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AMEDEO VI, conte di Savoia

di Francesco Cognasso - Enciclopedia Italiana (1929)
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AMEDEO VI, conte di Savoia (detto il Conte Verde)

Francesco Cognasso

Figlio primogenito di Aimone, conte di Savoia, e di Iolanda di Monferrato, nacque a Chambéry il 4 gennaio 1334 e succedette al padre il 22 giugno 1343. Governò in suo nome, fino al 1348, una reggenza stabilita dal conte Aimone: i cugini Ludovico II di Savoia Vaud e Amedeo III, conte del Genevese, assistiti da un consiglio di feudatarî. Il governo dei due reggenti fu debole e pieno di contrasti e di rovesci: appunto in quegli anni, il Delfinato fu definitivamente assorbito dalla monarchia francese, e gran parte dei possedimenti angioini del Piemonte furono conquistati da Luchino Visconti, signore di Milano. Piccolo compenso fu l'occupazione della repubblica di Chieri, per l'azione concorde del conte di Savoia e del cugino Giacomo di Savoia-Acaia, signore del Piemonte (1347). Verso il 1350, A. incominciò ad aver voce nelle decisioni del consiglio. La sua politica nulla innovò, perché rimase sempre imperniata sull'accordo con la monarchia francese e con la signoria viscontea; ma fu più vivace, più energica e più ardita. A. cercò, infatti, d'impedire ulteriori sviluppi dei due nemici, d'oriente e d'occidente, e di accaparrare per sé città, feudi e staterelli situati sui confini della contea. Speculando sulla posizione dubbia di Giovanni II di Valois di fronte alla minaccia inglese, promise la sua alleanza e l'abbandono dei vecchi legami con l'Inghilterra, ottenendo dal re un accordo circa il Delfinato: per esso. A. rinunciò ai vecchi possessi del Viennese ed ebbe in cambio libertà d'azione nel Genevesato, nel Gex, nel Faucigny. La vittoria sui Delfinaschi a La Bâtie des Abrets (1354) e l'energia mostrata nell'occupazione del paese di Gex e del Faucigny, procurarono al giovane principe fama di valentia militare. Grave rinuncia per lui fu quella della Borgogna: sebbene già avesse sposato l'erede del ducato, dovette disdire il contratto e sposare Bona, figlia del duca di Borbone, nipote del re di Francia (1355). Già nello stesso anno, genti d'arme sabaude, guidate dal conte in persona, seguirono il re nella lotta contro gl'Inglesi: non intervennero però, fortunatamente, alla giornata di Poitiers del 1356. Largo di consigli e di appoggio morale al cognato, Carlo di Valois, Delfino e reggente nel regno, A. fu il vero mediatore del matrimonio di Gian Giacomo Visconti con Isabella di Valois, figlia di Giovanni II.

Non ignorò tuttavia il pericolo di un'egemonia francese, e vi pose riparo, riaffermando i legame con l'Impero e riconoscendosi vassallo di Carlo IV, da cui ottenne la dignità di vicario imperiale in gran parte dell'antico regno d'Arles. Così A. poté affermare diritti in regioni dove l'influsso della dinastia era incerto: nel Genevese, ove da diplomi imperiali ebbe la possibilità di costringere il conte a subire la sua sovranità, a Ginevra e Losanna, dove però non riuscì a distruggere l'autorità dei vescovi. Vivace lotta combatté A. per occupare il Vallese: quivi, infatti, intervenne come difensore dei diritti del vescovo di Sion, conte della valle, conculcati dalle comunità tedesche della valle superiore, appoggiate da Basilea e da Milano. Nel 1353, prese con le armi Sion, sotto le cui mura volle essere armato cavaliere, e diventò il balivo del vescovo; ma la resistenza dell'elemento tedesco e l'opposizione dell'imperatore gl'impedirono di conservare la conquista.

Riuscì invece, nel 1359 a riunire allo stato il Vaud, comperandolo a caro prezzo dalla cugina Caterina di Vaud, vedova di Azzone Visconti e di Raoul di Brienne, e a quel tempo sposa di Guglielmo, conte di Namur. Poté quindi A. riprendere i fili della politica perseguita dagli avi verso Friburgo e Berna.

