DANIO, Amato
Nacque a Saponara, ora Grumento Nova in provincia di Potenza, il 18 ott. 1619 da ricca famiglia gentilizia. Giovanissimo, fu condotto a Napoli a frequentare il corso di lettere superiori. In questi anni approfondì lo studio dei classici greci e latini e dei testi di filosofia, teologia e diritto. Laureatosi in legge, tenne per oltre un cinquantennio scuola di diritto ed esercitò per qualche tempo l'avvocatura. Ma la professione forense non era la più adatta alla sua natura: la balbuzie e la timidezza non gli procacciarono, troppi successi. Tuttavia, ferratissimo in giurisprudenza, nella vecchiaia finì per entrare nell'Ordine giudiziario. Non abbandonò mai lo studio dei classici e, appassionato ricercatore di documenti interessanti la storia del suo paese, accolse, nella sua ricca biblioteca, i giovani che da Saponara e dai paesi vicini giungevano a Napoli per completarvi la propria educazione. Insieme a costoro approfondì lo studio delle fonti letterarie sulla antica Lucania, cercando di identificare, attraverso le opere di Orazio, Virgilio, Lucano, Silio Italico, Pomponio Mela, Claudio Tolomeo, siti e località ormai scomparsi. Tradusse le parti della Geografia di Strabone dedicate alla regione (Geografia dell'antica Lucania di Strabone tradotta dal greco in italiano idioma; il ms., oggi disperso, era conservato, ancora nel 1873, nella Biblioteca del convento dei cappuccini di Saponara).
In anno incerto fu nominato giudice della Gran Corte della Vicaria e nel giugno del 1690 promosso regio consigliere al posto di Francesco D'Andrea passato alla carica di avvocato fiscale della Regia Camera. Ed insieme a Francesco D'Andrea, Nicolò Caravita, Pietro di Fusco, Serafino Biscardi, fu tra i protagonisti, seppur dei minori, e con diversa sensibilità culturale e consapevolezza dei mutamenti che si stavano verificando a Napoli, della battaglia che il ceto intellettuale e forense conduceva in quegli anni per l'esclusione dal Regno del tribunale del S. Offizio e per la difesa della giurisdizione reale contro gli arbitri inquisitori.
All'indomani degli arresti abusivi nel famoso processo contro gli "atomisti", il D. intervenne nella polemica con una memoria che, probabilmente iniziata nell'autunno del 1692, era sicuramente terminata nel 1693 (L'antichità dell'officio della S. Inquisizione contro l'eresia, l'utilità che ne hanno ricevuto, e ricevono gli stati del Cristianesimo, le avversità accadute così in generale, come in particolare, a Prencipi ed a privati li quali invece di favorire proteggere e difendere l'Inquisizione e gli Inquisitori, gli hanno maltrattati e impedito il loro esercizio. Raccolte dal Dottor Amato Danio Regio Consigliere per sua Maestà Cattolica nel Consiglio di Santa Chiara o sia di Capuana nel Regno di Napoli, ms. in Napoli, Biblioteca della Soc. Napoletana di st. patria, XXIII. D. 6, ff. 130r -175v).
Con argomentazioni di carattere storico-giuridico e sociale, il D., pur condannando gli eccessi di severità degli inquisitori e denunciando gli abusi reali, le esorbitanze e le malversazioni che prosperavano sotto la copertura della difesa della fede, sosteneva la legittimità e, perfino, l'utilità di quel tribunale anche sotto l'angolo visuale degli interessi di Stato. Per il D. era vero che il nome dell'Inquisizione destava orrore ed aveva provocato tumulti nelle Province Unite; tuttavia, per quanto duro, il tribunale aveva avuto grandi meriti nel porre fine alle eresie ed ai disordini che esse arrecavano agli Stati. La Chiesa aveva diritto di difendersi dall'eresia così come lo Stato dai delitti di lesa maestà. Grazie al tribunale la Spagna aveva evitato "l'esecrabili et orribili sollevationi de' popoli, e rivolgimenti di Stato" e l'Italia il diffondersi dell'eresia. Non era quindi con l'abolizione del S. Offizio che si potevano evitare gli eccessi di severità, ma solo con la prudenza degli Inquisitori.
Posizione moderata, questa del D., rispettosa della tradizione e dell'obbedienza, tanto da parere ufficiosamente esprimere, ispirata o meno che lo fosse, il parere del vicerè e del Consiglio collaterale e da essere notata con compiacimento dal corrispondente toscano a Napoli, il gesuita Berardi che, il 24 luglio del 1693, così scriveva: "mi ha detto il S.r. Principe di Ottaiano, che dal S.r. regio Consigliere Amato Danio, huomo de' più savii, e pij, essere stato formato una scrittura, in forma di lettera, nella quale, sostiene il Tribunale del S.O., e ributta le opposizioni fatte in contrario" (Arch. di St. di Firenze, Mediceo 1601).
