AMBONE (connesso, probabilmente, col gr. ἀναβαίνω "salgo")
Per svolgere tutta quella parte della liturgia cristiana che conteneva le allocuzioni e le letture (omelie, lettura dei sacri testi nella prima parte della Messa), era necessario un luogo elevato, cioè un suggesto, un tribunal. Ed elevata era infatti la cattedra del vescovo che stava nel fondo dell'abside (v.). Ma vi era bisogno di qualche cosa che fosse ancor più vicino al popolo. Questa necessità era più sentita nello svolgimento dei canti, quando un cantore, o un gruppo di cantori del clero (nelle "antifone") si alternava col popolo. Fra questi canti ve ne è uno che vien detto graduale perché appunto il solista lo modulava su di un luogo elevato cui ascendevasi per alquanti gradini. Finché la liturgia era celebrata per pochi fedeli e la funzione si svolgeva in una casa privata, non sembra che si fosse reso necessario alcun dispositivo speciale per elevare l'oratore, o il cantore. Nessuna traccia di esso ci è nota per i primi tre secoli, quantunque un testo di Esdra accenni ad un luogo elevato della sinagoga per la lettura dei sacri testi (II Esdra, VIII, 4). E si sa che i cristiani derivarono molte loro usanze dalla pratica sinagogale. Per il secolo IV invece noi possediamo delle testimonianze dirette ed esplicite. Il concilio di Laodicea del 371 riserva ai soli cantori il diritto di montare all'ambone (latinamente: pulpitum): Non licere, praeter canonicos psaltes, idest, qui regulariter cantores existunt, quique pulpitum ascendunt et de codice legunt, alium quempiam in ecclesia psallere (canone 15, in Hardouin, Conciliorum collectio regia maxima, Parigi 1715, I, col. 785). Questo passo allude esplicitamente all'ambone, ma sembra riserbarlo ai cantori. Pur tuttavia se ne doveva servire anche il vescovo propter commoditatem depromendae vocis (S. Agostino, Sermo XXIII, in Patrologia lat., XXXVIII, col. 55). Alcuni testi parlano di un tribunal così alto che sembra impossibile possa trattarsi della cattedra vescovile. Si mediti, p. es., su questo di Prudenzio:
Fronte sub adversa, gradibus sublime tribunal
Tollitur antistes praedicat inde deus
(Peristeph., hymn. XI, v. 215).
S. Isidoro di Siviglia così spiega il termine: Tribunal eo quod inde a sacerdote tribuantur praecepta vivendi, est enim locus in sublimi constitutus, unńe universi exaudire possunt. Alias tribunal a tribubus denominatum quod ad illum tribia convocentur. Analogium dictum quod sermo inde praedicetur, nam λόγος graece sermo dicitur, (Origines, XV, in Patrol. lat., LXXXII, col. 545).
Perciò il tribunal è l'analogium. Un testo del IX secolo (le diciture della celebre pianta dell'abbazia di S. Gallo) segna, addossati al cancello del coro dei cantori, due analogia ad legendum. Si tratta quindi degli amboni che, prima più ravvicinati alla cattedra vescovile, erano in questo periodo già passati più avanti e cioè nel recinto della schola cantorum. Lungo sarebbe il discorrere di tutti gli usi liturgici cui ha servito l'ambone. Ne fanno testimonianza i libri cerimoniali d'Oriente e d'Occidente fin dall'alto Medioevo. In quanto agli usi extraliturgici si ricorda che l'ambone serviva molte volte per l'incoronazione dei monarchi. Gl'imperatori di Bisanzio furono incoronati all'ambone di S. Sofia. Celebre fu questo ambone del secolo VI per le meraviglie d'arte che vi erano profuse e che ci son descritte da un contemporaneo, Paolo Silenziario. Sembra che avesse una parte centrale molto rialzata e coperta da cupola. Ad essa ascendevasi da due scale opposte, una verso oriente, l'altra verso occidente. Togliamo infatti dal poemetto del Silenziario (nella versione di A. Veniero, Catania 1916):
Nello spazio di mezzo de l'ampia estesa magione
splendida invero a vedersi, piegata d'alquanto a levante
s'erge una torre serbata pei libri e le sante letture
sovra gradini ben alta, cui duplice scala conduce.
