GRIFFI (Grifi, Grifo), Ambrogio
Nacque intorno al 1420 da Giacomo, mercante di Varese, e dalla nobile Caterina Castiglioni. Fu uno dei medici più celebri del XV secolo, tanto da guadagnarsi, alla fine della sua carriera, l'epiteto di "alter Esculapius" (Gherardi, p. 472).
Il G. studiò medicina a Pavia dal 1444, addottorandosi nel 1449, e si registrò nel Collegio dei medici di Milano il 3 marzo 1450, nei giorni in cui Francesco I Sforza veniva acclamato duca. I rapporti con la corte sforzesca dovettero presto diventare molto stretti, e nel 1455 il G. fu inviato in Germania per una missione presso Federico III. In tale contesto il G. doveva essere una sorta di inviato di cortesia, che i duchi di Milano solevano mandare presso altri principi perché li assistesse in occasione di qualche loro infermità. Al suo ritorno, l'umanista Giorgio Valagussa lo elogiò come sicuro rifugio di tutti i pazienti milanesi, rallegrandosi che fosse il medico ducale. Nel giugno 1459 il G. scrisse da Milano a Bianca Maria Visconti, che si trovava a Mantova per accogliere Pio II, sul buono stato di salute del marito. Fra il maggio 1461 e il gennaio 1462 il G. si prese cura di Francesco I Sforza durante il grave attacco di idropisia che lo aveva colpito in quel periodo.
Questo delicato ruolo fece salire ulteriormente la sua influenza all'interno della corte. Il 15 marzo 1462 il duca scriveva per sollecitare la trascrizione di "certa opera de medecina" per il G. "nostro fisico dilectissimo", il quale ne "porta grave sinistro e bisogno" (D'Adda, p. 121).
Nel 1464 il G. fu a Roma dove, con Ottone Del Carretto e Agostino de Rossi, omaggiò papa Paolo II. Sulla via del ritorno, ai primi del gennaio 1465, sostò a Bologna, dove guarì dalla febbre il generale dei francescani Francesco Della Rovere, futuro papa Sisto IV. A Milano lo attendeva un'altra missione: si doveva recare in Ungheria o in Boemia, in qualità di medico di ser Benedetto, che doveva occuparsi dell'acquisto di cavalli per il duca, ma era tormentato dai dolori della gotta.
L'improvvisa morte di Francesco I Sforza, l'8 marzo 1466, dopo un nuovo attacco di idropisia, pare fosse causata dall'aver trascurato i consigli del G. e degli altri medici di corte. Il 17 ott. 1466, alla morte di Andrea Carpano, Galeazzo Maria Sforza incaricò un medico comasco di fare un inventario dei libri da lui posseduti e di spedirlo al G., che si interessava di "philosophia theologia et arte oratoria, et qualuncha altra facultà" (ibid., p. 125). I rapporti con il nuovo duca erano assai intimi. Durante l'assenza da Milano di Galeazzo Maria, impegnato nel 1467 nella campagna contro Bartolomeo Colleoni, il G. gli inviò diverse lettere per rassicurarlo sulla salute dei suoi familiari.
Nell'estate del 1468 Francesco Filelfo si rivolse al G. con una lunga epistola scritta nel giorno del suo settantesimo compleanno, nella speranza che egli intercedesse a corte presso personaggi influenti come il segretario Cicco Simonetta. In questo periodo il medico ducale era impegnatissimo. L'8 agosto Galeazzo Maria lo aveva mandato d'urgenza a visitare la madre, Bianca Maria Visconti: il G. faceva infatti parte della corte personale della duchessa madre e percepiva il ragguardevole stipendio di 24 fiorini. Il 28 agosto il G. scriveva a Bianca Maria sulla convalescenza del figlio Filippo Maria. Il 13 settembre, da Melegnano, Bianca Maria informava Galeazzo Maria della "visitatione gratissima" del G., che l'aveva trovata "con un poco alteratione et febre". A metà ottobre il G. scrisse al duca di aver trovato Bianca Maria "exterminata e terrefacta ne la facia […] con non picola nigredine e siccitate nella lingua": una diagnosi, reiterata nei giorni successivi al duca e al collega Lazaro Tebaldi, che preludeva alla morte di Bianca Maria, avvenuta il 23 ottobre. Sulla base dei documenti a nostra conoscenza, ora pubblicati integralmente da M. Nicoud, il sospetto di avvelenamento da parte del G. parrebbe del tutto infondato.
