amare
Come i sostantivi ‛ amore ', ‛ amante ' e ‛ amanza ' (v.), anche il verbo non ha per lo più sfumature moralmente negative (o di lasciva) presso D.; è quindi sintomatico che la sua frequenza nella prima cantica - regno dell'odio - sia limitata a due soli episodi (lf II 104 e V 103, che sembrano però legati ad altra e non infernale atmosfera), mentre gli altri 33 casi della Commedia si dividono equamente fra la seconda e la terza (17 e 16 ricorrenze); ma si esplica attraverso un'amplissima scala e fenomenologia semantica (soprattutto nel Convivio) offrendo già quasi tutte le possibilità e gamme di accezioni acquisite all'uso moderno, anzi talune in più, ormai perente in quanto sposate a concezioni tipicamente medievali.
1. Nell'universale significato (legato all'uso transitivo, attivo e passivo) di " nutrire affetto profondo per uomo o donna ", " provare passione per una persona di sesso diverso ", " essere innamorato ", si ritrova una volta sola - fatto estremamente significativo - nella prosa della Vita Nuova (XVIII 3 A che fine ami tu questa tua donna...?); spesso invece nelle Rime, con determinazione avverbiale: L 15 e 40, XC 59, XCI 26; anche con ellissi dell'oggetto, CVI 15; e col complemento d'agente, CVI 140. Con riferimento alle antiche rime della ‛ loda ' in Cv III I 4; e nella Commedia, a indicare il complesso sentimento e slancio intellettuale di D. per la sua donna (e insieme il superamento dell'esperienza stilnovistica) in If II 104 ché non soccorri quei che t 'amò tanto, / ch'uscì per te de la volgare schiera? Nelle Rime dubbie: XVIII 4, XX 5, XXII 2, XXIV 5, XXVI 9; meno banalmente nella sestina apocrifa (cfr. Debenedetti, Nuovi studi, pp. 49-69; ma tra le autentiche in Fraticelli e Moore) Gran nobiltà mi par vedere all'ombra 23: ella sola, cui io amo all'ombra, / com'augelletto sotto foglia verde. Nel Fiore, con implicazioni cavalleresche e sensuali insieme (‛ ben ' o ‛ fin a. ', ‛ a. a fede ', ecc.): XVIII 2, XXII 7, XXXVIII 1, XXXIX 1 e 6, XLV 12, XLVI 13, XLIX 9, LIV 1 e 4, LX 12 e 13, LXI 1, 5 e 13, LXVI 4, LXXII 7, CXXXV 7, CL 14, CLVIII 4-8 (qui l'accavallarsi delle forme di a. è proprio dell'estremismo stilistico dell'operetta: I' lodo ben... / che 'l bel valletto, che /... hatti amata di gran tempo antico, / che tu sì l'ami: ma tuttor ti dico / che tu no ll'ami troppo fermamente; / ma fa che degli altr'ami saggiamente, / ché 'l cuor che n'ama un sol, non vai un fico), CLXVI 14, CLXIX 9, CLXX 1 e 9, CLXXIV 8, CLXXXI 5 (due volte), CLXXXVI 14, CXC 4, CCII 11, CCXXII 9. E nel Detto 34, 141, 232. Un avvio colloquiale alla problematica dell'amor cortese in Rime dubbie XIX 5-6, un indugio su certa tematica stilnovistica in XVI 5 e XXVIII 12; in If V 103 vale invece a esprimere un affetto terreno, anzi fisico e carnale, quantunque nobilitato nell'alone di un ideale cortese, in quell'appassionata affermazione di Francesca Amor, ch'a nullo amato amar perdona: dove a. sta, reduplicato, in accezione binaria, cioè insieme con funzione assoluta all'infinito per " riamare ", e con funzione ellittica (di implicita relativo-suppositiva) al participio passato per " chi è " (come in Rime XLII 13) o " chi venga amato " o, con valore di sostantivo, " la persona amata " (addirittura triplicato in Rime XLIV 9, 10 e 11). Ma già all'esordio dell'ultimo libro del Convivio D. aveva offerto una formulazione dell'amore che si distaccava perentoriamente, per complessità di nessi culturali oltre che sentimentali e ideologici, dalla canonica definizione di Andrea Cappellano: Amore... è che congiunge e unisce l'amante con la persona amata... E però che le cose congiunte comunicano naturalmente intra sé le loro qualitadi... incontra che le passioni de la persona amata entrano ne la persona amante... Per che li amici de l'uno sono da l'altro amati, e li nemici odiati (IV I 1-2). E ribadiva l'assunto programmatico nei confronti della Donna gentile (cioè la Filosofia): Onde io, fatto amico di questa donna... cominciai ad amare e odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai adunque ad amare li seguitatori de la veritade e odiare li seguitatori de lo errore e de la falsitade (I 3).
