ROSSELLI, Amelia
– Secondogenita di Carlo, ebreo fuoriuscito, e di Marion Cave, quacchera inglese, nacque a Parigi il 28 marzo 1930. Ebbe due fratelli: John e Andrea.
Amelia era stata concepita a Lipari, dove il padre si trovava al confino per aver organizzato l’espatrio di Filippo Turati e Sandro Pertini. Fuggito dall’isola, Carlo era riparato in Francia e aveva fondato il movimento Giustizia e libertà. Prima di raggiungerlo a Parigi, Marion, incinta, era stata arrestata. La bambina, soprannominata Melina, ricevette il nome della nonna, Amelia Pincherle Moravia, coniugata Rosselli. Il nonno Joe era stato un compositore. In casa di un suo zio era morto Giuseppe Mazzini. L’infanzia fu una specie di babele: si parlava italiano con i genitori, inglese con le bambinaie britanniche e francese a scuola. Tuttavia il trilinguismo rosselliano fu sempre imperfetto. Carlo, impegnato nelle attività antifasciste, trasmise alla figlia un senso d’incorporeità e di assenza, mentre Marion – gravemente cardiopatica in specie dopo le ultime gravidanze – era poco affettiva con i figli minori, che venivano affidati spesso alla nonna.
Il 9 giugno 1937 Carlo e il fratello Sabatino, detto Nello, furono assassinati a Bagnoles-de-l’Orne da sicari della Cagoule, un’organizzazione parafascista sostenuta dal governo italiano. Amelia aveva solo sette anni. Lei e Andrea ricevettero la notizia dalla madre: «ci ha semplicemente chiesto se sapevamo cosa voleva dire la parola “assassinio”. E abbiamo risposto di sì» (cfr. A. Rosselli, È vostra la vita che ho perso, Firenze 2010, p. 259). Amelia Pincherle assunse la guida della famiglia, composta dalle due nuore e dai sette nipoti, cercando rifugio dapprima in Svizzera, poi in Inghilterra, quindi negli Stati Uniti, dove giunsero nel 1940 anche grazie all’intervento di Eleanor Roosevelt.
Nel 1946 i Rosselli fecero ritorno a Firenze, ma Amelia completò la carriera scolastica in Inghilterra, perché gli studi svolti negli Stati Uniti non le erano stati riconosciuti. Compì alcune letture fondamentali, frequentò i teatri e fece della musica la passione predominante, dedicandosi al violino, all’organo e al pianoforte. Nel 1948, in vacanza dalla nonna, entrò in contatto con Luigi Dallapiccola e si dedicò alla teoria della composizione. Subì un primo ricovero per disturbi psichici (credeva di essere Beethoven, amatissimo dal padre, che ai propri funerali aveva voluto l’allegretto della settima sinfonia), in seguito al quale John fu nominato suo tutore.
Il 13 ottobre 1949 la morte della madre pose fine, stroncandola, all’adolescenza di Amelia, che era in Italia e decise di restarvi. Assunta come traduttrice e dattilografa presso le Edizioni Comunità di Adriano Olivetti a Roma, vi si trasferì nel 1950 e prese a usare il nome della madre, per la cui morte provava un certo rimorso, presentandosi come Marion Rosselli e firmando così anche i primi contributi musicali. Più tardi Olivetti le consentì di dedicarsi alla musica, convertendo lo stipendio in una specie di borsa di studio. Amelia visse sempre in ristrettezze economiche, nonostante alcune rendite e altri contratti, come con Bompiani; rifiutò più di una volta la pensione di guerra, che avrebbe implicato l’ammissione d’inabilità.
Nel 1950 conobbe Rocco Scotellaro, con cui stabilì un rapporto di fratellanza che assunse le tinte dell’amicizia amorosa. Così scoprì il Sud e il meridionalismo, dedicandosi all’etnomusicologia. Ruppe un precedente fidanzamento e iniziò una relazione con Carlo Levi, di trent’anni più vecchio di lei e già impegnato. Prese a frequentare la casa del cugino Alberto Moravia e il mondo letterario romano, non senza nutrire una certa insofferenza per i salotti borghesi. Si recò poi a Parigi per studiare Béla Bartók e la musica non temperata del Terzo Mondo. Più tardi fu anche a Milano e a Torino, collaborando con Luciano Berio e Bruno Maderna.