La parola torre (πύργος) designa, anche in altri testi, l'ambone:
di esse l'una a la notte si volge, quell'altra a l'aurora
che l'una a l'altra opposte son esse, ma salgono entrambe
ad un unico luogo che cerchio rotondo somiglia.
Questo palco:
sovra ben otto eleganti colonne commise l'artista.
Sembra tuttavia che, oltre a questo, vi fosse ad un livello superiore un altro ripiano. Non è chiaro se le loggette sporgessero dal primo o dal secondo:
Ed affinché più ampie poi fosser le basi del palco,
due semicerchi di pietra costrusse nel mezzo del corpo
da l'un lato e da l'altro.
In cima vi era un tetto a cupola che l'artista
distese sui sacri
capi bene incurvato dall'alto con begli ornamenti.
Il Silenziario fa ogni tanto lunghe parentesi per illustrare la ricchezza dei marmi e degli ornati d'argento e d'avorio. Descrive infine tutto il recinto congiungente l'ambone al setto presbiteriale, recinto innalzato a fine di proteggere chi vi si recava dalla folla immensa, che gremiva il tempio durante le funzioni solenni.
Questa meraviglia d'arte subì molteplici vicende e fu alfine distrutta. Ne resta peraltro un riflesso in altri amboni che si dovettero ispirare al suo tipo. Per es., prossimo alla descrizione del Silenziario ci sembra il pulpito doppio della basilica marciana di Venezia. Anch'esso è sorretto da colonne, ha due ripiani, è coperto da cupola, ha nel ripiano superiore gli aggetti delle loggette. Un altro pulpito più basso, a un solo ripiano, era adoperato per la presentazione al popolo del nuovo doge e per l'ostensione delle reliquie (Pasini, Guide de la Basilique de S. Marc à Venise, Schio 1888). Più meschino e ad un sol piano, è l'ambone della basilica di S. Eufemia a Grado. Ambedue sono posteriori al mille, più antico quello di S. Marco, più recente quello di Grado. Alcuni plutei del IX secolo, leggermente curvi, indussero l'architetto Nordio a pensare alla esistenza di un secondo ambone in Grado, analogamente a S. Marco. Ma quei resti sono troppo esigui e forse appartennero alla iconostasi. Da quali forme gli architetti di S. Sofia di Costantinopoli traessero l'idea del celebrato ambone, non è dato immaginare. Tra le reliquie di pulpiti anteriori al costantinopolitano, ci son note quelle di Tessalonica (Salonicco). Un resto di pergamo di rozza fattura con loggetta poligonale, base a nicchie e una scala, è conservato in S. Sofia di Costantinopoli. È databile forse al 495. Un secondo resto si trova ora nel Museo di Costantinopoli. Doveva essere in origine una costruzione semicircolare con due brevi scale. Nel frammento esistente si vedono in nicchie alcune figure di Re Magi. Quantunque separati, questi personaggi concorrono ad un'azione comune perché in una prima scena essi cercano il Cristo, in una seconda l'adorano. Le arcate sono tutte adorne di conchiglie a pecten, le colonne sono di uno stile composito di transizione, gli archivolti sono ornati di una duplice modanatura. Non sembra che questi tipi d'amboni preludano a quello di Bisanzio. Né vi doveva esser collegato quello il cui resto (fronte della loggetta), che ha barbariche sculture (archetti - trecce - rami di vite), si conserva ad Agaune. Apparteneva a una basilica del VI secolo.
Diversi sono pure gli amboni delle chiese di Ravenna, dei quali rimangono importanti esemplari. In S. Apollinare Nuovo, sostenuto da un grosso tronco di colonna granitica e da quattro colonnette minori è l'elegante pulpito di marmo greco eretto nel VI secolo. Nel secolo XVII conservava ancora le due scale laterali. Nel Duomo (Basilica Ursiana) è il resto dell'ambone dedicato dal vescovo Agnello (553-568) che vi appose l'iscrizione seguente:
servvs xpi (Christi) agnellvs hvnc pyrgvm fecit.