2. Regolarmente transitivo, può dunque designare un generico affetto umano, il sentimento cordiale che anima e muove gli animi probi o nobili, la benevolenza che lega fra loro gli uomini in un vincolo fraterno o in una civile solidarietà: Pg XV 105 Che farem noi a chi mal ne disira, / se quei che ci ama è per noi condannato ?; o anche XIII 36 Amate da cui male aveste, dove si rende l'evangelico " Diligite inimicos vestros " (Matt. 5, 44) e il verbo quindi sconfina nel significato di " ricambiare a qualcuno bene per male ". Così (ma con riflessivo reciproco, e sarcasticamente) in Pg VI 115 Vieni a veder la gente quanto s'ama!; in altro luogo ( Cv IV IV 4) esso s'allarga a comprendere la concordia che deve unire i ‛ vicini ' sotto un solo imperatore, lo quale... li regi tegna contenti ne li termini de li regni, sì che pace intra loro sia, ne la quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino; ovvero segnare i pericoli delle maladette ricchezze (XIII 9), ché, possedendo quelle, larghezza non si fa, che è vertude... la quale fa li uomini splendienti e amati, cioè " onorati " (§ 14: participio con valore quasi di aggettivo). Anche in Fiore XXXIX 3, nel discorso di Ragione, ch'i' vo' ben che tu ami il mondo tutto; e CCXXXI 3, nel ringraziamento ai suoi benfattori di Amante, e più gli amo oggi ch 'i' non feci mai.
Più specificamente (vedi AMICIZIA; AMICO), a. si riferisce a un rapporto affettuoso fra amici, in Pg II 88-89 Così com'io t'amai / nel mortai corpo, così t'amo sciolta, e in Pd VIII 55 Assai m'amasti, e avesti ben onde; ma già in Rime LXIII 9 e in Cv I I 8, qui con allusione al naturale affetto per il prossimo, ciascuno amico si duole del difetto di colui ch 'elli ama. Oppure collabora a definire il concetto di ‛ amicizia ' (a conferma dello stretto legame in D. delle due nozioni), in III XI 8 quelli si dice amico la cui amistà non è celata a la persona amata e a cui la persona amata è anche amica, sì che la benivolenza sia da ogni parte; e consente l'aggancio con la definizione di ‛ filosofo ': come la vera amistà de li uomini intra sé è che ciascuno ami tutto ciascuno, che 'l vero filosofo ciascuna parte de la sua sapienza ama, e la sapienza ciascuna parte del filosofo. Ivi anche la citazione della ‛ auctoritas ' conclusiva: Onde essa Sapienza dice ne li Proverbi di Salomone: " Io amo coloro che amano me " (XI 12); mentre poco appresso si ribadisce tale rapporto con insistenza pregnante (si tratta di un tema centrale dell'opera, di una ‛ scoperta ' che esaltava l'animo di D.): Filosofia è quando l'anima e la sapienza sono fatte amiche, sì che l'una sia tutta amata da l'altra (XII 4). Ironicamente invece in Fiore CVI 5, CXCIV 11.
Per naturale estensione il verbo ci adduce al debito affetto che unisce marito e moglie (tema del resto non molto urgente alla fantasia e alla moralità dantesca): in Pg VIII 73, dove anzi il giudice Nino pronuncia un'amara condanna del sesso femminile, Non credo che la sua madre più m'ami; e XXIII 92, dove in bocca a Forese è posta la palinodia degl'insulti giovanili contro la Nella, la vedovella mia, che molto amai. In Pd X 141 ne l'ora che la sposa di Dio surge / a mattinar lo sposo perché l'ami, a. è invece riferito alle mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa.
Ancora, a. può denotare una delle qualità intrinseche della gioventù, cioè l'affetto verso chi in qualsiasi modo sia degno di omaggio o rispetto: conviensi amare li suoi maggiori, da li quali ha ricevuto ed essere e nutrimento e dottrina, sì che esso non paia ingrato; conviensi amare li suoi minori, acciò che, amando quelli, dea loro de li suoi benefici ( Cv IV XXVI 10). Altrove, per l'ultima età della vita, il senio, D. parafrasa con commosse parole un celebre luogo di Cicerone: Odi che dice Tullio, in persona di Catone vecchio: " A me pare già vedere e levomi in grandissimo studio di vedere li vostri padri, che io amai... " (XXVIII 6).
