PASQUALIGO, Alvise
– Nacque a Venezia il 29 dicembre 1536, secondogenito di Vincenzo, di Francesco di Angelo, e di Elisabetta Sanuto di Francesco.
Appartenne a una delle ottantasei famiglie cittadine che costituivano la «“spina dorsale” demografica del patriziato: le famiglie presenti [nel Maggior Consiglio] dal 1297-1797» (Raines, 2003, p. 31). Discese dal ramo che riconosceva come capostipite Piero, e dalla famiglia proveniente dall'Anzolo, di S. Maria Zobenigo, e della Zuecca, avente come stemma un'aquila bicipite a tutto campo con al centro uno scudo con bande oblique azzurre e dorate. Nell'ambito del suo nucleo familiare non vi furono personalità eccellenti in campo letterario o artistico: tra i sette fratelli maschi, solo Filippo è ricordato dalle cronache per le imprese militari (Pasqualigo, 1842, pp. 393-395; Cicogna, 1822, pp. 20 s.); l'esistenza di alcune sorelle, che in quanto donne non compaiono nei registri e negli alberi genealogici, si deduce da un accenno esplicito della madre nel testamento: «li dicti mei figlioli sì maschi come femine» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, Atti Bonsaver, 63.20, 9 ottobre 1539).
Nonostante non figuri nelle liste dei laureati patavini fornite dagli Acta graduum, né emerga del resto dalle opere autobiografiche alcun riferimento a studi o a frequentazioni accademiche, la sua produzione rivela un'ampia cultura letteraria e giuridica.
Non risulta si sia mai sposato; se si vuole prestare fede a quanto emerge dalle sue Lettere amorose, si rifiutò sempre di farlo nonostante le ripetute pressioni della famiglia: «Gli miei desiderano di maritarmi, e tuttodì me ne fanno instanza» (ed. 1563, c. 8v). Ancora secondo la testimonianza dell'epistolario, pare che abbia avuto almeno un figlio naturale, che probabilmente fu registrato con il nome del marito della madre. Nelle Lettere menzionano il neonato tanto il padre: «M… mi parlò del nostro bambino… e di molt'altre cose» (ibid., c. 177r-v), quanto la madre Vittoria: «L'amore del nostro puttino, il qual è la miglior parte dell'anime nostre, mi frena e fa restare [dal togliermi la vita]» (ibid., c. 222r).
Pasqualigo ricoprì la carica di senatore ed ebbe incarichi militari, come risulta oltre che dalle fonti storiche, dalle sue opere (Rime, 1605, pp. 84-86; Delle lettere amorose, 1584, p. 656). Dalla dedicatoria del dramma pastorale Gl'intricati si ricava che la favola fu «da lui mentre si trovava in reggimento a Zara composta e nel medesimo luogo… fatta rappresentare» (c. 2v); i repertori collocano questo periodo nel 1575 (G.A. Cappellari-Vivaro, Campidoglio veneto, c. 190v), probabilmente a seguito della dedicatoria de Il Fedele, così datata da Pasqualigo stesso: «Di Zara, l'ultimo giorno di carnevale, l'anno 1575» (p. [VII]). Il dato della composizione, se non della rappresentazione, della pastorale nella città dalmata è confermato dal prologo, in cui si finge un trasporto magico in Arcadia degli spettatori, appunto dalla «città nobil di Zara» (c. 6v). Di là dalle varie lettere che riferiscono di viaggi e della lontananza da Venezia per motivi militari, tra le rime di Pasqualigo interessanti sono quelle, composte in un momento in cui il poeta è già famoso al mondo per le sue sventure amorose («Misero me, che già son fatto esempio / ad ogni amante e del mio pianto amaro / ho pieno il mondo, e del mio duro scempio», p. 89, vv. 16-18), quindi dopo il 1570, anno in cui le Lettere furono pubblicate con il nome dell'autore, relative alle sue missioni militari che collocano Pasqualigo in Oriente: «Io tra selvaggia e furiosa gente / vivo, né d'altro mai se non di morte / sento parlar per tutto l'Oriente» (Rime, 1605, p. 85, vv. 4-6) e descrivono le tragiche conseguenze della guerra: «peste», «fame», «travaglio del mar», «fumo […] / di polve e zolfo e di bombarda il tuono», «di feriti il mesto e flebil suono», «l'età miglior si miete in erba» (ibid., vv. 7-22 e p. 86, v. 10).