Nel 1951 le salme di Carlo e Nello furono traslate a Firenze. Amelia cominciò a comporre i suoi primi scritti letterari in tre lingue, a partire dall’inglese. Tramite Roberto (Bobi) Bazlen conobbe Ernst Bernhard ed entrò in analisi con lui nel 1952. Cominciò anche a consultare in modo maniacale l’I Ching. Chiusa la storia con Levi, avviò una relazione con Mario Tobino, scrittore e psichiatra, di vent’anni più vecchio di lei e anch’egli già impegnato: un altro degli pseudopadri o quasi padri cui Amelia si legò nel corso della vita, come sarebbe avvenuto più tardi con Renato Guttuso.
Il 15 dicembre 1953 morì Scotellaro: Amelia subì una grave crisi nervosa e scrisse alcune poesie in italiano. Allo stesso anno risale la più antica delle sue poesie in inglese. Nel 1954 acquistò un appartamento sul lungotevere Raffaello Sanzio.
Pubblicò il saggio musicale La serie degli armonici (poi, aggiornato, in Una scrittura plurale, Novara 2004, pp. 44-57) e fece realizzare un piccolo organo per tentare un allargamento della teoria dodecafonica, in rapporto con la musica popolare. Cominciò a scrivere letterariamente anche in francese.
In estate si sottopose alla terapia del sonno e subì il primo elettroshock e vari shock insulinici. Fu quindi trasferita per un anno e mezzo nel Sanatorium Bellevue di Kreuzlingen diretto da Ludwig Binswanger. La diagnosi fu schizofrenia paranoide. Il 26 dicembre 1954 morì la nonna. Nella primavera del 1955 Amelia inviò una proposta di matrimonio a Tobino ma non ricevette risposta. In clinica cominciò a meditare un’invenzione che fondesse musica e scrittura sulla macchina da scrivere. Seguirono nuovi ricoveri, a Roma e in Inghilterra, da cui tornò nel 1957.
Risalirebbe al 1958 la formulazione di un nuovo sistema metrico, mediante la stesura di un poemetto, La libellula. Si trattava di «uscire dalla banalità del solito verso libero» (cfr. L’opera poetica, Milano 2012, p. 1277), senza tornare ai metri tradizionali. La svolta investì anche le poesie pseudoelisabettiane e gli esercizi poetici in francese.
Sempre nel 1958 s’iscrisse al Partito comunista italiano (PCI), facendo lavoro di base. Nel 1959 partecipò all’Internationale Ferienkurse für neue Musik di Darmstadt: i rapporti con l’avanguardia musicale europea furono molto più importanti di quelli con l’avanguardia letteraria italiana. Tornò a Darmstadt nel 1961. A Roma collaborò con John Cage e David Tudor, cui fu anche legata sentimentalmente, quindi con Carmelo Bene per le musiche di Pinocchio e Majakovskij.
L’esordio poetico in rivista avvenne nel 1963. Elio Vittorini pubblicò, nel Menabò, Ventiquattro poesie, con una Notizia su Amelia Rosselli di Pier Paolo Pasolini, che individuava nel lapsus l’elemento distintivo dell’autrice. Nonostante le pressioni di Vittorini per una normalizzazione delle abnormità linguistiche, Rosselli aveva conservato le «parole “fuse”, inventate o storpiate, o arcaizzanti» (v. Lettere a Pasolini. 1962-1969, a cura di S. Giovannuzzi, Genova 2008, p. 17), in cui il linguaggio dell’analfabeta conviveva con procedimenti di stampo modernista. Partecipò alla prima riunione del Gruppo 63, mantenendo un ironico distacco.
Variazioni belliche (Milano 1964) uscì presso Garzanti per interessamento di Pasolini.
