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AMALRICO di Bena

di Antonino De Stefano - Enciclopedia Italiana (1929)
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AMALRICO di Bena (lat. Amalricus, talvolta Almaricus, Amauricus, più raramente Amorricus o Elmericus)

Antonino De Stefano

Originario di Bena (diocesi di Chartres) fiorì nella seconda metà del sec. XII. Fece probabilmente i primi studî dialettici presso la famosa scuola di Chartres e li continuò presso l'università di Parigi. Quivi insegnò dapprima la logica di Aristotele e le altre arti liberali con grande successo, distinguendosi per l'originalità del metodo e per la singolarità delle sue opinioni. Con lo stesso spirito d'indipendenza si dedicò poscia all'insegnamento della teologia, suscitando non infondati sospetti di eterodossia. Per difendersi dalle accuse dei teologi dell'università parigina, che nel 1204 aveva condannato le sue dottrine, venne a Roma, facendo appello a papa Innocenzo III il quale confermò però la condanna e lo costrinse ad abiurare i propri errori. Umiliato e dolente ritornò a Parigi, ove nel 1206 morì. Nel 1210, in occasione della condanna dei suoi discepoli, il suo cadavere venne esumato e dato alle fiamme.

Probabilmente A. non raccolse in scritti particolari le sue dottrine; le diverse e successive condanne che le colpirono dopo la sua morte non ne fanno menzione; il trattato Periphysion, che Martino Polono e Francesco Pippino gli attribuiscono non è che la nota opera di Giovanni Scoto Eriugena, cui egli s'ispirò senza dubbio.

Sta di fatto che la sostanza delle dottrine professate da A. si ritrova negli scritti panteistici di Eriugena, particolarmente nel De divisione naturae o Periphysion (περὶ ϕύσεως). A. insegnava, infatti, che le idee, forme o esemplari esistenti nella mente divina sono nello stesso tempo creatrici e create, vale a dire, le cause primordiali si confondono con gli effetti che da esse emanano; che Dio in tanto è detto la fine di tutte le cose in quanto tutte le cose sono destinate a ritornare a lui; che Dio costituisce l'essenza di tutte le creature, che hanno tutte una comune natura e tutte sono pertanto Dio; che, come la luce non può essere percepita in sé stessa ma solo nell'atmosfera, così Dio non può essere visto in sé stesso ma solo nelle sue creature; che, come prima del peccato non esisteva distinzione dei sessi, così dopo la resurrezione i sessi sarebbero tornati a confondersi, ristabilendo l'unità primitiva come al momento della creazione.

Amalriciani. - Chierici e laici, seguaci di Amalrico di Bena, scoperti in Parigi nel 1210 per opera di Rodolfo di Namur che uno di essi aveva tentato di convertire alle proprie idee e i cui nomi ci sono stati conservati da Cesario di Heisterbach. Denunciati al vescovo di Parigi, Pietro di Nemours, un sinodo provinciale, presieduto da Pietro di Corbeil, arcivescovo di Sens, ne condannò le dottrine e fece dare le loro persone alle fiamme. Nell'agosto del 1215, il legato papale Roberto de Courçon proscrisse nuovamente le loro dottrine e il quarto concilio lateranense, dello stesso anno, condannò ancora una volta il perversissimum dogma Amalrici, cuius mentem sic pater mendacii obcecavit, ut eius doctrina non tam heretica censenda sit quam insana.

Il più noto e più colto dei seguaci di Amalrico fu Davide di Dinant. Pare che la setta sia durata un tempo assai breve, se l'Anonimo di Laon, la cui narrazione si ferma al 1219, parla di un certo Godino, bruciato ad Amiens, come dell'ultimo amalriciano.

Gli amalriciani accolsero e accentuarono le dottrine panteistiche di Amalrico di Bena, ma ne aggiunsero qualche altra, riguardante i dogmi dell'Eucaristia e della Trinità. Essi insegnavano, infatti, che Dio è uno e la sua unità si estende a tutto l'universo, nel quale tutti gli esseri si unificano, perché tutte le cose che esistono sono Dio e Dio è in tutte le cose; che Dio è, pertanto, nel pane e nel vino avanti la consacrazione eucaristica allo stesso modo che dopo, poiché la consacrazione non ha altro effetto che di affermare e di dichiarare la presenza divina e non quello di produrla; che Dio si era manifestato attraverso una triplice rivelazione: la prima in Abramo (epoca del Padre), la seconda in Cristo (epoca del Figlio), la terza in Amalrico e nei suoi discepoli (epoca dello Spirito Santo). Quest'ultima dottrina appare derivata dagli scritti profetici di Gioacchino da Fiore (morto nel 1202).

Non sufficientemente fondata sembra l'accusa di pratiche immorali rivolta agli A. da qualche antico cronista: il silenzio della maggior parte dei testimoni, la condizione fisica e morale di questi eretici, per lo più chierici di età avanzata, inducono ad escluderlo.

Bibl.: Chartularium Universitatis Pariensis, ed. H. Denifle e E. Chatelain, Parigi 1889, I, pp. 70, 71, 79, 81; G. d'Armonia, De gestis Philippi Augusti, in Recueil des hist. des Gaules et de la France, XVII, p. 83; Rigordo, Gesta Philippi Augusti, ibid., XVII, p. 62; Chronicon Anonymi Laudunensis, ibid., XVIII, p. 714 segg.; Cesario d'Heisterbach, Dialogus miraculorum, ed. Strange, Colonia 1851, I, p. 304 segg.; Alberico delle Tre Fontane, Chronicon, in Monum. Germaniae histor., Scriptores, XXIII, p. 890; Roberto Altissiod., Chronol., in Recueil, XVIII, p. 279; B. Guidonis, Vita Innocentii III, in Muratori, Rerum italic. scriptores, III, p. 481; M. Polono, Chronicon, in Monum. Germ. histor., Scriptores, XXII, p. 438; A. Clareno, Historia septem tribulationum ordinis mimorum, ed. Ehrle, in Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters, II (1886), p. 130; N. Triverio, Chronicon, in D'Achéry, Spicilegium, Parigi 1723, III, 184; F. Pippino, Chronicon, in Muratori, op. cit., IX, p. 6321; Mansi, Concilia, XXII, pp. 801-809 e 986; D'Argentré, Collectio judic., Parigi 1728, I, p. 126 seg.; J. H. Krönlein, Amalrich von Bena und David von Dinant, in Theologische Studien, 1874; Ch. Jourdain, in Mém. de l'Acad. des inscr. et belles-lettres, XXVI (1870), ii, pp. 467-495; F. C. Hahn, Über Amalrich von Bena und David von Dinant, Villach 1882; Cl. Bäumker, Ein Tractat gegen die Amalricianer, Paderborn 1893; F. Tocco, L'eresia nel Medioevo, Firenze 1884, pp. 409-419.

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