AMBROGIO MARIANO di S. Benedetto (al secolo Ambrogio Mariano d'Azaro)
Sulla sua vita prima dell'ingresso nel Carmelo, avvenuto a età avanzata, non possediamo una documentazione diretta e la narrazione dei biografi che ne sottolinea il lato avventuroso non è comprovata da sicure testimonianze.
Nato verso il 1510 a Bitonto da Nicola e da Polissena de Clementis, studiò nell'adolescenza accanto alle lettere la matematica e la geometria -in cui era versatissimo -dedicandosi poi nella giovinezza allo studio della teologia e del di-ritto, conseguendo il dottorato in teologia ed in utroque iure.
In questi studi gli sarebbe stato compagno in Bologna Ugo Buoncompagni, il futuro Gregorio XIII: in realtà, A. non figura tra gli addottorati in utroque dell'Ateneo bolognese (cfr. A. Malgioglio, I laureati in diritto civile e canonico dal 1501 al 1550,tesi di laurea, Bologna 1956).Partecipò, secondo i biografi, al concilio di Trento, essendo poi inviato dai padri conciliari con importanti compiti nelle Fiandre, in Germania e nei paesi nordici. Non vi è però alcuna documentazione sulla sua partecipazione al concilio e sulle sue successive missioni.
Intorno al 1553 si pose al servizio di Caterina d'Austria, regina di Polonia, come intendente di palazzo, ma rifuggendo dalla vita di corte ben presto lasciò tale ufficio per entrare nei cavalieri di Malta, ponendosi come comandante d'esercito al servizio di Filippo II. Partecipò alla battaglia di S. Quintino (10 ag. 1557) acquistando la stima di Filippo II per il talento d'ingegnere dimostrato nell'assedio della città. Fu poi imputata a lui, per la falsa testimonianza di due invidiosi, la morte di un gentiluomo: imprigionato per due anni fu infine pienamente assolto e impiegò poi la propria influenza ed il proprio denaro per salvare la vita ai calunniatori. Dopo aver passato alcuni anni in Spagna al servizio del re come esperto di problemi di canalizzazione e irrigazione, imbattutosi nel deserto di El Tardón presso Siviglia in un gruppo di eremiti che vivevano sotto il governo del p. Matteo de la Fuente, abbandonando tutto si unì a loro e trascorse otto anni nella solitudine dell'eremo.
Mentre si accingeva ad andare a Roma per ottenere dal pontefice la conferma della loro regola di vita eremitica e preparava la fondazione di un nuovo eremitaggio in Pastrana, incontrò a Madrid s. Teresa d'Avila nel maggio 1569.Persuaso da lei che nella regola del Carmelo riformato erano accolti e consolidati i valori della vita eremitica, abbandonò il primitivo progetto e consentì che il terreno che aveva ricevuto in dono per l'eremitaggio servisse per la fondazione del noviziato di Pastrana ove, indossando l'abito carmelitano, non volle essere che frate converso. Solo nel 1573, mentre si recava nella nuova fondazione di Siviglia, decise di accettare la dignità sacerdotale in seguito ad un ordine esplicito del padre generale: consacrato nella primavera del 1574 adempì per alcuni anni nel monastero di Siviglia l'ufficio di maestro dei novizi. Passò poi a Madrid ove rese i principali servigi all'Ordine nelle difficoltà che esso incontrò per il riconoscimento dell'autonomia della provincia riformata, riconoscimento ottenuto da Gregorio XIII nel 1580 dopo anni di lotte. Nel primo capitolo generale dei carmelitani scalzi tenutosi ad Alcalá nel 1581 fu eletto segretario e come tale sottoscrisse gli atti e le costituzioni dell'assemblea. Sua fu anche la elegante orazione latina di saluto: Oratio habita anno 1581 in primo capitulo carmelitarum excalceatorum Compluti celebrato (stampata nello stesso anno a Jerez de los Caballeros). Fu nominato nello stesso capitolo rettore del collegio di Alcalá, ma rimase poco tempo in quest'ufficio perché fu inviato a Lisbona nel 1582 incaricato della fondazione di un nuovo monastero. Nel capitolo generale di Madrid gli fu affidato il delicato incarico di presiedere alla fondazione di un monastero nella capitale stessa. Nel capitolo generale del 1588, che egli ospitò come priore in Madrid, fu eletto secondo consigliere e come tale confermato anche nel 1590 e nel 1591. Dopo venticinque anni di professione religiosa trascorsi nella preghiera, nella penitenza e nell'attività incessante in favore della riforma si spense nel 1594 nel convento di Madrid. A. fu il primo a vestire l'abito degli scalzi senza aver prima appartenuto ad alcun Ordine religioso. Fu uno dei più validi collaboratori di s. Teresa d'Avila e uno dei pilastri della riforma del Carmelo.
Oltre all'orazione latina del 1581 sopra ricordata, è attribuita ad A. la paternità di un manoscritto, a noi non pervenuto, dal titolo: Acta et decisiones Tridentinae Synodi.
Bibl.: S. Teresa di Gesù, Obras,a cura di Silverio de S. Teresa, Burgos 1915-24 V (Libro delle fondazioni), VII-IX (Epistolario), passim. Oltre le opere citate da Cosmas a Villiers nella Bibliotheca carmelitana (Aurelianis 1772; nuova ristampa a cura di G. Wessels, Roma 1927), I, 61-63, v.: Apollinare di S. Gaetano, Il cavaliere romita; storia panegirica del v.p.f. A. M. di S. Benedetto,Napoli 1693; Silverio de Santa Teresa, Historia del Carmen descalzo,VII, Burgos 1937, pp. 468-481; Gabriel a Virgine Carmeli, Die Karmeliten auf dem Konzil von Trient In Ephemerides Carmelitanae,IV, 2 (1950), p. 336; Dict. d'Histoire et de Géographie Ecclés.,II,coll. 1130-1131.