BUFFA (in arte Nazzari), Amedeo
Nacque a Cagliari il 10 dic. 1907 da Salvatore, proprietario di mulini e di un pastificio, e da Argenide Nazzari. Morto il padre nel 1913, la madre si trasferì con i tre figli a Roma, e qui egli frequentò la scuola elementare e il ginnasio. Durante gli anni del liceo classico il B. sentì affiorare 15 passione per il teatro leggendone avidamente i testi e partecipando a recite studentesche. Iscrittosi nel 1925 alla facoltà di ingegneria dell'università di Roma senza troppa convinzione, vi rimase un solo anno preferendo prendere contatto con il pubblico attraverso la filodrammatica Fortitudo diretta da G. Conti e debuttandovi con I romanzeschi di E. Rostand il 16 febbr. 1926 (parte del Primo Spadaccino) accanto ad Andreina Gentili (poi Pagnani). Entrato nella compagnia di D. Lombardi quale attore professionista vi esordì come marinaio in Giosuè il guardacoste di N. Fournier (teatro Jovinelli di Rofna, autunno 1927); nel repertorio d'avanspettacolo, in cinema-teatri di periferia, prese parte, tra l'altro, in un ruolo secondario, a Il romanzo di un giovane povero di 0. Feuillet, un soggetto col quale si cimenterà da protagonista nel film omonimo di quindici anni dopo. Avendolo notato in una piccola parte del Giulio Cesare di E. Corradini al teatro Greco di Taormina (28 apr. 1928), G. Tumiati lo riconfermò per la stagione successiva consentendogli di interpretare Altada nel Sardanapalo di G. Byron al teatro Eliseo di Roma l'11 dic. 1928 ("un'esperienza entusiasmante", ricorderà l'attore). Ebbe due esperienze nello spettacolo classico con la Compagnia dell'Istituto nazionale del dramma antico presso il teatro Greco di Siracusa il 26 apr. 1930, come corifeo in Ifigenia in Aulide di Euripide e messaggero in Agamennone di Eschilo, il giorno successivo. Con A. Ninchi, che non gli lesinò consigli e incoraggiamenti, interpretò Porthos nei Tre moschettieri di A. Dumas padre (teatro Dal Verme di Milano, 10 giugno 1930) e con C. Tamberlani impersonò Remo in Romolo di G. Cavicchioli (teatro ai Giardini di Varese, 30 luglio 1932). Per la regia di G. Salvini interpretò Grand Hôtel di V. Baum (teatro Olimpia di Milano, 23 nov. 1932, parte dello Chauffeur) nella compagnia M. Benassi-A. Fontana.
Nel 1933 ebbe una breve esperienza con la Carini-Bonini-Cimara e una doppia delusione prima al concorso indetto dalla Twentieth Century Fox per un volto nuovo dello schermo, la cui commissione lo respinse perché "non fotogenico, troppo alto e magro", poi a un provino dei regista C. D'Errico il quale lo consigliò di non intraprendere la carriera del cinema. Nell'autunno entrò a far parte della Compagnia stabile di Sanremo con M. Abba, diretta da L. Pirandello, e partecipò il 7 nov. 1933, presso il teatro del Casinò, alla prima nazionale di Quando si è qualcuno. Non era ancora la notorietà, che venne improvvisa, dopoché egli ricoprì la parte di Matvey (stesso teatro, 11 novembre), con la sostituzione di R. Calò indisposto come Rakitine (a partire dal marzo 1934) in Un mese in campagna di I. Turgenev; lo stesso Pirandello, dopo il primo atto, si congratulò con lui pronosticandogli una brillante carriera e volle che partecipasse ad altri due suoi lavori, Come tu mi vuoi e Trovarsi. In occasione del Festival del teatro di Venezia partecipò, in apparizioni assai brevi, a due spettacoli memorabili, La bottega del caffè di C. Goldoni (corte del teatro di S. Luca, 7 luglio 1934) e Il mercante di Venezia di W. Shakespeare (campo S. Trovaso, 18 luglio, parte di Salanio), entrambi accanto a R. Ricci e alla ritrovata compagna del suo debutto A. Pagnani.
