AMAZZONIA
Regione geografica dell'America Meridio nale, che corrisponde alla zona equatoriale, calda e umida, domi nio della foresta pluviale, piuttosto che all'estensione del bacino del Rio delle Amazzoni (7 milioni di km2), il grande fiume da cui pur prende il nome e da cui è drenata la maggior parte delle sue terre. Essa occupa un'area prevalentemente pianeggiante, di 6 milioni di km2, che si estende per tre quarti a sud dell'equatore e per un quarto a nord: dalle coste dell'Atlantico alle prime pendici delle Ande e dagli altopiani dello scudo archeano del Brasile centrale ai rilievi di quello delle Guiane, ove comprende gli alti bacini dei fiumi che da questi rilievi (Sierre Pacaraima e Parima) si dirigono verso nord e sfociano direttamente nell'Atlantico, come l'Orinoco. Quest'immensa regione, pari a un terzo dell'America Meridionale, ha appena 12 milioni di ab. circa, ancora concentrati soprattutto sulle rive dei grandi fiumi ove si trovano anche le maggiori città, come Belém do Pará (il primo presidio lusitano a difesa dell'accesso atlantico della regione, che oggi ha circa 1,5 milioni di ab.) e Manaus (nel cuore della regione, raggiungibile con navi oceaniche, che fu la capitale mondiale della gomma alla fine del secolo scorso, e oggi ha circa un milione di ab.).
L'A. è suddivisa tra 9 stati: il Brasile che ne comprende la maggior parte (circa 4,5 milioni di km2), il Perù, la Bolivia, l'Ecuador, la Colombia, il Venezuela, la Guiana, il Suriname e la Guiana Francese. Tra questi stati, salvo la Francia, è stato sottoscritto nel 1978 un trattato di cooperazione, il "Patto amazzonico", allo scopo d'in tegrare fisicamente (soprattutto con la costruzione di strade) ed economicamente la regione e anche a fini geopolitici, contro tentati vi reali e supposti d'internazionalizzazione dell'Amazzonia. Il Pat to dovrebbe però accelerare anche l'integrazione della regione nelle economie dei singoli stati e soprattutto nel sistema economico mondiale: processo che di fatto si è già fortemente intensificato dall'inizio degli anni Sessanta, con il favore delle politiche dei singoli sta ti e spesso con il sostegno della Banca Mondiale; e processo che, soprattutto in Brasile, va producendo nefandi effetti sul piano eco logico (deforestazione e inquinamenti) e sociale (decimazione degli indios, conflitti per l'appropriazione delle terre), con risultati per altro molto discutibili anche per l'economia del paese.
La deforestazione è causata soprattutto dalla formazione di grandi aziende di allevamento molto estensivo, allo scopo di fornire carne a buon mercato all'industria degli hamburger e di altri prodotti alimentari e spesso, in Brasile, solo allo scopo di dimostrare l'occupazione di vasti domini terrieri e vedersene così riconoscere la proprietà. Quel che più preoccupa di tale distruzione, che ha già investito almeno il 10% della superficie forestale, sono soprattutto i suoi crescenti ritmi, specialmente in Brasile ov'è favorita da consistenti incentivi governativi (concessi attraverso la SUDAM, l'Agenzia federale per lo Sviluppo dell'Amazzonia, istituita nel 1966) e dove soltanto nel 1987 sono scomparsi ben 8 milioni di ha di foresta. Questa forma di occupazione procede lungo le costose strade aperte nella foresta: particolarmente lungo quelle che portano da sud a nord, come la Brasilia-Belém, la Cuiabá-Santarém, la Cuiabá-Pôrto Velho-Rio Branco (2735 km sino al confine con il Perù), piuttosto che lungo la Transamazzonica, l'altra lunga ferita (2322 km tra Estreito nel Maranhão e Humaitá, sulla Pôrto Velho-Manaus) che la foresta va però rimarginando e che le piogge e l'intensa erosione rendono spesso impraticabile per lunghi tratti, specialmente tra Altamira e Humaitá. Per queste strade e spesso man mano che la loro costruzione procedeva sono passati gli immigrati che a centinaia di migliaia sono stati attratti, a partire dall'inizio degli anni Settanta, dai progetti governativi di colonizzazione e soprattutto dalla propaganda che ha creato l'illusione che in A. vi fosse un lotto di terra per tutti e che qualsiasi lavoratore senza terra potesse andare comunque a occuparne un pezzo e divenirne così il proprietario. I molti che non hanno ottenuto un lotto coloniale, né il rico noscimento della proprietà della terra occupata, e che evidentemente non avevano i mezzi per acquistarla e spesso neppure i mezzi per ripartire, sono stati costretti a mettere le loro braccia a disposizione di altri oppure spingersi più all'interno all'occupazione di nuove terre, spianando così la strada alle imprese che prima o poi arrivano con un titolo di proprietà (spesso acquistato da grileiros, fabbricatori di titoli falsi o ottenuti con la corruzione). Simile sorte è toccata in seguito e tocca ancor oggi a molti altri lavoratori spinti in A. dalla fame, dalla disperazione e dalle tante false promesse degli appaltatori di braccia (i famigerati gatos) per le grandi aziende che se ne servono essenzialmente per la deforestazione. In altre terre amazzoniche, assieme alla colonizzazione, si è estesa molto la coltura della coca (Perù, Bolivia e Colombia) o il suo traffico (Venezuela).