Senza scarto semantico, a. esprime anche l'affettuoso rispetto o (in endiade) il caro spirito d'obbedienza del figlio per la madre, in Pd XXVII 133 e tal, balbuzïendo, ama e ascolta / la madre sua. In senso figurato, nella canzone apocrifa O patria degna di trionfal fama 4 (fra le autentiche in Fraticelli e in Moore): Qual è de' figli tuoi, che in onor t'ama, / sentendo l'opre ladre / che in te si fanno, con dolore ha onta; e 36 E a que' che t'aman più, più fai mal piglio. O al passivo, nella forma del participio passato già svariante nell'orbita dell'aggettivo, è detto per similitudine di affetto materno trasferito in un mite animale, cui le fronde sono amate (Pd XXIII 1) " per gli figliuoli che esso uccello vi ha nidificati" (Ottimo); o di affetto paterno per i figli primogeniti, perché più propinqui, più amati ( Cv I XII 7), dove il parallelismo con propinqui riduce a ben poco il valor verbale. In Fiore, richiamando per un amore reale un fittizio rapporto di parentela, e si mi piace / tanto ch'i' l'amo più che padre figlio (XXXVI 8); s'i' l'amo, i' l'amerò come mi' frate (CXCVI 4); nel Detto (49 e 399), designando la predilezione di Amore per i suoi fedeli.
Ci porta invece a metà fra senso emblematico e reale, seppur lontanato su di uno sfondo mitico, l'amato alloro di Pd I 15, dunque " oggetto di amore ", ma con accezione progredita verso la fase aggettivale, cioè " caro ", " diletto ": che è la gloria dell'arte e della poesia auspicata da D. per la fatica del capolavoro (cfr. Eg II 48-50 e Pd XXV 1-9), e insieme Dafne, la ninfa bramata da Apollo, invocato come simbolo stesso della poesia e dio pagano protagonista di una leggenda che darà frutti raffinatissimi nel Petrarca e nell'eletta progenie dei poeti dafnei.
3. Sul piano del regno animale e delle sue tendenze, a segnarne la differenza qualitativa dal livello vegetale, ci conduce il passo di Cv III III 5 Li animali bruti hanno più manifesto amore non solamente a li luoghi, ma l'uno l'altro vedemo amare; mentre nell'ambito di una vasta teorica (delucidata in Pd I 103-141) si colloca il ragionamento di III 6 e 10, per la compresenza nell'uomo di tutti gl'istinti inferiori accanto a quello superiore e suo esclusivo: Ché per la natura del simplice corpo... [l'uomo] naturalmente ama l'andare in giuso... Per la natura seconda, del corpo misto, ama lo luogo de la sua generazione, e ancora lo tempo... E per la natura quarta, de li animali, cioè sensitiva... ama secondo la sensibile apparenza.
In un luogo successivo vale invece a significare l'egoistico amore di ogni creatura a sé stessa, quel comune istinto di conservazione che D. chiama grecamente ‛ hormen ', cioè appetito d'animo naturale... ogni animale, sì come elli è nato, razionale come bruto, se medesimo ama, e teme e fugge quelle cose che a lui sono contrarie (IV XXII 5). Poi, affisando lo sguardo sulla situazione propria dell'uomo (cfr. XII 15-17 e Pg XVI 85-93) e sul graduale estendersi del suo orizzonte sensitivo e spirituale, in questa anabasi dell'amore come istinto: Dico adunque che dal principio se stesso ama, avvegna che indistintamente; poi viene distinguendo... e più e meno, secondo la conoscenza distingue non solamente ne l'altre cose, che secondamente ama, ma eziandio distingue in sé, che ama principalmente. E conoscendo in sé diverse parti, quelle che in lui sono più nobili, più ama quelle; e con ciò sia cosa che più [nobile] parte de l'uomo sia l'animo che 'l corpo, quello più ama. E così, amando sé principalmente, e per sé l'altre cose, e amando di sé la migliore parte più, manifesto è che più ama l'animo che 'l corpo o che altra cosa: lo quale animo naturalmente più che altra cosa dee amare. Dunque, se la mente si dil[et]ta sempre ne l'uso de la cosa amata, che è frutto d'amore, [e] in quella cosa che massimamente è amata è l'uso massimamente dilettoso, l'uso del nostro animo è massimamente dilettoso a noi (XXII 7-9): un passo bilicato sull'inebriata replicazione di alcune parole-chiave (tra cui a., ripetuto ben nove volte), a segnare le tappe della conquista di una verità in lente pause meditative che vanno ascendendo in un climax di severa ebbrezza concettuale.
