GORRET, Amé
Nacque il 26 ott. 1836 a Valtournenche, in Val d'Aosta, da Jean-Antoine e da Marie-Véronique Carrel, della famosa stirpe di guide alpine. Le condizioni della famiglia, sebbene anche il padre lavorasse come guida alpina, erano assai modeste e per il giovane G. gli studi ecclesiastici, compiuti presso il seminario di Aosta dove nel 1861 fu ordinato sacerdote, rappresentarono l'unica possibilità per soddisfare il suo spirito vivace e avido di sapere. Carattere anticonformista e individualista, il G. si rese subito inviso ai superiori, che senza abilitarlo alla predicazione gli assegnarono come prima destinazione il vicariato della cura di Champorcher.
Uomo di cultura non comune, sacerdote di spiritualità profonda ma tormentata, ebbe modo nei tre anni che passò in questa sede, a suo dire i migliori della sua vita, di frequentare Vittorio Emanuele II, che amava passare lunghi periodi a caccia in quelle zone e che non disdegnava la compagnia del giovane religioso, instancabile camminatore e cantore entusiasta delle sue montagne.
Nel 1864 venne inviato come vicario a Saint-Pierre, l'anno successivo a Cogne, iniziando quella lunga peregrinazione che lo avrebbe condotto un po' ovunque nella regione, con la fama di prete scomodo per la sua rude franchezza e i comportamenti stravaganti (leggendaria la sua attrazione per il bere).
Il 1865 è l'anno che lega il nome del G. all'epopea della conquista del Cervino. La sua esperienza alpinistica era sino allora consistita in un certo numero di ascensioni, non impegnative tecnicamente. Nel 1857 aveva tuttavia preso parte, insieme con Jean-Antoine Carrel, detto il Bersagliere, e con lo zio di questo, Jean-Jacques, alla salita della Testa del Leone (3715 m), robusta anticima alla base della cresta sudovest del Cervino. Il ruolo svolto dal giovane seminarista, in questo che viene considerato storicamente il primo tentativo di cercare una via per la vetta, non dovette essere passivo: lo slancio e l'entusiasmo del G. per "cette idée d'ascension, qui faisait sourire tout le monde de pitié, que l'on regardait comme une folie" risultarono tuttavia determinanti qualche anno dopo, quando, vicario a Cogne, egli poté approfittare di una lunga vacanza estiva.
Come è noto, nel luglio 1865, dopo ripetuti tentativi, il raggiungimento della vetta appariva ormai a portata di mano: vi aspiravano, in competizione, l'alpinista inglese E. Whymper, che aveva compiuto vari tentativi assoldando "il Bersagliere" , e gli stati maggiori del neonato Club alpino italiano (CAI), che, puntando anch'essi sull'esperienza di J.-A. Carrel, non intendevano lasciare anche quest'ultima grande vetta agli alpinisti britannici. Ritenendo concluso il proprio impegno con Whymper, il Carrel si pose al servizio dell'ingegnere F. Giordano che da Breuil, in continuo contatto con Q. Sella, fondatore del CAI, organizzò una spedizione lungo il versante italiano.
L'11 luglio 1865 venne sferrato l'attacco alla cresta del Leone. Dopo tre giorni, giunto sulla spalla detta pic Tyndall (4241 m), il Carrel scorgeva però sulla vetta alcune figure: era Whymper che, rivoltosi alle guide di Zermatt, era riuscito a forzare la via per la cresta svizzera. Sulla via del ritorno, quattro dei sette componenti la cordata anglo-elvetica rimanevano vittime di un tragico incidente. Gli italiani, invece, rientrati a Breuil, decisero, su pressione del Giordano e soprattutto del G., di formare una nuova spedizione guidata dal Carrel, alla quale presero parte lo stesso G. e due portatori, J.-B. Bich e A. Meynet. Spinta da motivazioni in parte economiche e in parte, a detta del G., di "vengeance nationale", la comitiva risalì al pic Tyndall e, grazie al Meynet e allo stesso G. che si fermarono sotto un tratto di parete aperta per rendere possibile il ritorno, giunse il 18 luglio- con i soli Carrel e Bich -, in vetta. Tornati a valle tra molte difficoltà, i quattro appresero della sciagura occorsa agli inglesi.