La costruzione di strade, in Brasile e altrove (per esempio i trat ti della "Marginale", ai piedi delle Ande), ha avuto grande impul so da quando sono divenute chiare le grandi riserve minerarie del la regione. Queste si concentrano soprattutto nei massicci e negli antichi depositi che limitano la depressione amazzonica, ove alcune aree si configurano come province minerarie d'importanza mondiale. La principale è la Serra dos Carajás, tra lo Xingù e il Tocantins nel Pará, dove soltanto le riserve di ematite, stimate in 18 miliardi di t di ferro, costituiscono la maggiore concentrazione di minerali di ferro ad alto tenore (ben il 66%) esistente sulla Terra. Molto importanti sono inoltre i giacimenti di bauxite (Trombetas, Tapajós e Paragominas, sempre nel Pará), di cui l'A. brasiliana detiene un sesto delle riserve mondiali, e quelli, in parte già noti e sfruttati, di cassiterite della Rondônia e Mato Grosso settentrionale, di manganese dell'Amapá. Sempre più ricca si rivela infine la provincia mineraria di Roraima, nei rilievi al confine tra il Venezuela e il Brasile, vale a dire nel territorio degli Yanomami (o Yanoàma), il più numeroso dei popoli indigeni ancora sopravvissuti; in questo territorio vi sono presenze di uranio, torio, cobalto, titanio, oro, diamante e altri minerali rari.
In altri paesi amazzonici, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è avviata l'estrazione di petrolio (ai piedi delle Ande, in Colombia e in Ecuador, e nella bassa selva a nord-ovest di Iquitos, in Perù), mentre in Brasile è stato scoperto solo di recente nella piattaforma continentale. Lo sfruttamento delle risorse minerarie, destinate per lo più all'esportazione, è opera soprattutto di grandi imprese straniere, salvo che nella Serra dos Carajás ove per ora opera solo la Companhia Vale do Rio Doce (statale). I tradizionali garimpeiros, oggi spesso subordinati a qualche notabile locale, si limitano all'estrazione, con tecniche rudimentali, di oro e minerali preziosi, in particolare quando di facile estrazione.
A supporto di grandi progetti industriali, lo stato brasiliano ha avviato un vasto programma di sfruttamento delle immense potenzialità idroelettriche dei fiumi, di cui le prime realizzazioni sono le centrali di Balbina e di Tucuruí. Lo scopo è di fornire energia a buon mercato, vuoi alle industrie siderurgiche e metallurgiche progettate (a Marabá, Tucuruí, Paragominas) e in parte già installate (a Barcarena, presso Belém do Pará, e anche a São Luís do Maranhão, fuori regione, ove sono state create nuove infrastrutture portuali), vuoi allo sviluppo industriale di Manaus, dove con l'istituzione di una zona franca si è installato negli ultimi vent'anni un discreto numero di stabilimenti di assemblaggio di vari prodotti industriali appartenenti a imprese straniere.
In breve, l'A. che per secoli era rimasta essenzialmente rifugio di tribù indigene, occupata solo da presidi militari e da missioni reli giose, e che era riuscita ad assorbire la grande invasione dei seringueiros - i raccoglitori del lattice dell'albero della gomma, immigrati a centinaia di migliaia negli ultimi trent'anni del secolo scorso e nel primo decennio del nostro secolo, soprattutto dal Nord-Est brasiliano − è ora sconvolta da processi di sfruttamento, per lo più di semplice rapina delle sue risorse, i quali colpiscono a morte, irreversibilmente, il suo ecosistema: il più diversificato e complesso ecosistema della Terra, ma anche uno dei più fragili. La gravità di questa questione ambientale, che nell'immediato colpisce soprattutto le comunità indigene ancora sopravvissute (circa 250.000 persone in tutta l'A.), è comprensibile solo considerando l'importanza e le peculiarità dell'ecosistema amazzonico.
