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AMBROGIO da Aquila

di Ada Alessandrini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)
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AMBROGIO da Aquila (detto anche Ambrogio da Pizzoli e, latinamente, Ambrosius Aquilanus)

Ada Alessandrini

Nato con ogni probabilità a Pizzoli ai primi del XV secolo, divenne frate laico dei minori osservanti e fu seguace di S. Giovanni da Capestrano, di cui era compatriota (Pizzoli e Capestrano sono due piccoli borghi in provincia di Aquila).

Non si hanno notizie dirette sulla sua vita: si parla di lui nelle fonti francescane, quasi esclusivamente di riflesso, e in particolare per la sua partecipazione alla campagna contro i Turchi in Ungheria (1455-56), nella quale l'esercito regolare, capitanato da Giovanni Hunyadi, fu fiancheggiato da turbe di crociati, provenienti da varie contrade d'Europa, trascinati alla guerra santa dal fervore religioso e dall'intrepido coraggio del Capestrano. Ambrogio fu al suo fianco, nel piccolo seguito di frati quasi tutti italiani.

Riguardo all'epoca precisa della sua partenza dal convento di Abruzzo si hanno notizie contraddittorie. Cristoforo da Varese, biografo del Capestrano, (Acta Sanctorum Oct. X, p. 516) non indica il nome di lui fra i 12 francescani (7 sacerdoti e 5 laici) che partirono con Giovanni nella primavera del 1451 (subito dopo la Pasqua) diretti in Austria, Baviera, Moravia, Polonia, Ungheria, dove il pontefice Niccolò V aveva inviato l'intransigente osservante come suo legato per opporsi al dilagare dello scisma hussita e per fronteggiare la minaccia dei Turchi.

Il Wadding invece comprende A. Aquilano fra i cinque fratelli laici dalla integerrima vita (probatissimae vitae laici), che accompagnarono il santo nel 1451 lungo il viaggio avventuroso, che, attraverso la Marca Trevigiana e il Friuli, doveva condurli in Germania (Ann. Min., XII, p. 94).

I padri bollandisti, mettendo in luce questa contraddizione (Acta Sanctorum Oct. X, p. 328), rimandano alla famosa lettera, inviata da Giovanni da Tagliacozzo il 10 febbraio 1461 al beato Giacomo Piceno con la relazione sulla morte del santo (Ann. Min., XII, pp. 444-66). Risulta da questa lettera che i due confratelli abruzzesi (A. da Aquila e Giovanni da Tagliacozzo) non partirono insieme col Capestrano, ma furono chiamati da lui in un secondo tempo con una lettera inviata espressamente da Cracovia al vicario generale dell'Ordine, Marco da Bologna; e fu proprio Giacomo Piceno a vincere le obiezioni di alcuni frati, con una osservazione, che poi si rivelò profetica: "Hi erunt, qui claudent oculos Patri nostro fratri Ioanni et libros suos ad suam provinciam reportabunt".

Effettivamente Giovanni da Tagliacozzo ed A. da Aquila, abruzzesi come il Capestrano, furono a lui più vicini che ogni altro frate del suo seguito: parteciparono alle imprese più ardite e rischiose, lo assistettero negli ultimi istanti della vita ed ebbero da lui l'incarico di riportare, nel convento d'Abruzzo, i suoi libri, la sua preziosa corrispondenza, le sue reliquie.

Furono infatti A. e Giovanni che seguirono il santo, nell'aprile del 1456, quando lasciò Budapest per andare a predicare la crociata nei dintorni di Pécs. Furono ancora A. e Giovanni, nel luglio dello stesso anno, ad accompagnarlo nell'eroica sortita da Belgrado, circondata dai Turchi, quando, contro l'ordine dello stesso Hunyadi, il Capestrano attraversò il fiume Sava su una piccola barca, avendo con sé soltanto due rematori, il portabandiera e i suoi due fratelli più fidi. Questi però non ardirono seguirlo nel furore della mischia, mentre, il santo issato sopra un'altura, incitava i soldati alla lotta invocando l'aiuto dell'Onnipotente. A. e Giovanni si tennero allora in disparte e lo raggiunsero più tardi, mentre se ne tornava, raggiante per il successo, sulla via di Belgrado.

