AMEDEO VI, conte di Savoia
Figlio primogenito di Aimone conte di Savoia e di Iolanda Paleologo di Monferrato, nacque a Chambéry il 4 genn. 1334. Rimase orfano della madre nel 1342, del padre il 22 giugno 1343. Il conte Aimone nel testamento, riconfermando le disposizioni precedenti di Amedeo V, aveva stabilito che la sua successione dovesse spettare al figlio primogenito Amedeo, in sua mancanza al secondogenito Giovanni e poi, occorrendo, al cugino Ludovico II di Savoia-Vaud. Così si fece: essendo minorenne ancora il nuovo conte, il governo fu affidato ai due tutori Ludovico di Savoia-Vaud ed Amedeo III conte del Genevese, con obbligo di rendere conto della loro attività al Consiglio di reggenza formato dai rappresentanti della feudalità delle varie regioni. I tutori ebbero cura di far riconoscere A. dai feudatari, di ottenere dal papa i privilegi religiosi di rito e soprattutto si preoccuparono di difendere il principe dalle pretese della cugina Giovanna, figlia del conte Edoardo, sposata al duca di Bretagna; essa aveva, con un trattato del 1339 con lo zio Aimone, rinunciato ad ogni diritto alla successione, ma il trattato non era stato applicato. La questione si fece grave quando la duchessa di Bretagna cedette i suoi diritti al duca d'Orléans, Filippo, figlio del re di Francia. Si mise riparo al pericolo che lo stato sabaudo venisse, come accadeva del Delfinato, assorbito dalla monarchia francese, grazie alla mediazione di Clemente VI: il conte di Savoia si impegnò, per riscattare i diritti, ad un indennizzo di 6000 lire tornesi annue. L'attenzione del re di Francia era, in realtà, attirata dalla questione del Delfinato.
L'ultimo di quei principi, della casa La Tour du Pin, Umberto II, non avendo eredi diretti nel 1343, acconsentì a cedere il suo stato al re di Francia per un suo figlio cadetto; ma il re Filippo VI presto stabilì che il Dellinato dovesse essere sempre governato dall'erede del trono di Francia. I tutori di A. si industriarono di impedire questo accordo franco-delfinale, offrendo ad Umberto II in sposa la sorella del conte, Bianca, ma nulla si poté fare e il 16 luglio 1349 il Delfinato fu da Umberto II consegnato ai rappresentanti del re di Francia. Lo stato sabaudo era dunque gravemente minacciato.
La crisi dell'impero prima, poi l'elezione di Carlo IV amico della Francia tolsero ad A. la speranza di trovare appoggi in Germania. Si pensò ad un riavvicinamento con la corte di Londra e si discusse a lungo a Chambéry circa il progetto di matrimonio tra A. ed Isabella, figlia di Edoardo III; ma per questo sarebbe stato necessario accordare al re d'Inghilterra quella alleanza politica e militare che egli esigeva per combattere la Francia. Un accenno ad una politica ostile alla Francia fu il rifiuto di A. di sposare una figlia del duca di Borbone, Giovanna, per iniziare segrete trattative in Borgogna, con l'erede. di quel ducato Giovanna: il contratto fu fatto e nel giugno del 1347 la principessa fu condotta in Savoia per esservi educata secondo le costumanze sabaude. Questo trattato matrimoniale irritò assai la corte di Parigi, dove si calcolava già di assorbire il ducato di Borgogna allo spegnersi di quella dinastia capetingia: se ilconte di Savoia fosse diventato duca di Borgogna ciò avrebbe significato la ricostituzione dello stato borgognone. Nel 1351 i rapporti tra A. -che diventato maggiorenne aveva impresso alla attività di governo una maggior energia -ed il nuovo delfino francese, Carlo duca di Normandia, diventarono assai aspri. La situazione fu salvata dal papa Clemente VI che offrì il suo arbitrato: il conte di Savoia rinundò al matrimonio borgognone, si impegnò a non sposare una principessa inglese ed ebbe un indennizzo di 60.000 fiorini. Il trattato fu per A. firmato da Amedeo conte del Genevese e dal cancelliere Soleri, ma a Chambéry dispiacque. Il cancelliere fu destituito ed incarcerato.
Le relazioni franco-sabaude rimasero difficili; la situazione si aggravò quando il Delfino ricevette l'omaggio di Ugo di Ginevra signore del Gex, paese confinante con la Savoia, e dello stesso conte del Genevese venuto in urto con A. Questi nel 1353 arditamente assalì il Gex e se ne impadronì, sconfiggendo Ugo d'Anthon a La Batie des Abrets in aspra battaglia. Il re di Francia, Giovanni II, preoccupato per la minaccia inglese, non volendo aprire un nuovo campo di lotta sul fianco orientale del suo regno, acconsentì a venire ad accordi definitivi con Amedeo.
