MALIPIERO, Alvise
Nacque a Venezia nel 1450 circa, dal matrimonio, celebrato nel 1447, del cavaliere Giacomo detto Chiaron, di Tommaso, del ramo residente nella parrocchia di S. Maria Formosa, con Loredana Loredan di Lorenzo. Ebbe un fratello minore, Gerolamo, detto Billigogna (1460 circa - 1539).
Non deve essere confuso con il contemporaneo omonimo, figlio di Perazzo di Giovanni (come nel genealogista Cappellari).
Il M. contrasse matrimonio nel 1479 con una figlia di Francesco di Polo Bernardo (matrimonio non menzionato né dal genealogista M. Barbaro né dalla Cronaca matrimoniale dell'Avogaria di Comun), da cui ebbe Malipiera, che nel 1501 sposò Pietro Marcello; nel 1508 il M. sposò Marina Morosini di Francesco, vedova di Pietro Vitturi, dalla quale non ebbe discendenti.
L'8 sett. 1493 fu eletto capitano a Vicenza, incarico ricoperto onorevolmente sino al marzo 1495, quando fu sostituito da Pietro Vitturi. Nell'ottobre 1495 fu tra i componenti della zonta del Senato, carica confermata a lui nell'ottobre 1496 e nel 1500. Il 9 febbr. 1496, infatti, era stato eletto provveditore a Brindisi, una delle località della Puglia appena conquistate dalla Repubblica, ma aveva rifiutato l'incarico. Il 10 marzo 1501 fu designato - per "reputation et auctorità" -provveditore straordinario in Friuli, con sede a Udine e paga di 40 ducati mensili; fu inoltre vice luogotenente della Patria del Friuli, in sostituzione di Antonio Loredan, luogotenente uscente, in attesa della venuta del successore Paolo Trevisan. Suo compito precipuo fu il controllo dell'ingente e pericolosa concentrazione di truppe turche al confine con la Bosnia. Al rientro a Venezia, nel giugno, fu subito eletto savio del Consiglio e nel marzo 1503 savio di Terraferma. Il 3 aprile il Consiglio dei dieci, constatata la scarsità di farine che giungevano dalla Terraferma alla Dominante, incaricò il M. e Girolamo Cappello di tentare in ogni modo, anche con la promessa di incentivi in denaro, di aumentare il rifornimento di prodotti cerealicoli. Dal 29 sett. 1504 al marzo 1505 fu tra i cinque savi di Terraferma; nel maggio 1505 fu eletto, con Leonardo Mocenigo e Giorgio Emo, savio alle Acque, ufficio che lasciò anzitempo perché chiamato, il 5 nov. 1505, tra i sei consiglieri di Venezia, per il sestiere di Castello.
Il 10 luglio 1506 fu eletto podestà a Verona, dove si trovò ad affrontare una situazione di pericolosità dovuta ai frequenti passaggi delle truppe di Massimiliano I d'Asburgo, che richiedeva alloggio nel Veronese perché "el si volleva venir a incoronar" (Sanuto, VII, coll. 54 s.). Il Senato, prontamente informato, invitò il M. ad assumere una posizione di cortese fermezza e a designare un cittadino "de auctorità, prudente, fidele et circumspecto" per "exortar et persuader" le milizie tedesche a lasciare i territori veneziani che avevano attraversato senza il consenso della Serenissima (30 nov. 1507). A sostegno dell'operato del M. giunsero a Verona, ai primi di dicembre, Nicolò Orsini, conte di Pitigliano e capitano generale, e Giorgio Emo, provveditore generale la cui presenza rallegrò "li popoli, che erano pauriti, non sapendo ne hessendo usi a guerra" (Sanuto, VII, coll. 228-230). Al ritorno nella Dominante, il M. fece una accurata relazione in Collegio, il 14 apr. 1508, elogiando il coraggio dimostrato dalle popolazioni del rettorato di Verona, malgrado le incertezze e le difficoltà che il transito delle truppe aveva provocato.