Con l'avventura del Cervino, magistralmente raccontata in un articolo che comparve sul quotidiano Feuille d'Aoste, si aprì per il trentenne sacerdote, grazie all'appoggio dell'arciprete-alpinista di Cogne e alle conoscenze torinesi, il periodo di massima attività alpinistica e di più feconda scrittura: al suo attivo le prime ascensioni, con vari compagni, del pic du Retour, del colle di Teleccio, della torre di Lavina e della punta Garin, narrate in vari articoli sul Bollettino del Club alpino italiano. Mentre cresceva la reputazione del G. come alpinista e come scrittore di montagna, la sua carriera ecclesiastica non procedeva affatto, come testimoniano i suoi incessanti trasferimenti da una parrocchia all'altra. Anzi, quando, nel 1869, venne invitato a parlare a Varallo al congresso del CAI, il consesso che di lì a poco lo avrebbe insignito del titolo di socio onorario, iniziava per lui un decennio di gravi difficoltà, durante il quale, per lunghi periodi, si ritrovò "sans place, sans feu ni lieu, complètement domicilié en route et aumônier des cantonniers".
Interrotte le collaborazioni alla conservatrice Feuille d'Aoste, il G. prese a inviare corrispondenze al foglio fiorentino Le Touriste e diede alle stampe, insieme col barone C. Bich, il Guide de la Vallée d'Aoste (Turin 1876), corposo compendio geografico, storico, alpinistico e viabilistico, scritto in stile colto e rivolto ai sempre più numerosi "touristi" che visitavano la regione. Dopo due anni, accettava finalmente di fissare in Victor-Emmanuel sur les Alpes. Notices et souvenirs (ibid. 1878), i suoi ricordi sul re cacciatore e alpinista.
Le sue collaborazioni e corrispondenze a vari giornali, soprattutto valdostani, si susseguivano toccando temi disparati: dai modi per favorire il turismo alla cultura alpina, dall'agricoltura in montagna alla storia alpinistica; la lingua era sempre il francese, le idee non convenzionali, la cultura ampia ma non classificabile: "insofferente all'ordinamento ecclesiastico, sosteneva devotamente gli arcipreti […]; strenuo difensore del papato, era amico dei Savoia; paladino del progresso, si opponeva ad ogni revisione in materia di dogmi" (Camanni, p. 118).
Con il pretesto di conoscere le montagne dell'Oisans, nel 1881 il G. si fece trasferire nel Delfinato, dove per la prima volta ottenne la nomina a una curazia; nel 1884, però, per il peggiorare delle relazioni con la Francia fu costretto a rientrare in Italia e fu inviato in una delle più piccole e marginali comunità aostane, Saint-Jacques d'Ayas. Vi passò un ventennio, peggiorando nel carattere e nei costumi, riducendo gradualmente, anche a causa di vari disturbi di salute, l'attività alpinistica e giornalistica, in una sorta di esilio dal quale firmava gli articoli con lo pseudonimo di "ours de la montagne".
Il G. morì a Saint-Pierre, dove negli ultimi anni era stato trasferito presso l'ospizio per i preti poveri, il 4 nov. 1907.
Fonti e Bibl.: Una raccolta esaustiva della produzione pubblicistica del G., insieme con un'antologia di scritti sulla sua figura, è stata presentata nei due volumi curati da L. Colliard, editi dall'amministrazione comunale di Valtournenche nel 1987 e 1988 (e riediti nel 1998): Abbé A. G. (l'Ours de la montagne). Autobiographie et écrits divers; Abbé A. G. (l'Ours de la montagne). Maximes et aphorismes suivis de quelques écrits sur l'auteur. Cfr. inoltre E. Noussan, A. G., l'Ours de la montagne, Torino 1987; M. Cuaz, La Valle d'Aosta fra Stati sabaudi e Regno d'Italia (1536-1914), in La Valle d'Aosta, a cura di S.J. Woolf, Torino 1995, pp. 336-338; E. Camanni, Cieli di pietra. La vera storia di A. G., Torino 1997. Per la vicenda del Cervino: A. Bernardi, Il Gran Cervino, Bologna 1982, pp. 45-147.