Il trattato di Parigi del 5 genn. 1355 regolò tutte le vertenze. Anzitutto quella del matrimonio di A.; questi riconfermò i patti del 1351 e si impegnò a restituire la sposa di Borgogna ricevendo un indennizzo di 40.000 fiorini; avrebbe invece sposato un'altra figlia del duca di Borbone, Bona; il conte ed il re dichiararono di voler essere per l'avvenire amici ed alleati; A. promise a Giovanni II il suo aiuto per la guerra contro l'Inghilterra. Si risolvettero poi tutte le differenze territoriali tra Savoia e Delfinato, scambiandosi terre e castelli, si da eliminare impacci territoriali e addentellati; il Delfino abbandonò i castelli a nord del Rodano, rinunciò ad ogni diritto sul Gex, sul Faucigny, sul Genevese; il conte di Savoia abbandonò gli antichissimi domini della famiglia nel Viennese. Ora il confine fu segnato al Rodano ed al Guiers.
Il matrimonio di A. con Bona di Borbone fu celebrato ancora nel 1355, quando il conte fu di ritorno dalla spedizione regia nell'Artois; la buona fortuna tenne A. lontano dalla tragica giornata di Poitiers del 1356. Il conte di Savoia occupò invece il 1356 nella conquista a mano armata del Faucigny, dove i vari feudatari cercavano di resistere alla occupazione sabauda contando sul segreto appoggio del re di Francia e del Delfino. Poco tempo dopo, nel 1359, spentosi il ramo laterale dei Savoia-Vaud, A. poté senza difficoltà riunire questo feudo familiare allo stato sabaudo. Questo così venne ad avere una configurazione ben precisa: il Gex saldava la Bresse e il Vaud, il Faucigny integrava il Chiablese e lo metteva in comunicazione con la Savoia, rinserrando il Genevese già vassallo, e Ginevra, già dominata dall'influsso sabaudo.
Lo stato sabaudo formò ora un blocco capace di resistere; è vero però che la pressione della monarchia francese da Lione, dal Delfinato, dalla Borgogna, dopo il 1360 riprese energicamente; dal Delfinato poi i re pretendevano l'alta sovranità sui marchesi di Saluzzo; il possesso dell'alta valle della Dora Riparia dava loro il controllo di tutta la valle di Susa e dello stesso passo del Cenisio.
A questa minaccia di aggiramento francese, A. rispose mostrando doti di politico e di diplomatico. Con grande abilità sviluppò e rafforzò i suoi legami con l'impero, aiutando Carlo IV a conservare la sua autorità sull'evanescente regno di Arles. Quando l'imperatore lussemburghese nel 1355 scese in Italia, ambasciatori comitali si recarono a Milano a impetrare la conferma di tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori. Nel 1356 altri ambasciatori di A. si recarono a Praga a discutere con Carlo IV sulla convenienza per lui di rafforzare l'autorità dei conti di Savoia in opposizione ai re di Francia, che si erano impadroniti di Lione, di Viviers, del Delfinato. L'imperatore concesse ad A. il diritto di appello al suo tribunale da parte di tutte le curie dello stato sabaudo; concessione che dava al conte la possibilità di esercitare una vera autorità su tutti gli enti ecclesiastici, temperandone le velleità di indipendenza. Nel 1361 A. ottenne che Carlo IV dichiarasse incorporata nell'impero la contea di Savoia con tutti gli altri domini suoi, staccandoli giuridicamente dal regno di Arles. Nel 1365 l'imperatore creò il conte di Savoia vicario imperiale nelle diocesi di Arles, Losanna, Ginevra, Aosta, Torino, Moriana, Tarantasia, Belley, conferendogli tutti i diritti imperiali; questo diploma era la coonestazione di tutte le ambizioni del conte sul Vallese e sul Genevese, su Ginevra e su Losanna.
