VIALE, Ambrogio
– Nacque il 3 dicembre 1769 a Cervo, in Liguria, da Giuseppe e da Antonietta Siccardi (o Sicardi), secondo di otto figli.
La famiglia Viale (all’origine Vialis o Viallis) era una delle più antiche e nobili di Cervo, nell’odierna provincia di Imperia. Il primo esponente di cui si abbia notizia certa è tale Gio Batta Viale, morto nel 1587. Questi era dedito alla navigazione e in particolare alla pesca di coralli, attività nella quale i Viale si contraddistinsero fino al 1740, quando un altro membro della famiglia, Ambrogio Viale (nonno del biografato), decise di abbandonare la pesca per dedicarsi alla sola vendita, impostando una vera e propria rete commerciale che vide coinvolti i suoi figli: Antonio Domenico a Napoli, Francesco Saverio a Genova e Giuseppe, padre del biografato, a Cervo. Ambrogio Viale ebbe anche un quarto figlio, Giobatta, che prese i voti e visse a Cervo, insieme al fratello Giuseppe, al secondo piano della splendida dimora di famiglia edificata nel XVIII secolo (palazzo Viale).
Proprio lo zio Giobatta fu il primo maestro del giovane Ambrogio, che si mostrò precocemente versato negli studi classici. Questa sua particolare predisposizione spinse il padre a mandarlo a Genova, affinché si formasse presso le Scuole pie dei padri scolopi e prendesse lezioni da un ex gesuita di nome Conard. Nei piani di Giuseppe Viale, comunque, il figlio avrebbe dovuto proseguire la redditizia attività di famiglia e diventare, come lui, causidico, anche per difendere gli interessi della propria ditta. A tal fine, dunque, Viale rimase a Genova ove intraprese studi giuridici, coltivando in parallelo i suoi interessi letterari, che iniziò a mettere a frutto nel marzo del 1789, quando fu cooptato dall’Accademia ligustica di belle arti di Genova, meglio nota come Accademia degli Industriosi, colonia d’Arcadia della città ligure. Al suo ingresso prese l’inusuale soprannome arcadico con cui avrebbe firmato le sue opere: Il Solitario delle Alpi. Il 16 luglio di quello stesso 1789, in occasione di un’adunanza accademica, recitò tre brevi componimenti drammaturgici: due di chiara matrice mitologica (Il rapimento di Elena e La nascita di Venere) e uno d’ispirazione storica (Gerone re di Siracusa). Ottenne un buon riscontro, che lo spinse a coltivare la scrittura drammaturgica: pochi mesi più tardi, infatti, furono pubblicate e messe in scena due tragedie, Liutprando, di argomento storico, e Martesia, che sviluppa un tema derivato dal mito delle Amazzoni, assumendo come fonte l’epitome delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo, realizzata dallo storico Marco Giuniano Giustino.
Nel 1790 Viale, che da sempre aveva mostrato idee riformiste, fece suoi i principi rivoluzionari, fino a considerarsi pienamente repubblicano, in aperta contrapposizione anche con il governo oligarchico della città di Genova. Questo suo fervore politico fu forse la ragione per cui nel 1790 abbandonò la città per fare ritorno a Cervo. La permanenza nel paese natio fu comunque molto breve, poiché quello stesso anno partì nuovamente alla volta di Torino. Qui la sua vita sembrò indirizzarsi nuovamente verso il rispetto delle aspirazioni paterne: divenne infatti segretario di Giovanni Battista Olderico, ministro plenipotenziario della Repubblica di Genova alla corte sabauda, e intraprese gli studi giuridici iscrivendosi alla Regia Università.
L’ambiente culturale e letterario torinese era molto vivo e aveva alcune caratteristiche che permisero a Viale di adattarvisi rapidamente. Vi era in particolare una conoscenza dell’inglese maggiore rispetto a molti altri centri culturali della penisola, intrecciata con una marcata attenzione nei confronti della cultura e letteratura anglosassoni. Questa sorta di anglofilia fu anzi uno dei connotati principali della più importante accademia letteraria torinese, la Patria Società, il cui intellettuale di punta era Prospero Balbo. In particolare i ‘filopatridi’, che pure partivano da un’aperta vocazione patriottica, guardarono al mondo celtico come a qualcosa di più che una semplice fonte d’ispirazione stilistica. Non sorprende, dunque, che nella Società si desse regolare lettura dei brani ossianici di James Macpherson, che venivano anche tradotti e commentati. Per Viale, che già nelle prime prove drammaturgiche aveva palesato la sua vena ossianica, l’avvicinamento alla Società fu naturale: vi fu cooptato presto, per intercessione del socio Giuseppe Pavesio.
La Patria Società fu l’habitat ideale per Viale, che poté giovarsi del confronto con letterati che condividevano i suoi medesimi modelli culturali. Particolarmente importante fu poi l’incontro con la giovane poetessa Diodata Saluzzo Roero, allieva e amica di Balbo, che sarebbe divenuta insieme a Viale stesso la principale esponente della poesia sepolcrale e ossianica subalpina. Saluzzo Roero ebbe in Viale un suo modello dichiarato, molto presente in tutta la sua poesia, con echi testuali molto precisi.
Non fu un caso, dunque, se proprio in occasione di queste adunanze Viale diede spesso lettura delle sue prime composizioni poetiche, che fino ad allora erano rimaste sconosciute ai più. Nel 1792, poi, il legame con Balbo fu sancito ulteriormente dalla pubblicazione di tre suoi componimenti nella silloge commemorativa per la morte della moglie Enrichetta Tapparelli (Memoriae Henrichettae Tapparellae Prosperi Balbi uxoris monumentum, Torino 1792).