Nell'autunno, scritturatosi con la compagnia Novella Film diretta da T. Paviova e A. Betrone, recitò in alcuni drammi in costume vezzeggiato dall'attrice russa che, però, non gli consentì di uscire dai ruoli secondari di bell'aristocratico incipriato e sussiegoso, come in Adriana Lecouvreur di N. D'Aroma da E. Scribe ed E. Legouvé o L'imperatrice si diverte di A. Casella e T. Pavlova, con qualche eccezione interessante, come quella della Signora X di A. Bisson, in cui il personaggio di Raimondo Fleuriot., un giovane avvocato, si avvaleva di un'arringa di almeno un quarto d'ora: il B., impegnato con tutte le sue forze in quella parte "piuttosto importante" (come dichiarerà successivamente) di fronte al pubblico esigente del teatro Argentina di Roma (18 febbr. 1935), fu notato da Elsa Merlini che decise di farlo debuttare in un film accanto a lei. Prima di interpretarlo il B. si cimentò di nuovo con il teatro classico partecipando come Egisto all'Oreste di V. Alfieri e a due spettacoli shakespeariani diretti da Q. Tumiati alla basilica di Massenzio in Roma, il 1° e il 9 agosto, come Cassio nel Giulio Cesare e come Tullo Aufidio nel Coriolano. Ai primi di settembre ebbe inizio la lavorazione di Ginevra degli Almieri di G. Brignone, un film in costume ispirato a un'antica leggenda fiorentina. Insoddisfatto dell'esito globale del film, il B. ritornò al teatro nel gruppo artistico diretto da L. Picasso e si fece apprezzare come Saint-just nella Sete di Dio di R. Alessi (teatro Paganini di Genova, 24 dic. 1935). Notato da Anna Magnani, sua seconda madrina cinematografica, al teatro Eliseo di Roma dove recitava come Maurizio nella Lunga marcia di ritorno di M. Federici (Compagnia del teatro Nuovo diretta da A. G. Bragaglia e F. De Crucciati, 24 febbr. 1936), fu da lei proposto al marito G. Alessandrini come possibile protagonista del progettato film Cavalleria. Mentre si trovava a Siracusa per interpretare Tasso nell'Edipo a Colono di Sofocle (Compagnia dell'Istituto nazionale dei dramma antico, 23 aprile successivo), ricevuti due inviti consecutivi per quel film, accettò.
La storia sentimentale ma mai oleografica del capitano di cavalleria Umberto Solaro poi asso dell'aviazione sul modello di F. Baracca, stavolta colpì le platee fin dalla presentazione alla IV Mostra di Venezia e suscitò quasi sorpresa nei critici l'interprete romantico ed elegante che credeva nel suo personaggio e riusciva, con la sua naturalezza, a renderlo credibile. Fu il lancio definitivo nel cinema e l'impostazione di un tipo di eroe animoso e appassionato, ma intimamente mite e sensibile, fedele a un'idea e intollerante verso il sopruso, esigente con se stesso e altruista con tutti, che egli porterà coerentemente avanti, con qualche significativa eccezione, lungo l'arco della sua lunga carriera. Anche se in vesti diverse, ma con larga prevalenza delle divise militari e delle redingote d'altri tempi, emersero subito la distinzione della figura, il fascino sicuro presso il pubblico specialmente femminile e lo scrupolo perfezionistico che lo portava a documentarsi sui particolari anche minimi dei suoi personaggi e a trascrivere con cura avvenimenti giornalieri e dati di lavorazione.
