VIGNATI, Ambrogio
VIGNATI (de Vignate), Ambrogio. – Nacque, presumibilmente negli ultimi anni del XIV secolo, da Ludovico, giureconsulto di Lodi, discendente con buona probabilità dall’illustre famiglia dei Vignati (v. Vignati Giovanni in questo Dizionario). Non si conosce il nome della madre.
Non è nota l’università in cui realizzò i suoi studi, conclusi con la laurea in entrambi i diritti, tuttavia potrebbe essere da identificare in Vignati lo studente giurista Ambrogio da Lodi attestato nello Studio generale di Pavia negli anni 1412-15.
Le prime notizie su Vignati risalgono al 1435, quando, già nei territori del Ducato di Savoia, è attestato come professore di diritto canonico in Savigliano, dove in quegli anni era stato trasferito lo Studium di Torino: non sono però da escludere precedenti incarichi didattici durante il funzionamento, estremamente poco documentato, dell’Università in Chieri (1427-34). La sua docenza, con interruzioni, si dispiegò per oltre un quarantennio.
Al rientro dello Studium generale in Torino (1436), Vignati riprese qui la docenza canonistica, attestata con sicurezza dal 1440. Dopo uno spostamento all’Università di Ferrara, in cui fu promotore di alcune lauree dal 1445 al 1448, fece ritorno a Torino: la fama raggiunta dal giurista in quegli anni è evidente nel suo passaggio dall’insegnamento di diritto canonico alla lettura straordinaria de sero di diritto civile, assegnatagli dal duca Ludovico di Savoia nel 1448 con il notevole stipendio di 400 fiorini – tra i più alti dello Studio di Torino –, che Vignati mantenne sino alla fine degli anni Sessanta.
Nella lettera ducale di conferimento della lettura Vignati è appellato con il titolo di cavaliere (miles), cui, dai primi anni Sessanta, seguì quello di comes, assegnatogli certamente per la sua ormai lunga docenza: negli Studia medievali, riprendendo una norma del diritto romano, si usava infatti nobilitare i professori che avevano insegnato venti anni ininterrottamente nella stessa università aggiungendo il titolo di conte alla dignità di doctor. Il lodigiano continuò a occupare un posto rilevante nella docenza giuridica torinese sino al 1477, rimanendo saldamente inserito nel gruppo dei maggiori professori quali Giovanni Grassi, Guglielmo Sandigliano e Cristoforo Nicelli.
La produzione scientifica di Vignati fu piuttosto ampia e venne in parte stampata dall’editore veneziano Ziletti nei Tractatus universi iuris (Colli, 1994, pp. 63, 108). Rivelano un interesse per argomenti attuali e di una certa complessità per il pensiero canonistico e civilistico del tempo i trattati De usuris e De haeresi. Con quest’ultima opera Vignati intervenne, tra i primi giuristi italiani del Quattrocento, sul delicato tema della punibilità dei casi di stregoneria, esprimendo una posizione contraria all’intervento del tribunale dell’Inquisizione in tale materia. Due sue repetitiones canonistiche (sui Decreti X, 1.3.20 e X, 2.6.5) vennero inoltre raccolte nelle Repetitiones in universas fere iuris canonici partes materiasque sane frequentiores volumina sex (Venetiis, apud Iuntas, 1587, II, cc. 457a-460a, III, cc. 262a-268b). La tradizione manoscritta delle sue opere in Italia e Oltralpe fu piuttosto vivace: diverse note di possesso e di lettura apposte a codici, insieme ad alcuni inventari di biblioteche di giuristi, documentano negli ultimi decenni del Quattrocento la circolazione di suoi scritti – tra cui recollectae di lezioni di diritto civile – in Ferrara, probabilmente favorita dall’insegnamento qui tenuto da Vignati. Fra le opere rimaste inedite godettero di una certa fortuna il Tractatus de poenitentia et remissione (commento a X, 5.38.12), sull’obbligo della confessione pasquale al proprio sacerdote, e il Tractatus de ludo, un commentario piuttosto ampio sui divieti – analizzati a partire dalla quaestio se «in ludo et ioco possit esse virtus» – posti alla partecipazione del clero a forme di spettacolo diverse dal teatro religioso e dalla musica sacra. Una sua orazione accademica pronunciata in occasione della disputatio di uno studente è conservata nella miscellanea umanistica a Bruxelles, Bibliothèque royale Albert Ier, ms. II 1443, cc. 134v-135r. La cultura giuridica e letteraria di Vignati venne elogiata, insieme a quella del lodigiano Maffeo Vegio, da Flavio Biondo nella sua Italia illustrata («Ambrosio Vignatensis iurisconsulto in Lombardis praestantissimo, bonarumque artium studiis deditissimo», Blondi Flavii Opera, Basileae, 1531, p. 363).
