Ambiente
Nel corso dell'ultimo quindicennio le tematiche ambientali hanno continuato a suscitare grande interesse nelle diverse comunità di ricercatori, in quanto i processi in atto hanno manifestato crescenti problemi in termini di impatto, di inquinamento, e di sempre più modesta sostenibilità delle attività umane sul territorio. I principali temi ambientali sono affrontati oramai abitualmente dai protocolli dei più importanti incontri internazionali, dai vertici dei G8 ai lavori della Commissione Europea; in Italia ai problemi ambientali è stato destinato uno specifico dicastero.
Gli equilibri ambientali rappresentano il frutto di un sistema di interazioni molto complesso e di difficile interpretazione poiché ai tradizionali processi di interazione fra il sottosistema "ambiente naturale" e il sottosistema "ambiente sociale" si sommano gli elevatissimi livelli di interconnessione tra l'a. interno (ossia nel contesto di un sistema territoriale misurato di norma a scala corografica) e quello esterno, ovvero a processi che producono effetti alla scala globale o a quella continentale. Si è manifestato con lapalissiana evidenza come le alterazioni del sistema a. misurate a livello planetario provochino effetti alla scala regionale e come le risposte ai principali problemi locali siano completamente fuori portata rispetto alle capacità di intervento politico e programmatico delle comunità locali. La transcalarità che caratterizza le problematiche ambientali evidenzia come le questioni relative all'ecosistema terrestre debbano essere affrontati in scala globale, anche se gli impatti si misurano soprattutto a livello regionale e a livello degli ecosistemi locali.
Le grandi aspettative sulla capacità delle nuove tecnologie nel portare a soluzione i principali problemi ambientali sono, al momento, rimaste tali anche per le resistenze di alcuni Paesi a sottoscrivere e ad accettare il trattato di Kyoto. Fra le principali difficoltà presenti nelle agende politiche dei grandi incontri internazionali, riscaldamento globale, biodiversità, climate change occupano sempre posizioni di rilievo, cui corrispondono grandi problemi di inquinamento (marino, atmosferico, acustico), di deforestazione, di erosione del suolo e desertificazione, di smaltimento dei rifiuti (tossici e non). La pressione umana sulle risorse ambientali è in costante incremento e la cultura della sostenibilità stenta a manifestare effetti positivi (v. atmosfera terrestre: L'inquinamento chimico-fisico dell'atmosfera). Ai temi dell'a. sono dedicate numerose trattazioni: di particolare rilevanza appare l'economia dell'a. per l'evoluzione dei suoi contenuti.
Economia dell'ambiente di Laura Castellucci
Questa disciplina, che ha acquisito una propria autonomia all'interno della scienza economica soltanto di recente, si sta evolvendo e ampliando molto rapidamente. In essa trovano applicazione e si sviluppano le metodologie di studio più promettenti e moderne della scienza economica, come la teoria dei giochi e la valutazione delle opzioni reali. Allo stesso tempo, essendo il suo contenuto costituito in gran parte dai problemi legati alle esternalità, ai beni pubblici e ai beni liberi, l'individuazione di strumenti di intervento pubblico che siano capaci di internalizzare le esternalità (danni) e di fornire la quantità ottima dei beni pubblici, senza compromettere il funzionamento dei mercati, rimane un tema di rilievo nel quale si sperimentano anche nuove metodologie. Inoltre, data la dimensione internazionale delle esternalità e dei beni pubblici che non permette ad alcuno strumento di intervento, per quanto ben disegnato, di essere implementato, se non in forza di accordi volontari tra i Paesi, acquistano crescente rilevanza gli studi sull'economia degli accordi (trattati, convenzioni, protocolli, codici di condotta) internazionali e la 'governance ambientale'. La veloce diffusione del termine governance ha portato alla stesura di un Libro Bianco da parte della Commissione europea per chiarirne il significato e unificarne l'uso. Istituzioni, regole e processi, costituiscono gli ingredienti della governance e delle collegate attività di monitoraggio e di enforcement, di livello nazionale e internazionale. Tanto maggiore è il numero dei Paesi coinvolti, tanto più complessi sono i problemi di monitoraggio, enforcement e governance, e