Nel 1938 uscì Luciano Serra pilota pure dell'Alessandrini, il film campione d'incassi nell'anteguerra e vincitore della coppa Mussolini alla VI Mostra di Venezia (ex aequo con Olimpia di L. Riefenstahi), girato in interni l'anno precedente nella neonata Cinecittà e in esterni nell'Africa Orientale Italiana senza il B. impegnato a Roma in altri due film.
Dal desiderio di competere con Hollywood attraverso l'impegno tecnico e la narrazione di un caso privato sullo sfondo di esaltazioni collettive da una parte, e dall'intento di celebrare l'ardimento e le virtù civili degli aviatori italiani (tema caro al supervisore Vittorio Mussolini) dall'altra, nacque la storia di un uomo, stavolta non tutto di un pezzo, isolato e caparbio, intrepido e malinconico, marito e padre fallito, ma capace di un'azione eroica nel momento risolutivo della vita: fu per il B. una nuova e più convincente affermazione.
Nel rusticano Montevergine (La grande luce) di C. Campogalliani, vincitore della coppa del Partito nazionale fascista alla VII Mostra di Venezia (1939), impersonò il fabbro Rocco Moretti. In Assenza ingiustificata di M. Neufeld (1939) fu il dottor Cristiani, recitando in coppia (una coppia "assai bene assortita", "affiatatissima", che avrebbe funzionato con grande successo negli anni del divismo autarchico e familiare) con A. Valli già fuggevolmente incontrata in un precedente e più labile film del Neufeld, La casa del peccato (1938). Ebbero quindi discreto successo presso un pubblico in vena di sogni turistici le storie comicosentimentali su sfondi borghesi e piccolo borghesi di città mitteleuropee ingegnosamente ricostruite a Cinecittà, come Centomila dollari di M. Camerini (1939) e Dopo divorzieremo di N. Malasomma (1940). Nel 1940 ebbe ancora due soddisfazioni con la parte di Piero Mirilli in Oltre l'amore di C. Gallone dalla novella Vanina Vanini di Stendhal, di un "Gallone al meglio di sé", che riconfermò il successo della coppia Nazzari-Valli, e con quella di Stefano Di Marco in Scarpe grosse di D. Falconi da S. Hunyadi, che al B. piacque perché sentiva congeniale, del contadino rude, la genuinità e che gli consentì di sostituirsi più volte al regista costretto ad assentarsi per disguidi di produzione. Il 14 sett. 1941, nell'ambito della IX Mostra di Venezia, gli venne consegnata la coppa quale miglior attore protagonista della stagione 1940-41 per Caravaggio, il pittore maledetto dell'Alessandrini: per questa interpretazione frenetica e al contempo ironica alla quale si era diligentemente preparato, ebbe il quasi unanime riconoscimento che fosse la sua migliore. Sorretto da un intimo freno che lo portò a sorvegliarsi continuamente, l'attore rese con sobrietà, agli antipodi dell'interpretazione precedente, il personaggio di Fabio Regoli in Mariti (Tempesta d'anime) di C. Mastrocinque, apportando la testimonianza della sua raggiunta maturità.
Il 1941 fu l'anno in cui girò ben otto film e in cui si collocò l'approdo, come Neri Chiaramantesi, a La cena delle beffe di A. Blasetti, ricavata dal poema drammatico omonimo di S. Benelli: di essa furono scaltramente orchestrate anticipazioni di immagini di nudo femminile e, data anche l'indubbia qualità degli interpreti, l'opera ebbe un enonne successo di pubblico e fruttò al B. una percentuale sugli utili di quasi due milioni. Pure dell'"anno del grande lavoro" fu Scampolo di N. Malasomma in cui figurò nella parte semplice e bonaria dell'ingegnere Tito Sacchi. Nel 1942 s'imposero almeno quattro film di accurata fattura, Fedora di C. Mastrocinque, in cui fu un Loris Ipanov umano e misurato, Bengasi di A. Genina, opera di propaganda bellica vincitrice della coppa Mussolini per il miglior film italiano alla X Mostra di Venezia, in cui fu l'ingegnere Filippo Colleoni senza peraltro andare oltre la superficie del personaggio, La bella addormentata di L. Chiarini, dove rivestì i panni del Nero della solfara, "generosamente amoroso e pronto al coltello", e Quelli della montagna di A. Vergano, un altro film in divisa, ma senza gesta eroiche né battute propagandistiche, in cui fu il tenente degli alpini Andrea Fontana, sobrio ed efficace.
