ambrosia
In Pg XXIV 150 e ben senti' mover la piuma, / che fé sentir d'ambrosïa l'orezza. Nella tradizione classica, a. era il mitico cibo degli Dei che conferiva l'immortalità; era anche un'erba di cui si nutrivano i cavalli del Sole (Ovid. ex P. I X 11; Met. IV 215 [Solis equi] " Ambrosiam pro gramine habent "; II 120); e infine un unguento profumatissimo, di cui gli Dei si servivano, tra l'altro, per medicare le ferite dei mortali e ristorarne le forze. In tal senso la parola è adoperata da Virgilio, in un passo dell'Eneide (I 403-404 " Ambrosiaeque comae divinum vertice odorem / Spiravere "; cfr. anche XII 418-419) e in uno delle Georgiche (IV 415 " liquidum ambrosiae diffundit odorem "), che D. riecheggia. Tuttavia, poiché l'azione si svolge ora nella cornice dei golosi, il Porena commenta: " L'ambrosia era il cibo degli Dei, e il profumo che essa emanava segno della divinità. Qui è applicato alla divinità cristiana, ed è forse contrapposto all'odore dei cibi umani " (già in Scartazzini-Vandelli era " fragranza di cibo celeste "); ma questa diversa interpretazione non muta, nel passo in questione, il significato della parola, che è quello generico di " profumo soave ".
Quanto al costrutto, dando a orezza il significato di " odore ", " effluvio " (Landino, Vellutello, Lombardi e altri) si avrà una perfetta aderenza al testo virgiliano (" ambrosiae odorem "); ma i commentatori moderni intendono orezza per " aura " e spiegano: " fece sì che l'auretta (orezza) odorasse (sentisse) d'ambrosia " (Scartazzini-Vandelli; così anche il Maggini, che tratta ampiamente la questione, notando, fra l'altro, che " Quasi certamente ambrosia è entrata per la prima volta nella lingua italiana con un verso di Dante ").
Bibl. - F. Maggini, Due letture dantesche inediue, Firenze 1965, 85 ss.