Assoluto, con omissione dell'oggetto, si distende al valore di " essere amorevole " (al prossimo), " dimostrare una disposizione affettuosa ", in Pd XVII 105 persona / che vede e vuol dirittamente e ama; analogamente, per " esser dotato di carità ", " possedere questa con le altre virtù cardinali ", in XXIV 40 S'elli ama bene e bene spera e crede, cui accoderemmo più v'è da bene amare, e più vi s 'ama (Pg XV 74). Così, il cerchio che più ama e che più sape (Pd XXVIII 72) è quello eccelso dei Serafini, in quanto gerarchia angelica maggiormente vicina a Dio per ardore intellettuale.
Un uso particolare emerge da Cv I X 6, dove lo naturale amore che muove l'amatore a tre cose, tra le quali l'una si è a magnificare l'amato, è quello di ogni uomo per la propria loquela, cioè - dice ancora D. - lo nostro volgare, lo qual naturalmente e accidentalmente amo e ho amato (di qui parte il Pézard per giustificare la ‛ violenza ' di Brunetto come mancanza di affetto naturale alla lingua materna). Allo stesso sentimento D. si riferisce con la dittologia amato e commendato (XII 12, 13); un analogo nesso e istituito per la donna gentile (III I 4).
Un altro valore, connesso al linguaggio della scolastica, si verifica nella contrapposizione fra atto che vede e quel ch'ama, cioè " visione " e " amore " (Ottimo), in Pd XXVIII 110-111: nella beatitudine, l'una condizione necessaria dell'altro, " quia naturaliter actus intellectus praecedit actum voluntatis " (Serravalle). A quest'ultimo allude Virgilio precisando la natura d'amore " come generica inclinazione " (Sapegno), animo... creato ad amar presto (Pg XVIII 19); ma anche, passivamente, così l'animo preso entra in disire, / ch'è moto spiritate, e mai non posa / fin che la cosa amata il fa gioire (v. 33); come in Cv III II 3 Amore... non è altro che unimento spirituale de l'anima e de la cosa amata; e, di nuovo all'attivo, E questo unire è quello che noi dicemo amore, per lo quale si può conoscere quale è dentro l'anima, veggendo di fuori quelli che ama (II 9); o, con allargamento a una visione generale distinta da l'amore de l'anima, l'amore universale che le cose dispone ad amare e ad essere amate (VIII 13). Più specificamente, indica la connaturata tendenza dell'uomo al bene, e quindi massimamente a Dio " sommo bene " (Landino): verso l'essenza infinita più che in altra convien che si mova / la mente, amando, di ciascun che cerne / il vero in che si fonda questa prova (Pd XXVI 35).
4. Uno spostamento semantico di qualche rilievo si avverte piuttosto in alcuni luoghi attestanti il valore di " desiderare " (in senso filosofico), " avere inclinazione o attrazione intellettuale per ", " venerare ", insomma " tendere a entità astratte " (cfr. AMORE): con implicazioni meno elette in Rime LXXXVI 13-14 ch'amar si può bellezza per diletto, / e puossi amar virtù per operare, e Rime dubbie XVI 3; e viceversa con decisiva presa di coscienza in Cv IV I 4 Ma però che ciascuna cosa per sé è da amare... ragionevole e onesto è, non le cose, ma le malizie de le cose odiare. O si tratta di altri e più impegnativi approdi ideologici: la giustizia in Cv I XII 10, lo lume de la [o di] sapienza (IV VI 18 e XVI 1), la veritade (XVI 1), dirittura (XVII 6); e, reciprocamente, tanto l'una con l'altra s'ama, che nobilitate sempre la dimanda, e filosofia non volge lo sguardo suo dolcissimo a l'altra parte (XXX 6); il mal... del prossimo, in Pg XVII 113 e, per l'invidia, 120 onde s'attrista sì che 'l contrario ama; la virtù, in XVI 47 quel valore amai / al quale ha or ciascun disteso l'arco, e XXXI 23 i mie' disiri / ... ti menavano ad amar lo bene / di là dal qual non è a che s'aspiri. In, Fiore XLIII 13 Ragione dice di Socrate: mi credette e amò come saggio; nel Detto 363 Ragion cui poco amo. Il verbo giunge così a indicare il rapporto di sublime devozione verso la patria degli antichi Romani (secondo una topica che avrà enorme fortuna fino a tutto il Rinascimento), in Cv IV V 12 noi troveremo lei essaltata non con umani cittadini, ma con divini, ne li quali non amore umano, ma divino era inspirato in amare lei; o, di contro alla cupidigia umana, il superiore disinteresse del savio: E però l'uomo di diritto appetito e di vera conoscenza quelle [le ricchezze] mai non ama, e, non amandole, non si unisce ad esse (XIII 15). D'altronde a. si trova in D. anche per " tendere, propendere verso ", in una dialettica tramata fra entità astratte, in Cv II VIII 4 ciascuna cagione ama lo suo effetto e, amando quello, salva quell'altro (cioè l'amore che procede dall'effetto stesso).