tanto più basse sono le probabilità che l'accordo, eventualmente raggiunto, venga rispettato in pratica (instabilità intrinseca dei trattati). Il numero dei Paesi coinvolti dipende d'altra parte dalle questioni affrontate; global warming, assottigliamento dello strato di ozono, piogge acide, deforestazione, biodiversità (non a caso le questioni oggi più gravi), sono problemi globali che richiedono la collaborazione di tutti i Paesi. Le ragioni delle difficoltà insite nella stipula dei trattati e ancor più nella loro applicazione pratica sono dovute alle asimmetrie tra benefici e costi. Mentre la distribuzione dei benefici dei miglioramenti ambientali è automatica e generalizzata a tutti i Paesi, indipendentemente dai costi effettivamente sostenuti, la distribuzione di questi deve essere concordata. È il tipico caso di fornitura di bene pubblico il cui finanziamento implica che la quota a carico di un Paese sia tanto minore quanto maggiore è quella a carico dell'altro: ciascuno Stato, cercando di minimizzare il proprio costo, contribuisce a ritardare i tempi dell'intervento. Al momento si possono perciò individuare tre comparti di ricerca: quello teorico, quello orientato verso gli strumenti di intervento e quello finalizzato all'implementazione pratica delle decisioni. L'economia del benessere, l'ottimizzazione dinamica e l'equilibrio economico generale sono il supporto teorico della disciplina, mentre l'analisi costi-benefici è la base per gli studi applicati. L'ampliamento dei contenuti della disciplina è andato di pari passo con la crescente importanza della sua duplice finalità, quella di capire come si possano ridurre le perdite di benessere sociale dovute al deterioramento ambientale (inquinamento-esternalità-danno) e come, per motivi di equità verso le generazioni future, si possa rendere la crescita, o sviluppo, presente, sostenibile in futuro.
Crescita e sviluppo non sono sinonimi sebbene molto spesso vengano usati come tali. Per crescita economica si intende l'incremento del prodotto interno lordo (PIL), mentre per sviluppo economico si intende un concetto più ampio che include la crescita del PIL ma implica anche miglioramenti in altri indicatori di benessere quali il tasso di scolarizzazione e la speranza di vita alla nascita, come nello Human Development Index (HDI) delle Nazioni Unite.
Mentre fino agli anni Novanta la politica ambientale rappresentava soltanto casi marginali di intervento pubblico e sembrava destinata a restare sulla carta, ora sta assumendo una relativamente robusta configurazione, tanto che se ne possono cogliere le linee evolutive e le diversità di approccio tra i Paesi; significativa a tale riguardo è la diversità tra le due sponde dell'Atlantico: Stati Uniti e Unione Europea. Ugualmente, i processi di sviluppo economico che possano ritenersi sostenibili sia rispetto all'a. naturale sia alle economie di mercato e miste, sono agli inizi del 21° sec. al centro dell'attenzione di politici, mass media e opinione pubblica in tutti gli Stati e anche nelle loro aggregazioni internazionali.
Sostenibilità, decoupling e progresso tecnico
La sostenibilità (v.) è diventata un tema sempre più ricorrente soprattutto dopo la pubblicazione, nel 1987, del Rapporto della Commissione mondiale per l'a. e lo sviluppo delle Nazioni Unite (WCED, World Commission on Environment and Development) noto come Rapporto Brundtland dal nome della sua presidente e dal titolo Our common future, che ne ha fornito una definizione. Si ha sviluppo (o crescita) sostenibile quando le generazioni presenti, nel soddisfare i propri bisogni, non impediscono a quelle future di soddisfare i loro. A questa dichiarazione di principio è possibile dare un contenuto operativo seguendo uno dei due criteri noti come criterio di sostenibilità forte (strong sustainability) e criterio di sostenibilità debole (weak sustainability), la cui differenza consiste nel ritenere, o meno, possibile la sostituzione tra capitale prodotto dall'uomo (macchinari, costruzioni, computer ecc.) e capitale naturale (petrolio, minerali, foreste ecc.). L'ipotesi di sostituibilità può a sua volta essere più o meno ampia a seconda che si ritenga possibile la completa sostituibilità oppure la si escluda per alcuni tipi di capitale naturale (capitale critico). Il fondamento per la sostituibilità è il progresso tecnico.