In luogo di pyrgum si ha pergum (che sembra un incrocio fra pyrgum e pergamum) in una iscrizione di un resto d'ambone del secolo VIII, proveniente da Voghenza ed ora conservato a Ferrara. Il Rohault de Fleury ha dato un ingegnoso disegno ricostruttivo dell'ambone dell'Ursiana (La Messe; études archéologiques, III, Parigi 1883, p. 12). Il sistema decorativo della sua fronte è abbastanza originale, giacché la superficie è tutta scompartita in riquadri che contengono figurette d'agnelli, pavoni, cervi, colombe, pesci. Di tipo uguale è l'ambone dei Ss. Giovanni e Paolo ove però l'esecuzione più rozza delle sculture denuncia un'età più recente. Siamo infatti nel 596. In un'epigrafe, un Adeodato primicerio degli stratori dell'esarca dichiara d'aver dedicato l'ambone al tempo del vescovo Mariniano. I due santi eponimi della basilica sono effigiati nei fianchi e stanno in attitudine d'oranti. In S. Agata Maggiore è una loggetta di pergamo ricavata da un sol pezzo di marmo greco e striata da scanalature. Taluno pensa che sia il frammento di una gigantesca colonna scanalata. C. Ricci (Guida di Ravenna, 6a ed., Bologna [1923]) crede che si tratti di una base ridotta ad ambone e che avesse dapprima una scala, poi due.
Fra il VII e il X secolo vi sono altri resti di amboni di cui il più notevole è quello della chiesa di S. Maria in Castel S. Elia presso Nepi. Il Mazzanti, che ne fece un notevole studio ricostruttivo, lesse in una cimasa l'iscrizione che ricordava papa Gregorio IV (827-844). Questo pulpito era un po' dissimile dagli altri. Aveva pianta rettangolare. Di tipo non dissimile era anche l'ambone di Ferentino. Il poggiuolo superiore era anch'esso quadrangolare. Dopo il mille vi è un magnifico gruppo di amboni ai quali accenneremo brevemente. Interessante è soprattutto il loro tipo. Essi hanno due forme: il palco rettangolare elevato su colonne cui si accede da un fianco (dal palco sporge la curva della loggetta ovvero semplicemente il leggìo); la loggetta ricurva centrale cui si ascende da due scale opposte laterali. Troviamo il primo tipo, per esempio, nella cattedrale di Salerno, il secondo nelle basiliche romane (S. Lorenzo fuori le mura, intero; S. Maria in Aracoeli, smembrato - il merito di averlo ricostruito idealmente spetta al Giovannoni - S. Cesario, smembrato; S. Pancrazio, smembrato - la sua forma originaria risulta da un vecchio disegno - ecc.). Forse doveva essere di questo tipo anche l'ambone dell'antica basilica vaticana, il quale aveva una iscrizione in versi leonini:
Scandite cantantes domino dominvmque legentes
ex alto popvlis verba svperna sonent
L'ambone era di frequente collegato al recinto della schola cantorum (S. Sabina, S. Maria in Cosmedin ecc.). Aveva sempre accanto a sé il "cero pasquale", necessario per alcune determinate funzioni. Questo tipo a doppia scala delle basiliche romane lo rivediamo anche nell'Italia meridionale, per es. a Ravello. Splendidi musaici e sculture ne ornarono i fianchi. Anche l'ambone a palco di Salerno è profusamente ingemmato di tessere musive. Pulpiti romanici, a forma di palco su colonne con una scala d'accesso e adorni d'insigni sculture laterali, si vedono in varie parti d'Italia. Valga l'esemplare del S. Ambrogio di Milano e quello della cattedrale di Pisa, decorato da Nicolò d'Apulia. Ma per questo argomento entriamo nei più vasti dominî della storia dell'arte medievale e moderna e lungo sarebbe il discorso su ognuno di questi monumenti in cui l'interesse delle decorazioni scultorie e della personalità che le ha eseguite soverchia lo studio del tipo. Il quale s'è ormai avviato a trasformarsi e a ridursi nella loggetta che sarà il pulpito del Rinascimento (v. pulpito), anch'esso mirabilmente adorno di sculture, a loro volta, sovente, opera d'insigni artisti (v. tavv. CLXIX a CLXXX).
Bibl.: H. Leclercq, in Dict. d'archéol. chrétienne, I, s. v.; Ch. Rohault de Fleury, Les Saints de la Messe et leurs monuments, Parigi 1883-1900, passim; F. Grossi Gondi, I monumenti cristiani iconografici ed architettonici dei sei primi secoli, Roma 1923.