Con una superficie pari a 1/25 delle terre emerse del pianeta, l'A. possiede ben 1/3 delle riserve mondiali di foreste dense di latifoglie. Ciò che più rende la foresta amazzonica d'importanza vitale e insostituibile − inducendo a scoraggiare persino la silvicoltura − è il suo enorme patrimonio genetico, dal quale l'umanità ha già attinto fondamentali benefici, in campo farmaceutico. La formazione forestale più tipica − l'alta foresta, sempreverde, eterogenea e multistratificata, che il geografo Alessandro von Humboldt chiamò iléa (dal greco "la zona delle selve") − occupa la terra firme, cioè il territorio non soggetto all'inondazione annuale dei fiumi, e si estende su una superficie di almeno 4,5 milioni di km2.
Con una biomassa di 500 t di materia secca per ha circa, si stima che questa foresta sia responsabile dell'assorbimento del 20% circa del carbonio contenuto sotto forma di anidride in tutta l'atmosfera terrestre. Ai margini dello spazio forestale e ovunque l'umidità si riduce, la foresta tende a perdere in eterogeneità, pur restando floristicamente ileana: tra gli alberi più alti prevalgono le palme (soprattutto quella del babaçù) o anche la famosa seringueira, l'albero del lattice della gomma (Hevea brasiliensis). Lungo i fiumi − i quali con l'alternarsi della piena e della magra ritmano la vita biologica ed economica della regione e per molti altri aspetti ne regolano l'organizzazione geografica − si trova invece la foresta di varzea, cioè della pianura soggetta ogni anno a inondazione (la quale si distingue dall'iléa sia per la minore diversificazione che per la minore altezza degli alberi degli strati più alti, che non superano i 25 m), mentre nelle depressioni permanentemente allagate, nelle varzeas e anche nella terra firme, si trova la foresta d'igapò, regno delle orchidee, dei prati galleggianti e di ninfacee come la Victoria regia. Le varzeas occupano una porzione dello spazio regionale piccola, ma importante e la più antropizzata, specialmente quella del medio e basso Amazzoni, larga dai 20 ai 100 km. A differenza della terra firme, i cui terreni sono in genere poveri e di per sé non consentono la coltivazione che per 1 ÷ 2 anni, la varzea è ricoperta ogni anno da un nuovo sottile strato di suolo più o meno ricco di sostanze nutritive che ne rigenerano la fertilità. L'abbondanza delle acque dei fiumi è un altro elemento distintivo della regione; la portata dell'Amazzoni in magra è di 100.000 m3/sec e in piena è sui 300.000 m3/sec, una quantità che è tra 1/5 e 1/6 della massa d'acqua che i fiumi della Terra portano tutti assieme ai mari e agli oceani.
L'"inferno verde" e i grandi corsi d'acqua che lo solcano, suddividendolo spazialmente ma omogeneizzandolo biologicamente, sono certo soprattutto una conseguenza del clima. L'impenetrabile iléa si deve particolarmente ai valori elevati e pressocché costanti tutto l'anno sia del calore che dell'umidità (sopra l'80%). Questa seconda condizione discende non tanto dalle abbondanti precipitazioni annue, quanto dalla mancanza di una stagione secca: alcuni mesi (in genere meno di tre) piove molto meno, ma è ben raro che il periodo secco raggiunga un mese, a eccezione di aree marginali dove mediamente piove anche meno. Quel che più importa tener presente di questo regime pluviale è che esso non dipende solo da condizioni macroclimatiche, cioè dal vapore acqueo dell'Atlantico portato dagli alisei, ma dipende in larga misura dalla densa foresta di latifoglie che copre la terra con continuità. È infatti l'intensa evapotraspirazione della foresta che attenua fortemente le differenze stagionali delle precipitazioni. L'acqua piovana che cade sulla foresta − per lo più sotto forma di acquazzoni improvvisi e di breve durata − ritorna così per una metà circa (com'è stato calcolato nella zona di Manaus) all'atmosfera, ove forma enormi e caratteristiche nubi funghiformi, si condensa e ritorna sulla terra.
Questa retroazione tra la foresta e la pioggia (ma anche altri aspetti del clima), che è alla base dell'intero ecosistema amazzonico, rende evidente che la deforestazione in atto, se non verrà regolata e bloccata per tempo, determinerà un mutamento climatico che non solo accelererà la distruzione di tale prezioso ecosistema, ma avrà ripercussioni sull'intero pianeta.
Bibl.: E. Salati, M.G. Ribeiro, Floresta e clima, in Acta Amazonica, 1979, ix, suppl., n. 4, pp. 15-22; B.A. dos Santos, Amazônia: potencial mineral e perspectivas de desenvolvimento, San Paolo 1981; CONAGE (Coordenaçao Nacional des Geólogos), Em busca do ouro. Garimpos e garimpeiros no Brasil, ivi 1984; H. Sioli, Amazônia. Foundamentos da Ecologia da major região de florestas tropicais, Petrópolis 1985; V. Valverde, Grande Carajás: planejamento da destruiçao, Rio de Janeiro 1989.