La preminenza individuale, assicurata dal grado accademico e irrobustita dalla titolatura cavalleresca e comitale, aprì a Vignati l’incorporazione nella ristretta area della ‘nobiltà di specialisti’ che forniva i giuristi destinati al corpo giudiziario dei Consigli ducali, costituita in massima parte da componenti del Collegio dei dottori giuristi di Torino, in cui Vignati venne immatricolato intorno al 1450. Dagli anni Cinquanta affiancò la docenza universitaria alla partecipazione attiva nel Consiglio ducale cismontano, in cui è ancora documentato nel 1476. Come molti doctores dello Studio di Torino, venne impiegato come oratore e ambasciatore dal duca Ludovico di Savoia – che, nel 1460, lo inviò a Lione a seguire la vertenza che lo divideva dal duca di Borgogna – e dal successore Amedeo IX di Savoia. Uno dei primi atti del governo di quest’ultimo fu, nel 1466, l’invio di Vignati come legato sabaudo a Roma, con l’incarico di pronunciare un’orazione «pro obediencia Sabaudientium ducis incliti» dinanzi a papa Paolo II, discorso poi stampato nell’edizione parigina delle Epistolae di Francesco Filelfo del 1498 (Francisci Philelfi Epistolae, Parigi, Félix Baligault, par Jean Petit, 1498, cc. F3r-F6v) e in successive edizioni. Ebbe un ruolo attivo nella politica filosforzesca dei Savoia, svolgendo diverse ambasciate in Milano negli anni di governo di Amedeo IX e sotto la reggenza della duchessa Iolanda di Francia, la quale, assunta la tutela di Filiberto I alla morte del marito Amedeo, nel 1472 inviò Vignati presso il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, insieme al vescovo di Torino Jean de Compey; un’ulteriore ambasciata milanese gli venne commissionata nel 1476.
Il favore dei duchi procurò a Vignati l’ufficio di castellano di Fossano, assegnato di norma a personaggi bene inseriti nella corte e, nel Quattrocento, tutti originari del Ducato, a eccezione proprio di Vignati. Il giurista tenne questo incarico dal 1469 al 1472, facendosi rappresentare dai luogotenenti Borbone Strata e Ludovico Rossi, per trasmetterlo poi al figlio Taddeo (1476-78), secondo un costume non infrequente per i titolari di tale ufficio, che prevedeva l’esercizio delle funzioni militari, giudiziarie e di controllo dell’ordine pubblico. In un anno imprecisato il duca Ludovico di Savoia concesse in feudo a Vignati una parte del castello e del luogo di San Gillio, allo sbocco della Valle di Susa, area in cui il giurista dagli anni Quaranta concentrò acquisti di terre e di diritti. La concessione feudale venne riconfermata da Amedeo IX e, pochi giorni dopo la morte di questi, dal giovanissimo Filiberto I, cui Vignati, l’11 aprile 1472, prestò omaggio; nel novembre del 1477 Vignati acquistò un’altra porzione di San Gillio dal consignore del luogo, Michele Romanzone.
Il prestigio raggiunto dal giurista trovò piena manifestazione anche nel possesso in Torino di due palacia, noti come Domus rubea e Domus alba, situati lungo la via principale, nel quartiere di Porta Pusterla: una serie di consegnamenti di beni in questo quartiere e in quello di Porta Nuova rivelano il patrimonio piuttosto cospicuo di Vignati. Un ulteriore radicamento nel contado venne favorito dai legami che allacciò con la Chiesa cittadina, la quale in diverse occasioni si rivolse a Vignati per consilia o arbitrati: si possono ricordare, nel 1450, la transazione di cui il lodigiano fu incaricato nella causa sorta tra il vescovo di Torino Ludovico da Romagnano e Giovanni di Rivalta, abate del monastero eponimo, o, nel medesimo anno, il consilium richiestogli dal vescovo, chiamato a dirimere la vertenza che vide contrapposti, per questioni matrimoniali, Galeazzo Cavassa e Giovanni Roero, del consortile di Sommariva. Proprio il vescovo Ludovico di Romagnano nel 1440 investì Vignati delle decime di Baldissero Torinese: nel 1470 venne portata dinanzi alla duchessa Iolanda la lite per il possesso del castello e del luogo di Baldissero, sorta tra Vignati e la città di Chieri, risolta a favore di quest’ultima. Vignati mise la sua preparazione giurisprudenziale anche al servizio dell’amministrazione comunale di Torino – con arbitrati e missioni presso il duca in appoggio alle istanze della città – e di altri poteri signorili, ad esempio quando, nel 1450, accolse l’invito di Ludovico I marchese di Saluzzo a intervenire come arbitro su una questione in materia di confini nata tra i comuni di Saluzzo e di Revello.
Ancora documentato nella corrispondenza indirizzata al Consiglio ducale cismontano nell’ottobre del 1478, il giurista testò il 26 agosto 1479 e risulta non essere più in vita il 30 novembre del medesimo anno, quando i figli furono investiti di San Gillio.
Da una donna di cui non è nota l’identità Vignati ebbe diversi figli, alcuni dei quali seguirono gli studi giuridici. Ludovico, dopo l’insegnamento di diritto civile nell’Università di Torino tenuto nei primi anni Sessanta, venne nominato senatore del Piemonte e collaterale del Consiglio cum domino residens, e operò a lungo presso la corte della duchessa di Savoia Bianca di Monferrato e dei duchi Filippo II Senza Terra e Carlo II. Giovanni Pietro, dottore in utroque, negli anni Settanta fu canonico e arciprete del capitolo cattedrale di Ivrea e, negli anni 1482-85, canonico di Torino, ricoprendo nel contempo anche incarichi nell’amministrazione sabauda. Taddeo, insieme al fratello Francesco, ebbe la castellania di Fossano; ulteriori figli di Ambrogio furono Antonio, Bernardino, Filippo e Pietro; ebbe anche due figlie, Agostina e Maria. L’inclinazione del gruppo parentale per l’insegnamento e le professioni in ambito giuridico venne mantenuta da altri componenti della famiglia, tra cui Filippo Vignati – probabilmente nipote di Ambrogio –, professore di diritto all’Università di Torino nello scorcio del Quattrocento. La discendenza, che assunse il predicato di San Gillio in forza della concessione del 1472, fu poi attivissima ai vertici della vita politica e amministrativa del Comune di Torino nel XVI secolo.
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