La notizia della partecipazione di Pasqualigo alla battaglia di Lepanto, nella quale trovò la morte il fratello Antonio, che vi aveva condotto un'imbarcazione contrassegnata come la Nave (G. Contarini, Historia delle cose successe dal principio della guerra..., 1572, c. 38v), è suscettibile di confutazione, poiché si conserva memoria di un altro Alvise Pasqualigo, nato nel 1529 e morto nel 1575 (M. Barbaro, Arbori de' patrizi veneti…, p. 18), discendente da un altro ramo della casata, che «fu addetto alla milizia marittima, e… ebbe… la sopraintendenza del campo allorché durante la guerra col turco nel 1571 si trattò di dar l'assedio all'isola di Santa Maura» (Cicogna, 1822, p. 18).
Oltre a testimoniare la presenza della galea il Passero di Venezia a nome di Pasqualigo nella parte centrale dello schieramento che il 7 ottobre 1571 affrontò l'armata ottomana, due cronache contemporanee riportano alcuni dettagli sull'apporto del gentiluomo – non si può dire quale fosse dei due – allo scontro. La cronaca di Contarini testimonia la partecipazione di un Alvise Pasqualigo alle operazioni militari della guerra di Cipro almeno fin dal 1570: è registrata a suo nome una delle diciassette «galee armate» che partirono da Venezia «a' 17 d'aprile [1570]» (Historia delle cose successe dal principio della guerra, cit., c. 5v); è agli ordini di Sforza Pallavicino, capitano generale da terra, «a' 17 di settembre» (c. 17v); tra le fila della «battaglia reale» (c. 37v), il Passero di Venezia (n. 49 dello schieramento, c. 38v), «alli tre d'ottobre» insieme con «l'armata tutta si partì dalle Gomenizze» (c. 30v). Veniamo inoltre a conoscenza indirettamente della «zuffa» con una nave nemica da una seconda cronaca, che intende elogiare un capitano napoletano che aveva trovato posto sulla galea di Pasqualigo: «[…] notabile fu […] don Gasparro Toraldo napoletano, il quale, trovandosi poco discosto dalla Reale, in su la galea Pasqualiga veneziana, ch'egli aveva molto ben presidiata de' suoi soldati calavresi, ed azzuffatasi quella con una delle turchesche, fu egli il primo che, saltato su la galea nimica, vi piantò lo stendardo di S[an] Marco, rimanendovi ferito d'una piccata di fuoco nel braccio destro; del qual fatto poi, vinta quella galea, fu dal Pasqualigo in presenza di molti altri nobili veneziani publicamente lodato» (T. Costo, Compendio dell'istoria del Regno di Napoli, 1613, c. 26r).
Di là dalla notizia della data di morte che si ricava dalle compilazioni d'archivio (M. Barbaro, Arbori de' nobili, c. 229r), un discendente di casa Pasqualigo, Domenico, raccogliendo e riordinando varie testimonianze sui suoi antenati, riferisce che Alvise «morì l'anno della peste, che fu il 1576, e morì di peste», e aggiunge che fu sepolto «nella chiesa e convento de' santi Giovanni e Paolo in Venezia», con l'iscrizione funebre «Aloysius Paschalico Vincentii filius / vir omni doctrinarum genere clarus / sed pluribus pro Republica foris / domique muneribus egregie functus / longe clarior hic quiescit / obit MDLXXVI die ult. Augusti» (D. Pasqualigo, Memorie, c. 26r). La sepoltura è andata però perduta: «per diligenza nostra non s'è potuta ritrovare […]; convien dubitare che sotto al pavimento di nuovo fatto a qualche capella ella sia stata sepolta, cosa che non di rado avviene» (ibid.).