Il programma di salvare contro tutti l'integrità dello stato sabaudo costrinse A. ad una azione energica contro il cugino Giacomo detto di Acaia, signore di Pinerolo e di Torino. Questi continuando nella politica del padre Filippo aveva cercato di rimanere fedele alle aspirazioni di indipendenza dal ramo comitale, che a Pinerolo veniva considerato come usurpatore della contea. Quando Carlo IV scese in Italia nel 1355, Giacomo di Acaia si rivolse a lui per avere il diritto di battere moneta, creare notai, imporre pedaggi, ignorando la sua dipendenza feudale dal conte di Savoia. A., dopo aver richiamato il cugino all'osservanza dei suoi obblighi feudali, passò agli atti di forza: il 4 nov. 1356 dichiarò decaduto il principe Giacomo dai suoi diritti, avocò a sé i suoi beni feudali. Giacomo dichiarò di voler sottostare al suo signore ed ottenne che la decisione venisse affidata ad una commissione arbitrale. Poi improvvisamente, nel 1359, Giacomo ristabilì i pedaggi in contestazione; ad affermare la sua indipendenza prese a perseguitare i partigiani del conte. Questi nell'ottobre del 1359 dichiarò ribelle il principe ed iniziò l'occupazione dei feudi pedemontani. Nuovamente Giacomo di Acaia chiese il giudizio di arbitri, ma questi condannarono il vassallo fedifrago alla spogliazione. Un tentativo di resistere portò alla cattura ed alla prigionia del principe.
Lo stato sabaudo ora era tutto nelle mani del conte. Tuttavia nel 1361 A. liberò il cugino e gli restituì il feudo a gravi condizioni di sudditanza. Poiché Giacomo era rimasto vedovo, A. gli fece sposare una donna a lui fedele, Margherita di Beaujeu. Quando poi questa prese ad insistere perché il principe diseredasse il figlio di primo letto Filippo, già dichiarato erede, a favore dei figli da essa nati, ed in conseguenza sorse un dissidio tra il principe ed il figlio, il conte di Savoia intervenne nella vertenza come giudice; approvò il diseredamento, la chiamata alla successione nel feudo di Piemonte dei figli di secondo letto di Giacomo, organizzò il processo contro il giovane Filippo, accusato di ribellione, poi la condanna a morte e l'annegamento nel lago di Avigliana. Attraverso questa penosa vicenda, A. che per motivi ignorati, ma di malavoglia, aveva dovuto rispettare l'esistenza del feudo del cugino di Piemonte, era però riuscito ad avvincerlo strettamente allo stato comitale; i figli ed eredi di Giacomo non avrebbero osato più ribellarsi al conte cui dovevano la loro fortuna.
Nelle more della questione del principe d'Acaia, A. aveva cercato di risolvere anche la questione più ardua di Saluzzo. Vecchi trattati feudali avevano già nel secolo precedente vincolato gli aleramici marchesi di Monferrato ai conti di Savoia. A Saluzzo ci si era anche vincolati ai delfini di Grenoble nel 1343 e nel 1354 sperando di averne aiuto contro la preponderanza sabauda. Ora che il Dellinato era francese, l'imbarazzo per i Savoia diventò più grave. Tuttavia, nel 1363, approfittando della situazione critica in cui si trovava il re di Francia, A. credette di poter usare le armi per imporre la sua sovranità: assediò in Saluzzo il marchese Federico II e lo costrinse a riconoscersi vassallo. Appena libero però dalla prigione del conte, il marchese attraversò le Alpi e a Embrun rinnovò l'omaggio al Delfino. La questione era quindi riaperta in forma più difficile.
Per tutti i problemi riguardanti i suoi domini nella regione padana, A. cercò di stabilire una buona intesa con i Visconti di Milano. Durante la sua minorità, i due signori di Milano, Luchino e Giovanni, avevano tentato la conquista di tutti i domini angioini di Val di Tanaro fino alle Alpi Marittime, minacciando anche di scendere in Provenza, isolando il marchesato di Monferrato, sottomettendo le varie dinastie aleramiche di Ceva e Carretto. A. nel 1350 diede la sorella Bianca in sposa a Galeazzo Visconti, uno dei nipoti dell'arcivescovo Giovanni: la parentela doveva mirare a stabilire una linea di divisione tra la zona di influenza sabauda e quella viscontea.