Giureconsulto assai stimato, il D. fu considerato un "giusto esecutore della giustizia". Della sua attività di magistrato le cronache dell'epoca si occuparono in due sole occasioni, quando nel maggio del 1698 due procuratori legali, recatisi a casa di lui per i cosiddetti "informi" ebbero, nel cortile, un diverbio terminato con alcuni colpi di bastone. Il processo contro il bastonatore, assegnato dal viceré Medinaceli alla Gran Corte della Vicaria, fu a questa conteso dal Sacro Regio Consiglio che pretendeva trattarsi di un caso di propria competenza, essendosi il fatto verificato presso l'abitazione di un suo consigliere. Più serio incidente occorse al D. nel febbraio del 1701, quando alcuni servitori della sua famiglia, accusati di aver favorito la fuga di un pregiudicato, vennero incarcerati. Il D. fu sottoposto ad inchiesta e dovette far pervenire una giustificazione preso il Consiglio d'Italia a Madrid che lo assolse pienamente (Nota di fatto e ragione nel Supremo Consiglio d'Italia, ms. disperso); ciò nondimeno, amareggiato, ormai vecchio, chiese la giubilazione, concessagli nel settembre del 1703.
Il D. prese anche parte al dibattito sul problema della successione spagnola. Nel 1702 pubblicò un'operetta in cui sosteneva le ragioni di Filippo V alla successione del regno di Spagna (Dissertatio de iure succedendi serenissimo Regi Catholico Carolo II in Hispanam Monarchiam, Neapoli 1702). E l'anno seguente tornò sull'argomento con un Ragionamento, apposto alla scrittura del 1702, che segnò l'inizio della campagna, combattuta per quasi tutto il sec. XVIII, contro il supremo dominio feudale vantato dalla corte pontificia sul Regno (Discorso delle ragioni della Sacra Cattolica Reale Maestà di Filippo V alla successione della Monarchia di Spagna, aggiuntovi un ragionamento intorno all'investitura del Regno di Napoli, Napoli 1704). Il carattere internazionale della questione permise al D. di toccare più direttamente il nodo di tutti i contrasti con Roma, sostenendo, sia pur non esplicitamente, l'insussistenza del diritto papale e la piena sovranità di Filippo V su tutto il suo dominio.
Un secolo più tardi, così Eleonora de Fonseca Pimental giudicherà l'opera: "sebbene il Consigliere Danio facesse in quel capitolo più la causa del Re che del Regno e più pensasse a sostenere il Sovrano che la sovranità, ed assai timidamente, e sempre con religioso rispetto ardisse parlare delle pretensioni pontificie, pure lasciò chiaramente scritto, che tale riconoscimento di Superiorità, quantunque si chiami volgarmente feudale, nulla però toglie né alla Maestà del Regno, né alla Giurisdizione legale, ed ai diritti, giurisdizioni, e ragionamenti che vanno annesse alla assoluta potestà; e conchiuse ch'essendo questi Regni ereditari bastasse al legittimo successore di averne richiesta l'investitura poco mutando, se gli venisse o no conceduta. Il che dobbiamo stimare come il primo passo per vederla rigettata" (E. de Fonseca Pimental, Il Monitore repubblicano del 1799, a cura di B. Croce, Bari 1943, pp. 241 s.).
Il D. scrisse, inoltre, le Riflessioni su d'un trattato delle cerimonie chinesi conformi all'idolatria greca e romana (Palermo 1701).
Amico e frequentatore del circolo del Valletta, diede a Costantino Grimaldi lezioni di storia ecclesiastica, ed a lui F. Gemelli Careri indirizzò le sue lettere di viaggio.
Morì a Napoli il 22 ott. 1705.
Fonti e Bibl.: V. Confuorto, Giorn. di Napoli dal 1679 al 1699, a c. di N. Nicolini, Napoli 1930, II, ad Indicem; L. Giustiniani, Mem. istor. degli scrittori legali del Regno di Napoli, Napoli 1787, I, pp. 282 ss.; L. Amabile. Il S. Officio dell'Inquis. in Napoli, Città di Castello 1892, passim; G. Iosca, La Lucania e gli studi giuridici nei secc. XVI e XVII, Potenza 1902, pp. 26-29; N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento. Francesco D'Andrea, Napoli 1923, pp. 174 ss.; L. Marini, Pietro Giannone ed il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, pp. 54-57; T. Pedio, Storia della storiografia lucana, Bari 1964, pp. 49 ss., 58; V. I. Comparato, G. Valletta. Un intellettuale italiano della fine del '600, Napoli 1970, pp. 153 ss.; G. Galasso, Napoli nel Viceregno spagnolo dal 1696 al 1707, in Storia di Napoli, VII,Napoli 1972, pp. 1-346, passim; L. Osbat, L'Inquisiz. a Napoli, Roma 1974, pp. 148-153; A. Lauro, Il giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di Napoli. Problemi e bibliografia (1563-1723), Roma 1974, ad Indicem.