata a una straordinaria capacità di proposizione e diffusione di stili di vita e modelli culturali.