Il termine sostenibilità è divenuto pervasivo, lo si usa come slogan parlando di città sostenibile, di politica energetica o dei trasporti sostenibile, di gestione sostenibile dell'acqua, dei rifiuti ecc., mentre esso ha, per l'economia, contorni piuttosto chiari ed è suscettibile di misurazione. Un primo significativo test di sostenibilità si può ottenere dal raffronto della dinamica di crescita del PIL con quella di un dato elemento di pressione ambientale esercitata dall'attività umana di produzione e/o di consumo, quale può essere l'emissione di gas serra (GHG) o la produzione di rifiuti solidi. Esempi di questa impostazione si hanno con gli indicatori prodotti dall'OECD che seguono una metodologia articolata in stadi. Il primo stadio corrisponde all'individuazione dell'attività economica che genera pressione sull'a. (driving force) e alla valutazione quantitativa di tale pressione (per es. la quantità di CO2 emessa); il secondo consiste nel rilevarne gli effetti sull'a. (per es., l'accumulo o la dispersione generata dal vento) e il terzo registra la reazione da parte dei soggetti, individui e/o stato. Questi indici di pressione-stato-risposta, necessari all'attività di monitoraggio, sono ormai piuttosto numerosi. Il raffronto tra la dinamica del PIL, quale driving force aggregata, e quella di uno o più indicatori ambientali, permette di ottenere informazioni sulla sostenibilità. Se il tasso di crescita dell'indicatore di pressione ambientale fosse più alto di quello di crescita del PIL, la crescita non sarebbe sostenibile in futuro. Questo tipo di ragionamento ha portato all'elaborazione della nozione di decoupling quale condizione necessaria per la sostenibilità, con ciò intendendo lo sganciamento dei due tassi di crescita. Si ha sganciamento assoluto quando la crescita del PIL si accompagna a decrescita nella pressione ambientale, mentre si ha sganciamento relativo quando, nonostante crescano entrambi, il tasso di crescita dell'indicatore della pressione ambientale è minore del primo.
Gli studi empirici sulla crescita economica evidenziano come, alla crescita positiva del PIL pro capite globale (grandezza statistica che si ottiene dividendo il PIL globale per la popolazione globale) sperimentata all'inizio del 21° sec., si sia accompagnata una crescita ancor più elevata nell'utilizzo di alcune risorse naturali. Il tasso di crescita dei rifiuti pro capite è positivo, crescente e maggiore del tasso di crescita del PIL pro capite come pure il tasso di emissione della CO2 e il tasso di crescita della domanda di energia. Data la limitatezza delle risorse naturali (la Terra), il tasso di crescita del PIL pro capite non potrà continuare a essere positivo in futuro a meno che non si riduca il tasso di utilizzo delle risorse naturali (decoupling). Gli effetti sganciamento registrati tra i Paesi sviluppati dell'area OECD sono assai limitati.
In Italia si sono registrati risultati positivi in termini di sganciamento delle emissioni dei principali inquinanti atmosferici (le emissioni di SOx, infatti, hanno fatto registrare una riduzione del 55% negli anni Ottanta a fronte di crescita positiva del PIL e una riduzione del 46% negli anni Novanta contemporaneamente alla riduzione del 24% delle emissioni di NOx) e in termini di intensità energetica (quantità di energia assorbita per unità di PIL), dimostrandosi il Paese dell'area OECD a più bassa intensità energetica. A fronte di questi risultati positivi si ha però, sia una produzione di rifiuti che cresce a un ritmo più che doppio di quello del PIL, sia il più alto tasso di motorizzazione (veicoli a quattro e due ruote pro capite) dei Paesi dell'OECD e ciò rischia di annullare gli effetti sganciamento degli inquinanti atmosferici.