Si compone di Poesie (1959), in verso libero, e di Variazioni (1960-1961), in metrica chiusa; segue l’allegato Spazi metrici (1962). È il libro della guerra, storica ma soprattutto interiore: una psicomachia religiosa, amorosa ed esistenziale, di cui il secondo conflitto mondiale costituisce la traumatica premessa. Le Poesie sono spesso la reinterpretazione in forma poetica di un preludio di Johann Sebastian Bach o di Fryderyk Chopin, mentre le Variazioni tengono conto della musica dodecafonica e postweberniana. La datazione delle sezioni è controversa, specie in rapporto a La libellula. Riletti i sonetti delle origini, Rosselli fissa il proprio spazio metrico nel «quadrato a profondità timbrica» (L’opera poetica, cit., p. 187), la cui larghezza è determinata dalla stesura del primo verso con la macchina da scrivere. Il testo è composto attraverso la retorica della ripetizione, della variazione e dell’opposizione: all’interno della logica sintattica s’innesca così un’interazione associativa che punta a rifondare la ragione occidentale senza l’esclusione dell’irrazionale. L’inevitabile oscurità che ne deriva è rotta da illuminazioni spesso lancinanti.
Serie ospedaliera (Milano 1969) uscì presso il Saggiatore come edizione in facsimile dei dattiloscritti, per rispettare appieno la «forma cubo» (È vostra la vita che ho perso, cit., p. 84). È il libro dell’ospedalizzazione linguistico-letteraria oltre che biografica, composto da La libellula (1958), rivista e ridotta, e dalla Serie ospedaliera (1963-1965) vera e propria, che neutralizza l’impeto del primo libro in uno spento isolamento lirico, ma consente anche un più largo confronto con la tradizione letteraria e un maggiore rigore linguistico. La rassegnata maturità della serie si oppone al «lungo fluido canto mai più ripetibile» (L’opera poetica, cit., p. 1348) della Libellula, in cui versi di Dino Campana, Eugenio Montale e altri maestri sono manipolati fino a liberare, in un empito di travolgente adolescenzialità, la voce di un soggetto che «sperimenta con la vita» (p. 201).
Documento (1966-1973) (Milano 1976), pubblicato da Garzanti, nasce come un canzoniere d’amore, attraverso «una parodia non umoristica del sonetto» (È vostra la vita che ho perso, cit., p. 52) e del modello petrarchesco, ma sempre più diventa opera politica, in cui le linee della vita e della storia si intrecciano e confliggono, mentre la metrica chiusa si ‘sfracella’ all’incontro con la realtà.
Questo libro dell’esperienza persegue un’oggettività impersonale, ma giunge piuttosto alla rifondazione della soggettività lirica: pur tentandone l’eliminazione, Rosselli insegna a fare un buon uso dell’io, e apre una terza via fra experimentum ed exemplum, avanguardia e tradizione.
Dopo aver dato alle stampe Documento, si trasferì a Londra fino al 1977, per l’acutizzarsi di una sindrome persecutoria in atto dal 1969: Storia di una malattia descrive delle ‘noie’ di tipo fascistico che manifestano un’inquietante contiguità fra malattia e storia. Tornata a Roma, trovò casa in via del Corallo. Nel 1978 fu indicata da Franco Fortini come «la voce poetica più alta della generazione montaliana» (È vostra la vita che ho perso, cit., p. 23) e fu l’unica donna inclusa da Pier Vincenzo Mengaldo nell’antologia Poeti italiani del Novecento (Milano 1978) destinata a lasciar traccia.
Nel 1979 partecipò al Festival di Castel Porziano, scuotendo con la sua voce ctonia un pubblico ormai postmoderno. L’8 dicembre compose di getto Impromptu (Genova 1981), poemetto pubblicato in forma di plaquette, con prefazione di Giovanni Giudici.
In un recitativo terminale Rosselli protesta una radicale disappartenenza all’ordine borghese del mondo e profetizza la perdita della memoria storica come rinuncia a modificare l’assetto della nostra società. Data allo stesso giorno il saggio Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath, che attribuisce il suicidio della poetessa, di cui Rosselli fu parca ma splendida traduttrice (così come di Emily Dickinson), al «rischio mortale» (L’opera poetica, cit., p. 1229) implicato da una ricerca artistica di altissimo livello.