Del fatto che il Capestrano nutrisse per A una particolare predilezione è indicativo un prodigioso episodio, riferito da Giovanni da Tagliacozzo. Dopo l'assedio di Belgrado, molti frati caddero gravemente ammalati, ed il santo li mandò per curarsi ad locum de Anconya, mentre egli stesso si recava a Villaco. A., quasi morente, guarì improvvisamente, per le preghiere - si disse - del Capestrano, distante da lui molte miglia; cosicché al Tagliacozzo, accorso al letto del suo amico, questi apparve miracolosamente risanato ("quem mortuum iacentem in feretro invenire credidi, manducantem et incolumen vidi").

Dopo la sua guarigione, A. raggiunse il santo a Villaco, lo assisté nei suoi ultimi giorni (il Capestrano morì il 23 ott. 1436), impedì ai fanatici di trafugarne la tunica e ne portò in salvo, a Capestrano, insieme con le reliquie, i preziosi documenti.

Dopo questi avvenimenti, A. da Aquila ritornò in Abruzzo, ove visse nell'ombra.

Due fugaci, indirette notizie: nella Chronica Ordinis Minorum di frate Alessandro de' Ricci risulta che A. era ancora vivente in un convento della provincia di Aquila il 20 maggio 1494 e negli Annales Minorum (XV, pp. 388-389) del Wadding, al 1506, si trova notizia della sua tomba: era nella chiesa di S. Bernardino all'Aquila, vicino a s. Bernardino da Siena e ad altri illustri rappresentanti dell'Ordine.

Ma il padre Gerolamo Costa, che nella sua storia del convento di S. Angelo in Ocre dedica un capitolo intero alla biografia di "Ambrogio da Pizzoli", afferma che questi passò gli ultimi anni della sua vita nel convento di S. Angelo, vi morì nel primo decennio del sec. XVI e fu sepolto nella chiesa a esso adiacente, dove riposa tuttora la sua spoglia molto venerata, mèta di continui pellegrinaggi, e dove trovasi anche un suo ritratto (Costa, Il convento, fig. 42).

La contraddizione, evidente, deriva molto probabilmente dal fatto che il Costa confonde nella stessa biografia due personaggi distinti. Si ha notizia infatti nel Wadding, al 1474 (Ann. Min., XIV, p. 270), di un "Ambrosius de Populo", il quale corrisponde certamente a quell'"Ambrosius de Pepulo", beato e confessore, ricordato nel Martyrologium Franciscanum (pp. 130-131), la cui festività ricorre il 24 marzo, ma di cui non è specificato l'anno di morte.

L'identificazione fra i due Ambrogi, seguita anche nel Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccles. (II, 1114-1115); non sembra tuttavia che possa reggere a un giudizio critico, per quanto sia in parte giustificata dalle fonti francescane, dove anche l'"Ambrosius de Pepulo'' o "de Populo" è ripetutamente indicato come socius o discipulus di s. Giovanni da Capestrano.

Fonti e Bibl.: A. Du Monstier, Martyrologium Franciscanum, Paris 1653, pp. 130-131; Acta Sanctorum Oct. X, Bruxellis 1869, pp. 328, 370, 379, 392, 395, 401, 473, 516; L. Wadding, Annales Minorum, XII, Ad Claras aquas 1932, pp. 94, 444-466; XIV, ibid. 1933, p. 270; XV, ibid. 1933, pp. 388-389; G. Costa, Il Convento di S. Angelo in Ocra e le sue adiacenze, Aquila 1912, pp. 106, 163-166; A. Chiappini, De vita et scriptis fr. Alexandri de Riciis,in Archivum Francisc. Hist., XXI (1928), p. 566; J. Hofer, Giovanni da Capestrano, L'Aquila 1955, pp. 41, 331, 604, 648, 658, 680-682; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., II, coll. 1114-1115.

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