MOCENIGO, Alvise.
– Primo di questo nome, nacque a Venezia il 26 ott. 1507, dal procuratore Tommaso, del ramo a S. Stae, e da Lucrezia Marcello di Alvise di Pietro. Ricche e prestigiose entrambe le famiglie, per cui il M. intraprese la carriera politica come savio agli Ordini per il semestre ottobre 1532 - marzo 1533, occupandosi soprattutto dell’appalto dei convogli mercantili.
Qualche mese dopo sposava Loredana Marcello di Alvise di Gian Francesco, di un ramo diverso da quello materno: il legame implicava importanti interessi economici nella rete del commercio internazionale. Dopo il matrimonio, peraltro destinato a rimanere sterile, il M. spostò la sua residenza dapprima a S. Margherita e poi (dopo il 1566) nella vicina isola della Giudecca. Fu ancora savio agli Ordini dall’ottobre 1534 al marzo 1535, quindi per il semestre ottobre 1537 - marzo 1538. Eletto capitano a Vicenza il 14 dic. 1539, vi si recò nel giugno seguente, per essere sostituito da Francesco Badoer giusto un anno dopo. Seguì una breve latitanza dalla politica, ma il 22 febbr. 1544 entrò a far parte dei savi alle Decime e a luglio optò per il saviato di Terraferma. L’11 giugno 1545 fu eletto ambasciatore presso Carlo V. Il M. si trovava allora nel pieno degli anni, era di bell’aspetto, eloquente e ricco. Gli sarebbero servite tutte, queste qualità, vista la delicata congiuntura politica, che vedeva l’imperatore impegnato nella fase cruciale del conflitto con i principi protestanti, mentre a Trento si apriva il concilio tanto atteso. Lasciò Venezia nel marzo 1546 e raggiunse Carlo V ad Augusta, per seguirlo nei suoi spostamenti presso i vari campi di battaglia sino al 3 giugno 1548, allorché prese congedo.
La relazione conclusiva di questa missione si distingue per acume introspettivo e completezza d’informazione. Dopo la rituale descrizione dell’Asburgo e della sua famiglia, il documento elenca i suoi domini, ma alle colonie americane (che il M. chiama «il Mondo novo») sembra non dare soverchia importanza. Quanto ai rapporti di Carlo con gli altri principi, il M. sottolinea l’affiatamento con il fratello Ferdinando («Gran cosa per certo e meravigliosa è questa, che in doi principi, che sono così diversi di natura et di costume, vi sia un così estremo amore et tanta uniformità di volere»; Relazioni …, II, p. 575). Interessante la narrazione delle battaglie alle quali il M. aveva personalmente assistito, con particolare riguardo alla vittoria di Mühlberg (24 apr. 1547); donde la collocazione della Serenissima come unico baluardo contro lo strapotere imperiale al di qua delle Alpi: logica conclusione di chi in Carlo d’Asburgo vedeva un gran principe e, contemporaneamente, un temibile avversario per la Repubblica.
Rimpatriato con il titolo di cavaliere, il M. divenne savio di Terraferma per il primo semestre degli anni 1549-1552, provveditore sopra le Fortezze il 3 ott. 1551, podestà a Crema il 12 luglio 1552, dove rimase dal 21 sett. 1552 al 15 febbr. 1554, occupandosi soprattutto delle acque che circondavano la città.
Fu poi savio di Terraferma da aprile a tutto settembre 1554 (l’8 nov. 1553 era stato eletto ambasciatore in Francia, ma ottenne la dispensa); quindi (ottobre 1554) entrò a far parte del consiglio dei Dieci e il 2 ott. 1555 divenne membro della commissione per la costruzione della scala dei giganti a Palazzo ducale. L’anno dopo, il 5 genn. 1556, risultava eletto bailo alla remunerativa sede di Costantinopoli, ma ancora una volta chiese di esserne dispensato; fu quindi sopraprovveditore alla Sanità (30 giugno 1556), savio di Terraferma da ottobre a marzo 1557, savio alle Acque il 29 apr. 1557 e il 17 sett. fu eletto ambasciatore a Roma.