Al di fuori dell'area OECD, la Cina (ma anche l'India) sta mostrando un alto tasso di crescita del PIL (tra l'8 e il 9% in termini reali) e un ancor più alto tasso di crescita della domanda di energia; ciò desta preoccupazione in termini di emissioni inquinanti e di disponibilità futura di risorse naturali. Il 16° congresso nazionale del Partito comunista (novembre 2002), nel fissare gli obiettivi di crescita del PIL, ha riconosciuto la circolarità ambiente-economia (circular economy). Successivamente ha espresso la volontà di raggiungere l'obiettivo di crescita sulla base della strategia delle 3R, un modello di sviluppo basato sulla Riduzione, Riuso, e Riciclo delle risorse naturali (Reduce, Reuse, Recycle), lanciato dal Giappone nel 2004, che rende l'approccio (dichiarato) cinese coerente con quello occidentale.
Gli effetti sganciamento o l'implementazione della strategia delle 3R necessitano di un adeguato progresso tecnico, la dinamica del quale risponde alla logica del mercato ossia ai prezzi di mercato. Nelle attuali circostanze di forte e crescente domanda di energia mondiale, per es., si creano gli incentivi per produrla attraverso fonti diverse a seconda della loro disponibilità e dei loro prezzi di mercato. Tanto più alto è il prezzo di una fonte di energia, tanto maggiore sarà la spinta a investire in ricerca per sviluppare fonti alternative, più abbondanti o più a buon mercato. In questo caso il prezzo di mercato dà il segnale giusto indicando la scarsità crescente della fonte e spingendo verso tecnologie alternative (tecnologie di backstop). Vi sono però casi in cui i prezzi di mercato non danno i segnali corretti (perché non includono le esternalità) oppure non esistono. Quando la domanda di merluzzo atlantico, per es., aumenta (caso molto studiato) l'espansione della capacità di pesca dei pescherecci per soddisfarla, non deriva da un'evoluzione desiderabile del progresso tecnico perchè esso, aumentando l'efficienza del fattore produttivo lavoro, riduce la capacità di riproduzione della risorsa (merluzzo) e dunque ne accelera l'estinzione. Il progresso tecnico non sempre aiuta spontaneamente la sostenibilità, anzi a volte la ostacola (pesca oceanica, foreste), e in questi casi l'intervento pubblico è necessario per riorientarlo verso un'evoluzione compatibile con il benessere sociale.
Altri indicatori, generalmente basati sul criterio di sostenibilità debole, sono stati elaborati per verificare se un Paese stia effettivamente percorrendo un sentiero di sviluppo sostenibile. Tali sono il genuine saving di Atkinson, l'ecological footprint di Wackernagel e tutti quelli che possono ottenersi dalla 'contabilità verde' intendendo con ciò le proposte di revisione dei metodi di contabilità nazionale per tener conto dello stato dell'ambiente e delle risorse naturali. Lo scopo ultimo è quello di pervenire a un PIL corretto, in senso ambientale (Environmental adjusted domestic product). Le Nazioni Unite hanno proposto nuove metodologie per la costruzione di un Sistema satellite di contabilità ambientale ed economica integrata (SEEA 2003), l'UE ha sviluppato una metodologia di supporto nota come SERIEE e l'ISTAT sta producendo la matrice di contabilità integrata all'a. che è conosciuta come NAMEA.