Più chiaramente il significato di " ardere spiritualmente per ", " nutrire ardore spirituale, religioso, mistico verso ", nell'uso transitivo, emerge da tre luoghi del Paradiso: due attinenti a Francesco e madonna Povertà (XI 63 poscia di dì in dì l'amò più forte; 114 e comandò che l'amassero a fede); l'altro a conclusione dell'esame sulla carità: Le fronde onde s'infronda tutto l'orto / de l'ortolano etterno, am'io cotanto (XXVI 65). Ma anche assoluto, dell' ‛ itinerarium mentis in Deum ': lo raggio de la grazia, onde s'accende / verace amore e che poi cresce amando (X 84); e il Serravalle: " amor ad Deum, dum amatur, semper crescit ". Ellitticamente, in iperbato, d'amar la dolcezza (XXIX 140) ferve e tepe negli angeli in proporzioni diverse a seconda del loro grado di beatitudine. Ancora assoluto, là dove D. designa Venere come Lo bel pianeta che d'amar conforta (Pg I 19), intendendo il verbo in accezione lata, quasi di rapporto spirituale " delle anime del Purgatorio fra di loro e con Dio " (Sapegno).
5. In altri luoghi a. vuoi rispecchiare l'affetto di Dio per le sue creature, che è contemplazione e vagheggiamento da parte del primo Amore (vedi AMORE) della sua stessa opera; un dominio semantico che si accosta a quello di ‛ vagheggiare ' in D. (cfr. Pg XVI 85). Così in Pd X 11, dove a. è appaiato proprio a quel verbo, e lì comincia a vagheggiar ne l'arte / di quel maestro che dentro a sé l'ama, / tanto che mai da lei l'occhio non parte; oppure in Cv III XIV 6, allargandosi invece, con significazione più complessa, a una vastissima immagine dell'armonia d'amore nell'universo: sì come lo divino amore è tutto etterno, così conviene che sia etterno lo suo obietto di necessitate, sì che etterne cose siano quelle che esso ama; e così face a questo amore amare. O sta a indicare una particolare predilezione del cielo per una sua creatura, gran segno è che Dio t'ami (Pg XIII 146); ovvero per una condizione esistenziale rispetto a un'altra, come quella contemplativa di contro all'attiva, manifesto è che questa vita è da Dio più amata: e se ella è più amata, più le è la sua beatana stata larga ( Cv II IV 12). Vale altresì a designare con esplicito trapasso qualitativo l'amore fra Padre e Figlio nello Spirito Santo, nell'invocazione finale O luce etterna che sola in te sidi, / sola t'intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi! (Pd XXXIII 126). In questa direzione si perviene all'uso assoluto, a livello teologico (" manifestare amore ", " esprimersi come amore "), laddove D. parla degli angeli, dei cieli, dell'anima umana (da una parte) e, dall'altra, delle cose terrene, cioè insieme di Ciò che non more e ciò che può morire, come splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro Sire (XIII 54), quindi " riflesso del Verbo, in circolo perenne d'amore (dando luogo allo Spirito Santo) prodotto ‛ ab aeterno ' dal Padre ".
6. Nel sintagma ‛ a. più ' si attua invece il normale valore di " preferire ": Molti sono che amano più d'essere tenuti maestri che d'essere ( Cv I XI 11); e il costrutto doveva essere sentito da D. prettamente prosastico, se lo adoperò solo un'altra volta, in contesto assai diverso, dove afferma che sì come ciascuno maestro ama più la sua opera ottima che l'altre, così Dio ama più la persona umana ottima che tutte l'altre (III VI 10). Anche in Fiore CXX 12 Più amo; unitamente al sintagma Megli' amo (XXXVI 13, CXX 7) o ameria me ' (CCXII 11).