Come letterato, Pasqualigo fu molto apprezzato in vita e fino almeno al primo decennio del XVII secolo, date le numerose edizioni e ristampe di alcune sue opere. La prima opera data alle stampe fu la raccolta Delle lettere amorose libri due, che uscì anonima in una prima versione in due libri nel 1563 (Venezia, F. Rampazzetto) e fu ristampata nel 1564 (sempre a Venezia presso il medesimo stampatore), in entrambi i casi con un'accurata presentazione di Francesco Sansovino. Nel 1567 (Venezia, F. Sansovino), ancora senza indicazione dell'autore e con lo stesso curatore, fu pubblicata la versione definitiva in quattro libri, ma la paternità pasqualighiana fu rivelata solo nella seconda uscita dell'opera in quattro libri, stampata da Egidio Regazzola e Domenico Cavalcalupo nel 1570 (fra il 1563 e il 1607 si contano comunque ben undici edizioni). La commedia Il Fedele fu l'unica altra opera pubblicata in vita da Pasqualigo, che firmò la dedicatoria nel 1575 e forse riuscì a vederne la stampa nel 1576 (Venezia, B. Zaltieri). Dopo la princeps la commedia ebbe altre tre edizioni fino al 1606. Una trascrizione della prima edizione è stata curata da Francesca Romana de' Angelis (Roma 1989). Il dramma pastorale Gl'intricati fu pubblicato postumo un'unica volta nel 1581 (Venezia, F. Ziletti) per iniziativa di Evangelista Ortense. Settantasette Rime furono infine scelte e pubblicate dal fratello Filippo nel 1605 (Venezia, G.B. Ciotti).
Lettore colto e appassionato, dalla vasta e approfondita conoscenza della tradizione letteraria latina e volgare, Pasqualigo non s'impegnò a promuovere la propria fama di letterato, lasciando inedita parte della sua produzione e celando per anni la propria identità di autore delle Lettere amorose. Nell'epistolario, di contenuto amoroso e ispirazione autobiografica, narrò la «istoria continuata d'un amor fervente di molti anni» (così il frontespizio della princeps); Il Fedele, rielaborandone l'episodio conclusivo della storia sentimentale secondo le consuetudini teatrali, combina sapientemente autobiografia e padronanza delle convenzioni letterarie, dando luogo all'opera più matura di Pasqualigo. Rispetto alla notevole originalità delle Lettere e della commedia, Gl'intricati hanno invece un carattere estremamente tradizionale e di maniera. Il fratello Filippo presenta le Rime, secondo la consuetudine letteraria, come una scelta di prove poetiche giovanili, ponendole dunque cronologicamente in parallelo con le Lettere.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, II, Libro d'oro delle nascite, p. 307; Notarile, Testamenti, Atti Bonsaver, 63.20, 9 ottobre 1539; Misc. codici, s. I, Storia veneta, nn. 17-23: M. Barbaro, Arbori de' patrizi veneti, ad nomen; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., VII.960 (8692): D. Pasqualigo, Memorie sepolcrali della casa Pasqualigo dimorante nella contrada di Santa Maria Zobenigo, in Id., Della famiglia Pasqualigo, cc. 26-27; VII.927 (8596): M. Barbaro, Arbori de' nobili veneziani con i matrimoni, ad nomen; VII.17 (8306) III: G.A. Cappellari-Vivaro, Campidoglio veneto, c. 190v; G. Contarini, Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim ottomano a' veneziani fino al dì della gran giornata vittoriosa contra turchi, Venezia 1572, cc. 5v, 17v, 37v, 38v, 30v; T. Costo, Compendio dell'istoria del Regno di Napoli, Venezia 1613, c. 26r; E.A. Cicogna, Personaggi illustri della veneta patrizia gente Pasqualigo, Venezia 1822, pp. 18, 20 s.; D. Pasqualigo, Vita di Filippo Pasqualigo, in E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 393-395.
A. Quondam, Dal 'formulario' al 'formulario'. Cento anni di libri di lettere, in Le carte messaggiere. Retorica e modelli di comunicazione epistolare. Per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, a cura di A. Quondam, Roma 1981, pp. 101-111; G. Barberi Squarotti, Prodromi della narrativa manierista: dal Bandello al Pasqualigo, in Cultura e società nel Rinascimento tra riforme e manierismi, a cura di V. Branca - C. Ossola, Firenze 1984, pp. 351-384; L.G. Clubb, Italian drama in Shakespeare's time, New Haven-London 1989, pp. 93-95, 171-173; A. Calzavara, Su una commedia 'amorosa' del tardo Cinquecento: "Il Fedele" di Luigi Pasqualigo, in Giornale storico della letteratura italiana, CIX (1992), vol. 169, 546, pp. 240-252; R. Morabito, Lettere e letteratura. Studi sull'epistolografia volgare in Italia, Alessandria 2001, pp. 117-120; D. Raines, Cooptazione, aggregazione e presenza al Maggior Consiglio: le casate del patriziato veneziano, 1297-1797, in Storia di Venezia. Rivista, I (2003), pp. 1-64, in partic. p. 31; L. Riccò, Ben mille pastorali. L'itinerario dell'Ingegneri da Tasso a Guarini e oltre, Roma 2004, pp. 243 s.