BIFFO (Biffi; nella letteratura talvolta, erroneamente, Bisso, Bissi), Ambrogio
Diacono della Chiesa milanese, fu consacrato dall'arcivescovo Guido di Velate intorno al 1056.
L'Argelati postulò la discendenza del B. dalla famiglia Biffi di Bergamo, un ramo della quale si sarebbe dunque trasferito a Milano prima della metà del sec. XI: costruzione che non è suffragata da nessun documento e non trova conferma neppure nella forma latina del nome, che è Biffus.
L'unica fonte sul B. è la Historia Mediolanensis di Landolfo Seniore, chierico milanese, che scriveva agli inizi del sec. XII: quivi egli appare come una delle figure di maggior rilievo del clero ambrosiano, di grande dottrina e di straordinarie capacità oratorie. Avrebbe conosciuto bene sia il latino sia il greco: Landolfo gioca sul suo nome accostandolo a "biffarius" (interpretato come "bilinguis": cfr. G. Goetz,Corpus Glossat. Latin., IV, Lipsiae 1889,ad Indicem), "quasi bina colloquia Graeca et Latina fando". Una predica sul prologo del vangelo di s. Giovanni da lui tenuta nella chiesa di S. Maria Iemale, il giorno di Natale (il contesto del racconto riporta all'anno 1056), avrebbe suscitato l'invidia e l'irritazione di Anselmo da Baggio, il futuro Alessandro II, allora vescovo di Lucca, giunto nascostamente a Milano per organizzarvi il movimento della Pataria (per l'inverosimiglianza dell'episodio, v. Violante, pp. 165 ss.).
Quando, nel corso della legazione di Pier Damiani, nell'inverno 1059-1060 (per le incertezze della datazione, v. G. Miccoli, Le ordinazioni simoniache... in Studi gregoriani, V, Roma 1956, pp. 67 ss.), l'arcivescovo Guido s'impegnò solennemente a rinunziare alle consuetudini simoniache che vigevano nella Chiesa milanese, anche un diacono Ambrogio - da identificare con ogni probabilità col B., dato il contesto di nomi in cui compare: di altri chierici ambrosiani che nel racconto di Landolfo ci appaiono costituire appunto il suo ambiente - sottoscrisse l'atto della "sponsio" (P. Damiani, Opusc. V,Actus Mediolani, in Migne,Patr. Lat., CXLV, col. 96).
Il B. ebbe parte principale in un incontro e dibattito che si tenne nella sagrestia di S. Maria fra i "maiores natura et scientia" degli opposti partiti che dividevano la Chiesa milanese: Arialdo e Landolfo Cotta, organizzatori e capi della Pataria, da una parte; e dall'altra, per il clero conservatore, oltre al B., l'arcidiacono Guiberto, il diacono Arderico e il sacerdote Andrea rappresentante del clero decumano. Non vi sono elementi precisi per datare l'episodio, che viene posto generalmente nella letteratura storica intorno al 1064 (è il periodo, all'incirca, in cui Landolfo Cotta viene a mancare dalla scena della lotta). L'incontro terminò in un nulla di fatto, finì anzi per degenerare in un grande tumulto scoppiato fuori della sagrestia.
Landolfo Seniore si sofferma a lungo sullo svolgimento del colloquio, che verte essenzialmente sulla questione del celibato del clero. La discussione si svolge in parte sulle autorità scritturali, ma poiché il modello della "ecclesia primitiva", quale risulta dalle epistole paoline che concedono al clero la monogamia (1 Tim. 3,2 e 12), è rinnegato dai capi patarini in nome del motto paolino "vetera transierunt et facta sunt omnia nova" (2 Cor. 5, 17), ci si accorda infine nel fondare il dibattito sull'autorità di s. Ambrogio. Il discorso del B., costruito essenzialmente su passi del De officiis ministrorum e della LXIII epistola riguardanti la monogamia del clero, viene ad assumere così il ruolo centrale nella discussione, fra l'orazione dell'arcidiacono Guiberto, di più generica introduzione sulla bontà in sé del matrimonio secondo passi dell'Exemeron, equella, tutta centrata sui disastrosi effetti pratici che l'azione dei riformatori comportava, del prete Andrea. È per tale discorso che il B. ha acquistato, nella letteratura erudita, un suo posto nella serie degli scrittori milanesi. È peraltro chiaro che si tratta di ricostruzioni del cronista, che ricorre continuamente a questo procedimento nel corso di tutta l'opera. Il B. è per Landolfo Seniore un rappresentante esemplare del clero ambrosiano vecchio stampo, dotto, ricco, onorato, che vive nel decoro della vita coniugale, conformemente al quadro idealizzato che egli dipinge della Chiesa milanese sotto l'arcivescovo Ariberto, per contrapporlo all'urto sovversivo del movimento riformatore patarino, che nella lotta alla simonia e nell'imposizione violenta della castità al clero veniva a sconvolgere profondamente la compagine del'"usus antiquus". Del B. quindi Landolfo fa il suo ideale portavoce.
Non abbiamo altre notizie sull'attività del B., ed ignoriamo la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Landulphi Senioris Mediolanensis Historiae libri, in Rer. Ital. Scriptor., IV, 2, a cura di A. Cutolo, pp. 86, 107, 113 (v. anche l'ediz. a cura di L. C. Bethmann e W. Wattenbach, in Mon. Germ. Histor., Script., VIII, Hannoverae 1848, pp. 76, 89, 90 s.); F. Argelati,Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, 2, pp. 154 s.; G. Meyer von Knonau,Jahrbücher des Deutschen Reiches unter Heinrich IV., I, Leipzig 1890, p. 670; G. L. Bami,Dal governo del vescovo a quello dei cittadini, in Storia di Milano, III, Roma 1954, p. 162; A. Viscardi,La cultura milanese nei secc. VII-XII,ibid., pp. 677, 716; C. Violante,La Pataria milanese e la Riforma ecclesiastica, I,Le premesse (1045-1057), Roma 1955, pp. 164 ss.