Nel 1470 il G. scrisse l'orazione per accogliere Guidotto Mazenta nel Collegio dei medici mentre nel 1471 partecipò all'ambasceria di omaggio a Sisto IV. Il 27 ottobre scriveva da Roma al duca per scusarsi del ritardo nella partenza, causato dall'improvvisa febbre terzana che aveva colto il fratello Leonardo, entrato al servizio del cardinale Della Rovere nel 1467 e divenuto suo segretario quando fu eletto papa.
Fu anche grazie al legame personale con il nuovo pontefice che il G. decise di intraprendere la carriera ecclesiastica. Il G. fu presente al contratto di matrimonio di Girolamo Riario e Caterina Sforza, stipulato a Pavia 17 genn. 1473 nel contesto dell'alleanza fra Sisto IV e Galeazzo Maria Sforza. Dal settembre 1476 il G. divenne abate di S. Pietro di Lodi Vecchio e contestualmente fu nominato protonotario apostolico.
La decisione di farsi chierico non compromise comunque i rapporti del G. con il regime sforzesco. Nel 1477, per esempio, egli ricevette da Bona di Savoia, vedova di Galeazzo Maria, il dono di una casa in Porta Ticinese, nella parrocchia di S. Giovanni sul Muro (ove creò anche un proprio studio), e inoltre ebbe anche la titolarità della honorantia platee Arenghi; mentre il 30 nov. 1479 venne nominato consigliere segreto ducale.
Il G. fu fedele alla reggenza di Cicco Simonetta, tanto che nel 1480 gli fu imputato un tentativo di avvelenamento di Ludovico il Moro. All'indomani della decapitazione del segretario (30 ott. 1480) gli fu fatto firmare un giuramento che gli proibiva, sotto pena di morte, di scrivere alla duchessa Bona di Savoia.
Al di là di questi sospetti la posizione del G. a Milano rimase quella di una personalità di prestigio, come prova del resto anche il fatto che nel corso degli anni Ottanta egli prese stabilmente dimora nel castello di Porta Giovia, con il titolo di archiatra ducale. Nel novembre 1484 il cardinale Giovanni Arcimboldi lo nominò suo procuratore nella presa di possesso dell'arcivescovado di Milano. Qualche mese dopo, diffusasi la notizia dell'imminente morte del cardinale, il G. avanzò la richiesta di subentrargli nell'abbazia, proponendosi di introdurvi alcune riforme.
Dopo la morte del fratello Leonardo, nel novembre 1485, il G. cercò invano di contrastare la confisca da parte di Innocenzo VIII dei 12.000 ducati di patrimonio accumulati dal fratello durante il periodo di servizio papale.
Nel gennaio del 1487 il G. ricevette anche l'ambito riconoscimento della cittadinanza milanese, che attestava come sotto il governo del Moro il G. continuasse a essere ritenuto una figura di prestigio. Il 23 sett. 1490 era presente alla consegna di 20.000 ducati d'oro destinati alla dote di Isabella d'Aragona.
Il G. morì, verosimilmente a Milano, soffocato dal catarro, il 13 nov. 1493.
Il 4 sett. 1489 il G. aveva compilato un dettagliato testamento, che presenta parecchie caratteristiche di originalità. Egli istituì dei legati a favore della Fabbrica del duomo, dell'ospedale Maggiore di Milano, dei poveri di Varese, nonché di vari conventi milanesi, e dispose inoltre la fondazione di un Collegio in Pavia da intitolare alla famiglia Griffi, e destinato a mantenere agli studi 6 o 8 universitari provenienti da Varese e da Lodi.
La biblioteca di circa ottanta volumi testimonia la sua cultura: oltre alle opere di medicina, filosofia naturale e morale e teologia, il G. possedeva diversi volumi di arte oratoria, vari testi di Francesco Filelfo, che gli inviò numerose epistole, e opere di Pio II, Biondo Flavio e Poggio Bracciolini. Il 3 maggio 1490 il legato pontificio Iacopo Gherardi gli aveva inviato una copia del commento alla Fisica aristotelica di Marsilio di Inghen.
Fra le disposizioni testamentarie vi era quella di farsi seppellire all'interno della chiesa milanese di S. Pietro in Gessate, nella cappella di S. Ambrogio da lui fondata, affrescata magnificamente da Bernardo Zenale, in cui si trova tuttora la lastra tombale con figura giacente in marmo rosso, attribuita a Benedetto Briosco.
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