Principi della politica ambientale europea
L'UE, che fino al 1987 (SEA, Single European Act) non annoverava l'a. tra i suoi campi di competenza, e fino al 1992 (Maastricht treaty) non si era ufficialmente posta l'obiettivo della sostenibilità dello sviluppo, ha oggi una propria politica ambientale. Anche se per diversi aspetti, il più importante dei quali è la scelta dell'unanimità dei votanti per la validità delle decisioni, tale politica appare alquanto prudente, per altri sembra ben avviata. Il principio su cui si fonda è quello della sussidiarietà, che implica l'intervento a livello comunitario (il livello di governo più alto) soltanto nei casi per i quali i singoli Stati non siano in grado di assumere e porre in atto le decisioni di protezione ambientale (tipicamente quando queste coinvolgano più di uno Stato). Il principio di sussidiarietà da un lato protegge, per così dire, l'autonomia dei singoli Stati dalle ingerenze non necessarie della Comunità e dall'altro non impedisce che ciascuno Stato attui una politica ambientale più stringente di quella comunitaria (come è avvenuto in Svezia, dove sono state introdotte tasse su carbonio e zolfo). Una volta createsi le condizioni per l'intervento ambientale comunitario, questo segue alcuni criteri specifici espressamente dichiarati e il cui contenuto è intuitivo. Tali sono il polluter pays principle (chi inquina paga), forse il più noto; il precautionary principle e il preventive principle e, per alcuni aspetti, il più importante, l'integration principle. Secondo questo principio la politica ambientale, e dunque gli obiettivi di qualità dell'ambiente e di sostenibilità, devono essere integrati nelle singole politiche comunitarie. In altri termini, quando si prendono decisioni di politica dei trasporti, di politica agricola, di politica energetica ecc., gli aspetti ambientali devono essere considerati all'interno dell'analisi costi/benefici del progetto.
Infine, rispetto alle scelte tecnologiche, la Comunità ha deciso di attenersi al principio della "migliore tecnologia disponibile che non comporti costi eccessivi" (BATNEEC, Best Available Technology not Entailing Excessive Costs). Tale posizione è stata a lungo discussa perché il criterio dell'obbligo di usare la "migliore tecnologia disponibile" (BAT) indipendentemente dal costo, sarebbe stato molto più coerente con gli obiettivi di protezione e sostenibilità. L'indebolimento del principio con la considerazione dei costi, da un lato rinvia al problema della scarsa coerenza tra le dichiarazioni e le azioni quando si tratta di sostenere il costo della protezione ambientale e dall'altro allunga i tempi del conseguimento dei benefici.
Infine, sono state varate varie importanti direttive tra cui la direttiva quadro sull'acqua e le tre sull'energia. La direttiva sull'acqua (nr. 60/2000, Water framework directive) pone le basi per migliorare l'efficienza nel suo uso tra i settori (agricoltura, industria, civile) e al loro interno, introducendo anche nel settore idrico la logica della copertura di tutti i costi, privati e sociali mediante il prezzo. Le direttive sull'energia riguardano: la nr. 77/2001 le fonti di energia rinnovabili; la nr. 87/2003 il sistema di Emission trading; la nr. 101/2004 i loro collegamenti Linking directive. La prima persegue lo scopo di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, la seconda ha l'obiettivo di mettere in funzione il mercato del carbonio attraverso lo scambio dei diritti di emissione negoziabili e la terza quello di collegare le altre due. Una quarta direttiva, infine, sul risparmio energetico non è ancora stata approvata.