Un matrimonio consacrò pure la sua politica in Italia: nel 1350, aveva sposato la sorella Bianca a Galeazzo II Visconti. La dote, versata però dallo sposo, fu ritirata da A., che la trasformò in alcuni castelli dati in feudo al Visconti. I rapporti amichevoli avviati con Milano servirono anzitutto al conte per risolvere le questioni francesi; poi, scoppiata nel 1356 la grave lotta fra Milano e i collegati, A. attese a liquidare le sue vertenze con il ramo collaterale dei Savoia-Acaia, signori del Piemonte, e con i marchesi di Saluzzo. Piccole questioni, abilmente sfruttate, gli diedero la possibilità di occupare Torino e Pinerolo e tutto lo stato di Giacomo d'Acaia (1360), sperando di poterlo senz'altro tenere: costretto a cedere al malcontento delle popolazioni, restituì a Giacomo i dominî piemontesi, come feudo, a condizioni umilianti e gravose. Conoscendo quanto gli fosse ostile Filippo di Savoia, figlio ed erede del principe Giacomo, A., accordatosi con Margherita di Beaujeu, seconda moglie di Giacomo, riuscì ad ottenere che Filippo fosse diseredato a favore dei figli di secondo letto, Amedeo e Ludovico. E poiché, morto Giacomo, Filippo si ribellò in difesa dei suoi diritti, A. lo combattè, lo arrestò, e, sottopostolo a processo come traditore e ribelle, lo fece condannare a morte, assicurandosi la reggenza nel Piemonte per il giovane Amedeo d'Acaia (1368). Più aspra fu la lotta col marchese di Saluzzo; questi, sconfitto dalle armi di A. nel 1365, si piegò al vassallaggio sabaudo, ma riuscì abilmente a trovare protezione, prima in Bernabò Visconti, che assunse il titolo di marchese maggiore di Saluzzo, e poi nel re di Francia che, accettato l'omaggio saluzzese, deferì la questione al suo Parlamento di Parigi, mentre A. ricorreva, ma inutilmente, all'imperatore Carlo IV.

Nel 1364, egli celebrò il suo trionfo militare su Saluzzo con una giostra, per la quale creò quella fratellanza d'armi, contrassegnata dal portare un collare di levriero, prima origine del Collare della SS. Annunziata. Così aveva precedentemente celebrato i suoi successi militari con feste d'armi; per es., nel 1353, si era a Bourg festeggiato il trionfo nel Vallese con un torneo, cui A. intervenne con quell'abbigliamento verde, che poi, per abitudine, continuò a portare, sì da giustificare il soprannome di Conte Verde.

Nel 1364, A. giurò di prender parte alla crociata indetta da Urbano V, d'accordo col re di Cipro e col re di Francia. Fallito questo progetto, decise di recarsi a Costantinopoli, in soccorso di quel basileus, Giovanni V Paleologo, premuto strettamente dalla espansione turca in Tracia. Il basileus era suo cugino, essendo figlio della zia Giovanna; ed era prudente affermare i possibili diritti sabaudi alla corona bizantina, contro le analoghe pretese di Giovanni II Paleologo, marchese di Monferrato, rappresentante del ramo cadetto. A. partì da Venezia nel giugno del 1366, con una flottiglia di 17 navi, due delle quali dategli dalla signoria veneziana, e con circa 2000 uomini, fra cavalieri e fanti, affidando lo stato sabaudo alla contessa, l'intelligente, e saggia Bona di Borbone. Giunto ai Dardanelli, il conte sbarcò a Gallipoli e s'impadronì con la forza di quel castello, che dal 1353 apparteneva ai Turchi, e che i Greci non erano più riusciti a rioccupare. Lasciato un presidio per custodire lo stretto, A. arrivò nei primi gîorni del settembre a Costantinopoli. Il progetto iniziale di una energica azione contro i Turchi era fallito oramai, perché l'imperatore Giovanni V, ritornando poco prima dall'Ungheria, ove si era recato per concertare con quel re la lotta contro i Turchi, era stato arrestato per via dallo zar bulgaro. A. cambiò il suo programma: nell'ottobre si portò sulle coste bulgare del mar Nero e occupò successivamente Sozopoli, Anchialo, Mesembria, Varna, ottenendo dal principe bulgaro, per mezzo di trattative, la liberazione dell'imperatore. Nell'aprile del 1367, lieto del suceesso, rientrò a Costantinopoli. Svolse allora con Giovanni V una difficile trattativa, a nome del papa, sulla questione dell'unione delle chiese, e ottenne dal cugino la promessa di inviare ambasciatori a Roma per intendersi con Urbano V. Solo allora riprese A. la via del ritorno, giungendo a Venezia il 29 luglio 1367. Recatosi a Viterbo a riferire al papa l'esito del suo viaggio, scortò Urbano V nel ritorno solenne a Roma e gli presentò gli ambasciatori bizantini.