La produzione poetica entrò nel vivo tra 1792 e il 1794, periodo in cui furono pubblicate le tre raccolte di Viale: due a Genova (I Canti del 1792 e Le Rime del 1794) e una a Torino (I Versi nel 1793). L’uscita dell’ultimo volume precedette di poco la nuova fuga di Viale, che abbandonò la città sabauda per iniziare un foscoliano peregrinare di tre anni, dei quali si sa peraltro ben poco. Sappiamo comunque che mantenne i contatti con Balbo e Saluzzo Roero, anche se saltuari, e che compose una poesia d’occasione per l’inaugurazione della chiesa di Nostra Signora del Rimedio, a Genova (L’angelo della luce, Genova 1796), dove probabilmente si ritrovò spesso in quel periodo.
Le ragioni che avevano indotto Viale ad abbandonare Torino e a far disperdere le sue tracce non sono ben chiare, ma è certo che vi furono motivazioni ancora una volta politiche: le sue idee così marcatamente filorivoluzionarie sfociarono nel giacobinismo, cosa che con ogni probabilità gli valse l’ostilità della corte sabauda, che dovette metterlo sotto stretto controllo o addirittura disporne l’arresto.
Gli ultimi anni del Settecento si contraddistinsero per un marcato impegno politico in chiave filofrancese, che andò di pari passo con un netto diradamento della produzione poetica. Manifesto ideologico di quegli anni fu un’Orazione recitata nel 1797 e pubblicata due anni più tardi (Orazione pronunciata dal cittadino Ambrogio Viale in occasione dell’erezione dell’albero della libertà, Torino 1799). Sempre al 1797 risale la pubblicazione nel Parnaso italiano della poesia Erminda, già inclusa nella raccolta del 1794, che ricalca il topos letterario della visio in somniis, con connotati patentemente danteschi (Erminda è la sua Beatrice).
Nel 1798 tornò a Cervo ove sposò Pellegrina Rivara, una giovane di modesta famiglia che forse rispose al suo nuovo desiderio di tornare a radicarsi nel paese natio, al culmine di una parabola comune a molti esuli, volontari e non, tra Sette e Ottocento. Quell’anno fu poi eletto nel consiglio dei Giuniori, rimanendovi però per breve tempo: l’ingresso quale membro residente nell’Istituto nazionale ligure comportò un’incompatibilità tra le due cariche, che lo spinse a rassegnare le dimissioni dal consiglio nel novembre dello stesso anno. Questa prima richiesta fu respinta, ma nell’aprile del 1799 Viale si dimise di nuovo, stavolta senza trovare opposizione. Le due istanze, così ravvicinate, denunciavano una sorta di insofferenza nei confronti della vita pubblica, e per converso una pulsione verso quella solitudine contemplativa, figlia dell’ozio letterario, evocata sin dal suo soprannome arcadico.
Furono un po’ queste le due anime del Solitario: compenetranti e contraddittorie, quasi una coincidentia oppositorum: da un lato l’impegno politico, dall’altro la creazione letteraria permeata da una cupa malinconia. Questo contrasto interiore emerse anche nella successiva esperienza politica nell’estate del 1800: dopo la vittoria di Marengo, fu nominato commissario di governo della Giurisdizione di Capo Mele dal Direttorio della Repubblica. Dopo meno di un mese, tuttavia, presentò le dimissioni una prima volta, adducendo motivi di salute. Anche in questo caso alla prima richiesta fu opposto un rifiuto: dovettero seguire ulteriori tre istanze prima che il 14 febbraio 1801 il Direttorio accogliesse le dimissioni. Ultimo incarico politico fu quello di viceprovveditore della Giurisdizione degli Ulivi, ricoperto tra l’aprile e il giugno del 1803, quando diede le dimissioni per ritirarsi a vita privata.
Gli ultimi anni furono dedicati a una traduzione dell’Eneide rimasta incompiuta, il cui manoscritto è stato in possesso degli eredi per diverso tempo, ma che oggi risulta perduto.
Malato da tre o quattro anni, si spense il 4 febbraio 1805, lasciando la moglie e tre figlie, che sarebbero peraltro morte poco dopo, a breve distanza l’una dall’altra.
Viale fu uno dei principali esponenti di quello che a lungo è stato definito dalla critica come preromanticismo, ma che oggi è considerato come un tournant des Lumières. La sua poesia, anche se a tratti ingenua e raramente originale da un punto di vista creativo, ebbe il merito di assorbire nuovi modelli e di attingere in modo vario a un immaginario che avrebbe sedotto, dopo di lui, molti illustri poeti, come per esempio quel ‘passero solingo’ che tanto ricorda l’esito leopardiano. Anche l’espressionismo delle sue atmosfere lugubri, cupe, evocatrici di morte, anche se spesso esasperato, presenta soluzioni interessanti. Ma prima di tutto Viale fu un singolare uomo di lettere, coerente eppure contraddittorio, in cui coesistettero tre distinte identità in perenne conflitto: il poeta eremita, il fervente politico e persino l’intellettuale engagé, così legato al natio borgo selvaggio ma, al contempo, così inquietamente girovago.
Fonti e Bibl.: E. Bertana, Saggi e profili, Napoli 1909, pp. 440-469; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1941, passim; Id., Le adunanze della Patria Società Letteraria, Torino 1943, passim; E. Deferrari, Echi di storia. Vita di una comunità del Ponente ligure tra il XVI e il XX secolo, Imperia 1987, passim; C. Brachino, A.V. 1769-1805, Cervo 2005; G. Laiolo, Cervo. Un mosaico fra mare e cielo, Imperia 2007, passim; W. Binni, Scritti settecenteschi, Firenze 2016, ad indicem.