Problemi di implementazione dei trattati: il caso protocollo di Kyoto
Secondo il protocollo di Kyoto del 1997 (ripreso nella conferenza delle parti a Johannesburg nel 2002), i Paesi sviluppati e le economie in transizione si sono impegnati a ridurre, entro il 2008-2012, le emissioni di gas a effetto serra (5, dei quali il principale è la CO2) mediamente e complessivamente del 5% rispetto a quelle del 1990. L'entrata in vigore del protocollo necessitava la ratifica di 55 Paesi sottoscrittori le cui emissioni complessive fossero almeno il 55% del totale. La mancata ratifica degli USA, motivata dall'inclusione di Cina e India tra i Paesi in via di sviluppo senza impegni di riduzione delle emissioni, ha ritardato l'entrata in vigore che è avvenuta soltanto nel febbraio 2005, in seguito alla firma della Russia. In effetti se i Paesi firmatari non trasferiscono nella propria legislazione interna gli impegni presi, non vi è modo di costringerli. Nel luglio 2005 è stata annunciata la stipula di un patto (contro Kyoto, per alcuni; Kyoto secondo, per altri) tra sei Paesi, USA, Cina, Giappone, Australia, India e Corea del Sud, per ridurre le emissioni di gas serra mediante lo sviluppo di tecnologie 'pulite', ma senza sacrificare lo sviluppo. Durante il periodo di inefficacia del protocollo, la Comunità europea è andata avanti nel suo spirito elaborando le direttive sull'energia menzionate sopra e mettendo in funzione tre strumenti (meccanismi flessibili) ideati per il raggiungimento degli obiettivi posti dal protocollo: Joint Implementation (JI), Clean Development Mechanism (CDM) ed Emission Trading (ET). Il JI e il CDM permettono ai Paesi elencati nell'Allegato i del protocollo, Paesi industrializzati ed economie in transizione, di ridurre le emissioni attraverso la realizzazione di 'progetti' a ciò finalizzati, da localizzare liberamente in uno qualsiasi dei Paesi elencati consentendo con ciò la scelta sulla base economica dei costi. Poiché l'obiettivo è quello di ottenere il 'bene pubblico' riduzione delle emissioni totali, il luogo è del tutto irrilevante, e ciò consente di ottenere il risultato al più basso costo (flessibilità).
L'ET è un sistema di diritti di emissione negoziabili che permette, a determinate condizioni, gli scambi tra soggetti diversi. La direttiva linking consente poi di legare i meccanismi basati su progetti al meccanismo dell'ET mediante il riconoscimento e la certificazione di titoli provanti i risultati positivi dei progetti realizzati. Quanto tutto ciò sarà efficace per il raggiungimento degli obiettivi fissati a Kyoto non si può ancora sapere; si ha però motivo di ritenere che essi non saranno raggiunti, perché, nonostante il buon funzionamento mostrato da questi recenti meccanismi europei, gli obiettivi quantitativi sono troppo limitati. Complica inoltre il quadro il fatto che la Russia, che ha peraltro consentito al trattato di entrare in vigore, sarà venditrice di permessi e non in quanto abbia adottato tecnologie più pulite, ma perché la minore produzione che si è accompagnata alla transizione verso l'economia di mercato ne ha ridotto le emissioni rispetto a quelle del 1990. Infine, agli inizi di dicembre 2005 i Paesi ratificatori del protocollo di Kyoto si sono nuovamente riuniti, a Montréal, per verificare i risultati raggiunti e, soprattutto, per decidere con quali obiettivi e quali strumenti procedere alla scadenza del protocollo indicata nel 2012.
L'obiettivo del decoupling sembra avvicinarsi se si guarda all'efficienza energetica, ma allontanarsi quanto alla produzione dei rifiuti solidi e alle emissioni di CO2.Tutto ciò fa pensare che si stia prendendo tempo spostando in avanti il limite della sostenibilità piuttosto che iniziando seriamente a risolvere i problemi ambientali. In termini di disponibilità di risorse naturali per le generazioni future, molto dipende dalla sostituibilità e dal progresso tecnico, che può consentire notevoli risparmi di materie prime grazie all'innovazione o a un decrescente rapporto energia/prodotto, ma può anche accelerare il depauperamento delle foreste e il rischio di estinzione di alcune specie ittiche oceaniche.
L'esplosione demografica, il circolo vizioso deterioramento ambientale-povertà e l'estrema lentezza dei Paesi ricchi nel prendere atto dei problemi ambientali e nel destinare risorse alla loro soluzione rappresentano pericoli concreti per la qualità dell'a. e la disponibilità delle risorse naturali globali.
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