Dopo l'8 sett. 1943 la Repubblica sociale italiana tentò di far rivivere Cinecittà a Venezia; taluni attori vi si trasferirono, altri, come il B., rimasero nella Roma occupata dai Tedeschi: egli partecipò al film semiclandestino I dieci comandamenti di G. W. Chili nell'episodio Non desiderare la donna d'altri, realizzato in condizioni assai precarie, tra spostamenti in bicicletta e a piedi e senza compenso. Dopo la Liberazione il B. formò una propria compagnia con L. Solari e F. Scelzo: il gruppo artistico da lui diretto rappresentò, tra gli altri, Romanticismo di G. Rovetta (teatro Diana di Napoli, 3 gennaio 1945), Scampolo di D. Niccodemi (ibid., 5 gennaio) e La cena delle beffe (6 gennaio), una sorta di rinverdimenti, questi due ultimi, dei suoi successi dell'"anno del grande lavoro". A questo punto lasciò il teatro per riprenderlo, episodicamente, assai più tardi e in tono distaccato e sornione. Un giorno nella vita del Blasetti (1946), uno dei primi film del dopoguerra, vincitore del nastro d'argento per la migliore regia (ex aequo con Sciuscià di V. De Sica), lo vide misurarsi, in giaccone da partigiano, con il personaggio del capitano De Palma.
Dopo il mito delle divise inappuntabili, e la partecipazione (in verità discreta e sottotono) alla parata propagandistica del caduto regime e la presa divistica sulle platee, il B. dovette voltar pagina e cominciare da capo: in questo dramma della Resistenza nel quale sono coinvolti uomini e suore la lode venne tributata all'impronta corale della recitazione, di cui egli, "un bel tipaccio rude e simpatico che fa e non strafà", era una tessera del mosaico al pari degli altri efficaci attori.
Tipica del momento era pure la figura del reduce, spesso trascinato dalla società indifferente al ribellismo sociale: ecco allora il B. interpretare Ernesto, una parte che gli fece meritare il nastro d'argento come migliore, attore protagonista, nel Bandito di A. Lattuada (1946): i critici furono concordi nel sottolineare la sua bravura soprattutto nell'esprimere l'attonita angoscia del reduce piuttosto che la violenza delle imprese criminali del bandito che percorrevano la parte finale dei film da loro accolta con qualche riserva. Dopo essere stato Emiliano Pugacev in un artigianale La figlia del capitano di M. Camerini (1947). girò tre film in Spagna e uno in Argentina dove sapeva di godere di molta popolarità (qui avrebbe dovuto interpretarne da quattro a sei, ma ruppe bruscamente il contratto quando gli fu sottoposto il cópiorie dei Testimone nel quale avrebbe dovuto sostenere la parte di un italiano corrotto e intrigante, e fu allora convinto a interpretarne uno, Volver a la vida di C. Borcosque, su sollecitazione di E. Perón, moglie del presidente della Repubblica, rimasta sensibile al suo fascino). A farlo rientrare in Italia fu il produttore D. De Laurentiis per il quale interpretò Il lupo della Sila di D. Coletti (1949, parte di Rocco Barra); a questo punto iniziò per il B. la "seconda carriera", articolata attraverso una serie di film di travolgente esito commerciale. poco o non accetti alla critica ma graditi al grosso pubblico, tra sentimentali e drammatico-sentimentali, girati accanto a Y. Sanson, con la quale formerà una coppia stabile per diversi anni: il primo della serie fu Catene di R. Matarazzo (1949), una pellicola d'appendice adatta, si diceva, alle folle che leggevano fumetti e fotoromanzi e alla quale il B. corrispose con la migliore buona volontà (l'ultimo fu Malinconico autunno o El café del puerto diretto dallo stesso regista nel 1958 quando il filone era ormai logoro).