Raggiunse la sede nell’aprile 1558, mentre il Papato stava avviandosi a una nuova dimensione politica, attraverso la stipula di concordati e l’istituzione di specifiche nunziature. Dei ventisette mesi della permanenza romana resta la relazione, letta in Senato nell’ottobre 1560.
Sostanzialmente negativo il suo giudizio sullo Stato pontificio, ma temperato da qualche osservazione di segno opposto: «è bella cosa – scrive – vedere che non vi sia persona di così umile stato, che attendendo alle cose ecclesiastiche non possa con ragione sperare di poter esser vescovo, cardinale ed anco pontefice». E tuttavia quest’apertura sociale non sempre premia il merito, poiché «vi sono molti [ …] pervenuti al cardinalato, etiam senza alcun segno di virtù, ed alcuni altri ancora con viziose e male operazioni» (Relazione di Roma …, p. 31).
Savio del Consiglio dal 1° ott. 1560, l’8 dicembre lasciò la carica per portarsi a Padova, dov’era stato eletto podestà; qui si fermò sino all’aprile 1562, occupandosi delle faide nobiliari e della carestia che interessava la provincia.
Riprese il suo posto tra i savi del Consiglio dal giugno al settembre 1562, dopo di che entrò a far parte del consiglio dei Dieci, fu savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1563, consigliere per il sestiere di Dorsoduro dal 1° ottobre al 4 ag. 1564, giorno in cui venne eletto con Marino Cavalli ambasciatore presso Massimiliano II per congratularsi della sua elezione all’Impero; la missione si svolse dal 28 settembre al 23 ottobre, dopo di che il M. fu savio del Consiglio per il primo semestre 1565, quindi fu nominato (20 ag. 1565) provveditore alle difese del Friuli, incarico rinnovato il 17 dic. 1566. In questa carica dovette affrontare la questione relativa all’opportunità di ridurre Udine a baluardo orientale, risolta solo vari anni dopo con la creazione di Palmanova.
Il M. affrontò il problema con grande impegno; le doti di cui diede prova, assieme al cospicuo censo che gli attribuisce la redecima del 1566, ne determinarono l’elezione a procuratore de ultra il 27 febbr. 1566. Fu ancora savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre del 1567, 1568 e 1569, in tale veste il 30 ag. 1568 pronunciò il lodo sulle discordie che opponevano le principali famiglie friulane, essendone stato espressamente richiesto.
In quegli anni fu anche savio all’Eresia, dimostrandosi poco incline alla S. Sede, nonostante la minaccia turca spingesse Venezia a cercare l’appoggio di Roma. Tale posizione tuttavia non gli impedì di diventare doge il 15 maggio 1570; da tempo il M. era fra i candidati più autorevoli, ma lo ostacolavano un rigore soverchiamente esibito e il carattere impulsivo.
Gli anni del suo dogato non furono felici: il conflitto con i Turchi si acuì. La caduta di Cipro (agosto 1570) fu seguita dalla vittoria della Lega santa antiturca, costituita da Venezia con Pio V e Filippo II di Spagna, a Lepanto (7 ott. 1571), che non mutò però gli equilibri nel Mediterraneo orientale; nel marzo del 1573 Venezia firmò una pace onerosa con Costantinopoli. Alla guerra si sommarono l’incendio del Palazzo ducale (11 maggio 1574) e, l’anno dopo, la peste. Il M. risultò inviso a tutti: al patriziato, per le ricchezze e l’imperiosità del tratto e al popolo, che gli incolpava la difficile congiuntura.
Il M. morì a Venezia il 4 giugno 1577.
Fu sepolto, accanto alla moglie, morta l’11 dic. 1572, nel monumento, da lui voluto, nella controfacciata della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.
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