Rientrato nei suoi stati con l'aureola del crociato, vincitore dei Turchi e dei Bulgari, dopo aver dato sesto alle cose del governo, rivolse la sua attenzione alla situazione politica italiana. L'ostilità fra i Visconti da una parte, e i marchesi di Monferrato, gli Este e i Gonzaga, spalleggiati dal papa, dall'altra, lentamente doveva portare a guerra aperta: A. giudicò arrivata l'ora di ricacciare dalla Lombardia occidentale i Visconti, assicurando alla sua casa la prevalenza nel Canavese e nel Biellese, l'egemonia sui marchesati di Saluzzo e di Monferrato, la possibilità di occupare Cuneo e gli ultimi resti dell'antico dominio angioino. Nell'estate del 1372, si alleò col papa e diventò il capitano dell'esercito della lega antiviscontea; nell'agosto di quell'anno, respinse l'esercito visconteo, che cercava di ricuperare Asti, proprietà monferrina dal 1356; nell'ottobre, partecipò con truppe pontificie all'occupazione di Cuneo, e poi, nella primavera del 1373, attaccò lo stato visconteo, che attraversò da Novara a Brescia. Fallito il progetto di ricongiungersi con l'esercito pontificio (comandato dall'Acuto) partito da Ferrara e fermato a Montechiari dai viscontei, A. con abile marcia scese da Brescia a Bologna, percorse tutta l'Emilia viscontea, poi entrò in Toscana e si recò a Pisa a rafforzare gli antiviscontei. Nel febbraio del 1374, si recò per mare, a Savona, e rientrò in patria, lasciando che le due parti continuassero a lottare; nell'agosto dello stesso anno, pontifici ed angioini, assistiti dai rappresentanti di A., occuparono Vercelli e minacciarono Novara. A. iniziò allora una politica di mediazione fra i Visconti e il papa, cercando di avere concessioni territoriali da una parte e dall'altra. Come aveva imposto gravi condizioni al Monferrato per proteggerlo dai Visconti, così ora, fra il 1375 e il 1378, occupò successimmente molte terre del Vercellese, riuscendo anche ad essere accettato come signore da Biella, prima viscontea (1379). I Visconti, che avevano imparato a rispettare il principe sabaudo, dovettero rinunciare a strappargli le terre occupate; ma riuscirono a ristabilire il loro influsso sul Monferrato, cui tolsero finalmente Asti. La lotta fra Savoia e Visconti fu da allora in poi aspra, sebbene spesso mascherata da forme diplomatiche: mentre i Visconti miravano a rimetter piede nel Biellese e nel Canavese, i Savoia miravano ad imporsi ai Paleologi di Monferrato, strettisi a Milano.

Scoppiato nel 1378 il grande scisma pontificio, A. accolse con giubilo l'elezione del cugino Roberto di Ginevra, Clemente VII. Pensò dapprima a una spedizione a Roma, per fare riconoscere il suo congiunto; più tardi, quando Luigi d'Angiò, pretendente al trono di Napoli, organizzò una spedizione per cacciare dal Regno il rivale Carlo III di Durazzo e far trionfare la causa del papa di Avignone, egli aderì con entusiasmo. Ottenne dall'Angioino la promessa di aiutarlo più tardi contro i suoi nemici, i Visconti, e subito poté occupare Cuneo, ultimo possesso angioino di Piemonte (1382). Frattanto, intrigava con gruppi guelfi astigiani e genovesi per essere riconosciuto signore delle due città. Il prestigio suo in Italia era, in questo momento, considerevole: nel 1381, le repubbliche di Venezia e di Genova avevano sottoposto al suo arbitrato le loro controversie per il possesso di Tenedo, ed egli aveva sapientemente giudicato con il lodo di Torino (8 agosto 1381). Nel luglio del 1382, A. seguì Luigi d'Angiò nella spedizione di Napoli, con più di 1000 lance; una lunga marcia portò nell'ottobre i due principi alleati presso Napoli. Fallito il tentativo di occupare la capitale, l'esercito francese si ritirò per svernare nella conca di Benevento, mentre A. iniziava trattative per stabilire un'intesa fra Luigi d'Angiò e Carlo di Durazzo. L'epidemia, nel gennaio 1383, incominciò ad infestare il campo angioino e quello sabaudo, e, dopo molti suoi cavalieri, anche A. soggiacque al male. Morì in Santo Stefano, presso Castropignano (Campobasso), il primo marzo 1383, dopo avere dettato le sue ultime volontà il 27 febbraio. I suoi cavalieri, ottenuto un passaporto da Carlo III, ne trasportarono la salma a Pozzuoli; poi, per mare, la ricondussero in patria. Fu sepolto solennemente nell'abbazia di Altacomba.

Bibl.: I. Cordey, Les Comtes de Savoie et les Rois de France pendant la guerre des Cent ans, Parigi 1911; F. Gabotto, Storia del Piemonte nella prima metà del secolo XIV, Torino 1894; id., L'Età del Conte Verde in Piemonte, in Miscellanea di storia italiana, Torino 1895; D. Muratore, Bianca di Savoia e le sue nozze con Galeazzo II Visconti, in Archivio storico lombardo, XXXIV (1907), id. La nascita ed il battesimo di G. Galeazzo Visconti, ibidem, XXXV (1908); id., L'imperatore Carlo IV nelle terre sabaude nel 1365 ed il vicariato imperiale del Conte Verde, in Memorie R. Accademia delle scienze di Torino, Torino 1906; F. Bollati di Saint Pierre, Illustrazioni della spedizione in Oriente: Amedeo VI, Torino 1900; F. Cordero di Pampanato, La dernière campagne d'Amédée VI, in Revue Savoisienne, Annecy 1902; F. Cognasso, Il Conte Verde, Torino 1927; id., Il testamento ed il luogo di morte del Conte Verde, in Boll. stor. bibl. subalpino, 1929.

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