A. Paladini, a proposito dell'eccezionale favore che godeva nell'Italia meridionale, scrisse allora: "nel Mezzogiorno egli incarna più che altrove l'ideale di giustizia, la rivendicazione dei diritti umani, prima ancora che sociali, di cui si nutre l'antico inappagato sogno delle plebi meridionali".
In questo contesto, una parentesi importante: nel 1950, con Il brigante Musolino di M. Camerini, egli dette forse la prova più riuscita di tutta la sua carriera. Non mancarono, successivamente, film decorosi come Romanticismo di C. Fracassi (1951) dove l'attore riprese il personaggio teatrale di Vitaliano Lamberti, Altri tempi (Zibaldone n. 1) del Blasetti (1952, episodio La morsa da L. Pirandello, parte di Andrea Fabbri) e l'avventuroso Il brigante di Tacca del Lupo di P. Germi (1952), ove vestì la divisa del capitano di ferro Giordani. Il 1952 fu anche l'anno di un film civile serio e soggiogante che il B. interpretò con consumata bravura in un coro d'interpreti eccezionali, Processo alla città di L. Zampa, il quale intese ricostruire, con gli opportuni aggiustamenti, il caso Cuocolo: in esso il giudice Antonio Spicacci assurse, nell'Italia del tempo, a simbolo dei magistrato integro animato da uno sforzo sincero di giustizia e da una lealtà senza compromessi. Meno felice apparve la sua prima prova di "cattivo" integrale in Un marito per Anna Zaccheo di G. De Santis (1953, parte del dottor Illuminato), ma decisamente aderente al mondo di G. Deledda. il suo unico personaggio sardo interpretato sullo schermo, quel Costantino Corraine, fiero, cupo e asciutto, che dette vitalità e verità al decorativo Proibito di M. Monicelli (1955) da La madre.
Dopo averla conosciuta a Roma durante una conferenza stampa, il B. sposò nel 1957 l'attrice italo-greca Irene Genna (dalla quale avrà una figlia nel 1958, Maria Evelina). Quello fu l'anno di un'altra grande occasione: tra un film spagnolo e l'altro, dopo qualche titubanza accettò di partecipare come Alberto Lazzari, un divo del cinema ricco ed egoista, a Le notti di Cabiria di F. Fellini (1957, premio Oscar per il miglior film straniero), ritrovando il consenso unanime dei critici in verità venuto meno con le pellicole della "seconda carriera". Nel successivo panorama delle sue interpretazioni spiccarono un "cattivo" a tutto tondo, il primo ministro Manuel Goddy, nell'ambizioso La maja desnuda di H. Koster (1958, in cui dovette, a malincuore, recitare in inglese) e il carabiniere generoso nell'estroso Policarpo, ufficiale di scrittura di M, Soldati (1959), un garbato richiamo alle tavole di A. Beltrame per La Domenica del Corriere. Sofferente di calcolosi renale, subì nel dicembre 1960 un intervento chirurgico e dovette sospendere la lavorazione di un film, ma si rifece con la partecipazione al cordiale I due nemici di G. Hamilton nel quale gli venne affidata la breve parte dei maggiore Fornari che, all'interno di una storia di guerra comico-patetica, rappresentava un eroe senza gloria. Nel 1964 uscì Frenesia dell'estate, film balneare e scabroso (per i tempi) dello Zampa, nel quale il B. interpretò "con ironico garbo" l'episodio più pungente e malinconico nei panni dell'indossatore