Gli anni Ottanta segnarono una nuova stagione di letture in pubblico, con importanti iniziative editoriali. Primi scritti 1952-1963 (Milano 1980), uscito per interessamento di Giovanni Raboni, testimonia la formazione di una scrittrice geneticamente europea. Appunti sparsi e persi (1966-1977) (Reggio Emilia 1983) seleziona e rivede testi scartati da Documento o successivi alla sua crisi: un libro volutamente minore, benché molto amato dal pubblico per la sua leggibilità. La libellula (Milano 1985) ripropose l’omonimo poemetto e un florilegio di Serie ospedaliera, mentre Antologia poetica (Milano 1987), a cura di Giacinto Spagnoletti, ricapitola la carriera dell’autrice.
Continuarono i disturbi psicotici, che nel 1988 la spinsero in Unione Sovietica per chiedere asilo politico a Michail Gorbačëv.
Seguirono, negli anni Novanta, ulteriori pubblicazioni: Diario ottuso (Roma 1990) raccoglie, con prefazione di Alfonso Berardinelli, gli «esperimenti narrativi» (L’opera poetica, cit., p. 851). Seguì Sleep. Poesie in inglese (Milano 1992): una selezione, tradotta da Emmanuela Tandello, del grande libro metafisico degli anni Cinquanta e Sessanta, preceduta dalla plaquette Sonno-Sleep (1953-1966) (Roma 1989), con traduzioni di Antonio Porta.
Nel 1992 ricevette il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli. Seguirono nuove edizioni di Impromptu (Roma 1993), con un’introduzione di Antonella Anedda e una memorabile audiolettura dell’autrice, e di Variazioni belliche (Roma 1995).
L’11 febbraio 1996 Rosselli si suicidò, gettandosi dalla finestra della sua abitazione in via del Corallo, dove una lapide la ricorda con la chiusa di Impromptu. È sepolta nel cimitero acattolico di Roma.
Nello stesso giorno, trentatré anni prima si era suicidata Sylvia Plath. Il 16 febbraio, ai funerali presso la Casa della cultura di Trastevere, Biancamaria Frabotta pronunciò un Elogio del fuoco: «Con Amelia se ne va l’ultima vittima di un secolo divoratore dei suoi poeti» (Quartetto per masse e voce sola, Roma 2009, p. 66). Nella prefazione a Le poesie (Milano 1997) Giudici scrisse che bisognava fare ancora molto per rendere giustizia alla grandezza europea di Rosselli. Uno dei suoi versi d’esordio recita: «Io rimo per un altro secolo» (L’opera poetica, cit., p. 141).
Opere. L’opera poetica, a cura di S. Giovannuzzi, Milano 2012 (con bibliografia, pp. 1533-1561). Si vedano inoltre: Una scrittura plurale. Saggi e interventi critici, a cura di F. Caputo, Novara 2004; È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-1995, a cura di M. Venturini - S. De March, prefaz. di L. Barile, Firenze 2010.
Fonti e Bibl.: Oltre alla citata bibliografia in L’opera poetica, si vedano almeno: D. La Penna, «La promessa d’un semplice linguaggio». Lingua e stile nella poesia di A. R., Roma 2013; A. Loreto, I santi padri di A. R.: «Variazioni belliche» e l’avanguardia, Milano 2013; L. Barile, Laura Barile legge A. R., Roma 2014; L. Barile, Avvicinamento alla poesia di A. R., Pisa 2015; Quadrati, cantoni, cantonate. Topografie poetiche di A. R., a cura di C. Carpita - E. Tandello, in Moderna, XIV (2015), 2, numero monografico; A. R., a cura di M. Borio, in Nuovi Argomenti, 2016, n. 74, pp. 19-120; Eredità e attualità poetica di A. R., a cura di M.M. Kublas - E. Murrali, in Quaderni del ’900, XVI (2016), numero monografico.