A. assistette senza partecipare alla lotta combattuta tra i Visconti e una lega italica organizzata contro di essi, sfruttando la circostanza per risolvere le sue questioni di Acaia e di Saluzzo. Quando si accorse che il marchese di Monferrato Giovanni II Paleologo, aderendo alla lega, aveva conquistato senza difficoltà Asti, Alba, Mondovì, Novara, si volse contro di lui aiutando i Visconti che ricuperarono Novara; il dissidio tra il marchese ed i Visconti doveva presto essere sfruttato dal conte di Savoia. Una interruzione considerevole nell'attività politica di A. fu la sua crociata in Oriente. Che egli si decidesse nel 1363 a pronunciare il voto di partecipare a una spedizione contro gli infedeli si spiega pensando non solo all'ondata di entusiasmo mistico che era stato determinato dalle notizie sulla espansione turca a danno dell'impero bizantino, ma anche alla stretta parentela che univa A. e Giovanni V Paleologo. Come Giovanni II re di Francia, anche il conte di Savoia giurò ad Avignone alla presenza del papa Urbano V; in mezzo al realismo crudo delle passioni politiche, degli interessi, egli si alzò a pensare di combattere per un ideale religioso. La fondazione del famoso Ordine del Collare nel 1364 mirava ad avviare la feudalità savoiarda verso questo ideale religioso e morale troppo trascurato nel Trecento, legando i suoi fedeli cavalieri con un impegno di fedeltà verso il principe. Questi legami apparivano ben evidenti nelle pratiche dei tornei: in un torneo del 1353 il conte ed i suoi cavalieri presero come divisa il color verde; e di qui parte l'origine del nome di "Conte Verde". A. in questi anni progettava di andare in Castiglia a combattere contro il fosco re Pietro il Crudele, che aveva fatto perire negli stenti la consorte Bianca di Borbone, una sorella di Bona la consorte del conte di Savoia. Non vi si recò, ma andò invece in Oriente in aiuto del cugino Giovanni Paleologo con il proposito di indurlo a fare suo il programma della unione delle due chiese. La spedizione si svolse tra il giugno 1366 ed il luglio 1367: il conte conquistò Gallipoli e lo restituì all'impero bizantino; liberò Giovanni V prigioniero dei Bulgari; convinse il cugino a venire a Roma ad intendersi con il pontefice. Al ritorno, A; assistette Urbano V, il quale da Avignone rientrava a Roma.
Ma ritornato nel suo stato, A. fu di nuovo afferrato dalle esigenze della politica. Ora furono i problemi italiani che si imposero alla sua attenzione. Lo stato che i Visconti avevano creato in Lombardia, come era pericoloso per tutti i vicini, così Io era anche per Savoia. I buoni rapporti con Galeazzo non potevano nascondere insidie gravi, tanto più data la parentela stabilitasi tra i Visconti e la casa reale di Francia. A. patrocinò all'opposto un matrimonio tra una figlia di Galeazzo ed il duca di Clarence figlio di Edoardo III. Quando Urbano V e l'imperatore Carlo IV presero l'iniziativa di una grande coalizione contro i due fratelli Galeazzo e Bernabò, il conte di Savoia che si trovava dovunque a combattere l'intrigo visconteo, non poté più rimanere fuori. Nel 1372 salvò Asti minacciata dai viscontei. Quindi accettò la carica di capitano generale della Lega italica contro Milano. Invase la Lombardia, minacciò Milano e Pavia, poi scese a Bologna e quindi in Toscana. Il suo piano non era di distruggere lo stato visconteo come avrebbe voluto il papa, ma solo minacciare i due Visconti ed imporre loro il rispetto degli interessi territoriali sabaudi. Così nel 1374 si riconciliò con Galeazzo e Gian Galeazzo, ottenendo libertà d'azione nel Biellese. Di nuovo ora dovette occuparsi della questione di Saluzzo: i tentativi del papa per stabilire un accordo furono da A. respinti; poiché il marchese ricorse al Delfino ed a Carlo V che mandarono a Carmagnola un presidio, minaccia permanente per Savoia, A. ricorse a re Carlo V ed accusò il marchese di fellonia, poi ricorse all'imperatore ed ottenne un decreto che privava il marchese Federico del suo stato per lesa maestà, avocava all'impero il marchesato e lo concedeva al conte di Savoia. I decreti imperiali nulla poterono però fare contro la resistenza francese che aveva affidato la questione al Parlamento di Parigi. Sperò allora A. di poter risolvere il problema di Saluzzo come quello degli ultimi possessi angioini di Piemonte, accordandosi col duca d'Angiò ed assistendolo nella spedizione per la conquista di Napoli. Come Luigi d'Angiò, Amedeo VI aveva riconosciuto nello scisma del 1378 il papa di Avignone che era il cugino Roberto di Ginevra. Già nel 1382 poté in seguito a questa alleanza occupare Cuneo ed essere riconosciuto come signore di Asti dagli esuli astigiani. Anche a Genova si ebbero tentativi di penetrazione sabauda. Ben altro sperava A. di ottenere dal trionfo angioino di Napoli. La spedizione finì tragicamente: il conte di Savoia morì di peste a Santo Stefano di Campobasso il 1°marzo 1383, e pochi mesi dopo lo seguì Luigi I d'Angiò.
La salma di A. fu trasportata ad Altacomba, dove venne sepolta l'8 maggio.
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