di moda Marcello. Il 23 apr. 1965 apparve sui teleschermi riproponendo Neri Chiaramantesi nella Cena delle beffe per la regia di G. Morandi (questo può considerarsi il suo autentico debutto televisivo dopo le apparizioni-lampo in veste di ospite d'onore in rubriche di successo come "Il musichiere" e "Studio Uno"). Dopo aver di nuovo vestito i panni di Pugacev nella Figlia del capitano di L. Cortese da A. Puškin, in sei puntate dal 12 maggio al 23 giugno successivo, confermandosi attore televisivo di forte richiamo, si lasciò convincere da L. F. D'Amico a tornare al palcoscenic0: il 15 ottobre, al teatro Parioli di Roma, fu il protagonista in titolo in Hanno rapito il presidente di D. Verde; fu questa la sua ultima interpretazione teatrale. Negli anni successivi fu interprete fuggevole di film dal cast internazionale come Il papavero è anche un fiore di T. Young (1966, parte del capitano Di Nonno) e acconsentì a dar corpo, in due film lividi e crepitanti, a due gangster, uno inventato, il Tony Nicosia del Clan dei siciliani di H. Verneuil (1969), e l'altro autentico, il Gaetano Reina di Joe Valachi: i segreti di cosa nostra dello Young (1972). Nel 1969 partecipò a due notevoli trascrizioni televisive, di Dal tuo al mio di M. Landi da G. Verga (18 marzo, parte del barone Navarra) e di Rebecca di E. Macchi da D. Du Maurier (26 agosto, parte di Massimo De Winter). Nel 1973 si assunse la regia dell'opera lirica La cena delle beffe di U. Giordano (teatro S. Carlo di Napoli, 12 aprile) e partecipò ancora a trasmissioni televisive: degne di ricordo furono l'interpretazione dei colonnello De Risio nella Signora Ava di A. Calenda da F. Jovine (in tre puntate dal 23 settembre al 7 !Ott1975), la breve apparizione come senatore nell'episodio L'omertà della più importante ricostruzione per immagini della storia della mafia, Alle origini della mafia di E. Muzii (17 dic. 1976), e, nella Germania Federale, la caratterizzazione del dottor Pinaldi nel telefilin poliziesco L'uomo di Portofino di D. Haugk, presentato in Italia il 25 genn. 1979 ma girato tre anni prima. Nel 1978 fece la sua ultima apparizione cinematografica in Melodrammore dell'esordiente M. Costanzo.
Il B. morì a Roma il 5 nov. 1979.
Fonti e Bibl.: Oltre al necrologio apparso sul Messaggero, 6 nov. 1979, vedi: Roma, RAI - Radiotelevisione italiana, Schedario del Servizio stampa, ad nomen; Corriere della sera, 12 dic. 1935; 29 ag. 1938; 27 febbr. 1941; 7 sett. 1942; Il Giornale d'Italia. 30 ag. 1936; 22 ag. 1939; Cima, 10 dic. 1938 (profilo critico di Puck, Galleria: Amedeo Nazzari, p. 362); La Stampa, 7 febbr. 1941; Il Popolo, 7 apr. 1946; Il Tempo, 10 dic. 1950; 27 febbr. 1958; 23 febbr. 1964; A. Paladini, Amedeo Nazzari, Milano 1955 (primo profilo biografico); G.C. Castello, Il divismo: mitologia del cinema, Torino 1957, pp. 407-409; Enc. dello spett., VII, Roma 1960, coll. 10595.; Filmlexicon degli autori e delle opere, IV, Roma 1961, coll. 1219-1223; C. Lizzani, Il cinema italiano. Dalle origini agli anni Ottanta, Roma 1982, p. 154; P. Pruzzo-E. Lancia, Amedeo Nazzari, Roma 1983 (cronologia biografica, filmografia completa, teatrografia e televideografia).