Nell'agosto del 1508 fu eletto membro del Consiglio dei dieci, subentrando a Francesco Foscari; la carica gli fu confermata nel febbraio 1509. Nel Consiglio il M. ricoprì i mandati di capo (30 sett. 1508, 30 gennaio, 31 marzo 1509) e di camerlengo (2 ott. 1508). L'8 marzo 1509 fu scelto tra i dieci gentiluomini che il Senato delegò per la riscossione delle pubbliche gravezze, carica che lasciò il 9 aprile perché eletto consigliere dogale per il sestiere di Castello.
Peggioravano nel frattempo le sorti della Serenissima, duramente impegnata contro la Lega di Cambrai. Il 27 aprile Venezia fu colpita da scomunica papale e il 14 maggio subì la pesantissima sconfitta di Agnadello. Il 28 maggio 1509 il Senato decise l'istituzione di due provveditori generali "per mantenir lo esercito nostro", uno nel Padovano e uno nel Vicentino; per quest'ultimo fu scelto il M., che, non potendo rifiutare se non con multa di ben 1000 ducati (essendo lo stipendio mensile di 120 ducati), accettò la carica il 31 maggio (diversamente da quanto riportato dal Sanuto, VIII, col. 328). Ma il M. non fu in grado di raggiungere il Vicentino perché incluso dal Senato, il 6 giugno, tra i sei componenti della delegazione diplomatica inviata a papa Giulio II per ottenere la revoca della scomunica e spezzare la coalizione antiveneziana, accogliendo qualunque condizione avesse imposto il pontefice.
Gli ordini impartiti dal Senato miravano a una missione "per humiliarse più che se pole", e per evitare complicazioni fu vietato a parenti e ad altri patrizi di accompagnarli nel loro viaggio. La dettagliata "commissione", ripartita in sedici punti, fu votata in Senato il 20 giugno e approvata con un solo voto contrario. I sei ambasciatori, il M., Domenico Trevisan, Leonardo Mocenigo, Paolo Cappello, Paolo Pisani e Gerolamo Donà, si imbarcarono da Venezia il 21 giugno su due navi, agli ordini di Giovanni Duodo e Antonio Marcello, poiché le truppe francesi controllavano ogni passaggio per via di terra. Ricevuta la commissione tramite il segretario Lorenzo Trevisan, e dopo una breve sosta ad Ancona, la legazione giunse a Roma la sera del 2 luglio. Giulio II aspettò il 9 luglio per ricevere il solo Donà, assolvendolo dalla scomunica. Fu una legazione lunga, difficile, aggravata dall'atteggiamento chiaramente ostile manifestato da Giulio II e, tuttavia, grazie all'abilità diplomatica dimostrata dagli oratori, e in particolare dal Donà, il 24 febbr. 1510 la scomunica fu solennemente revocata, e furono poste nel contempo le basi per la successiva alleanza veneto-pontificia. Fu proprio il M. a inviare prontamente a Venezia una dettagliata informazione sulla cerimonia, augurandosi che "mediante el Signor Dio le cosse nostre succederano bene" (Sanuto, X, coll. 12 s.). Richiamati in patria (avendo il Senato deciso fin dal 27 ott. 1509 di lasciare a Roma il Donà come ambasciatore ordinario), gli oratori si presentarono davanti al Collegio il 1( apr. 1510 (ibid., coll. 71 ss.).
Il M. tornò subito a ricoprire importanti cariche di governo. Il 12 marzo 1510 fu eletto tra i tre procuratori sopra atti del Sopragastaldo (organo di appello per gli atti e le sentenze civili emessi dal Sopragastaldo). Il 31 giugno 1510 e sino a ottobre fu tra i quattro incaricati di provvedere e sollecitare un pronto incasso delle somme spettanti alle casse dei governatori alle Entrate e dei provveditori al Sal, persuadendo i debitori ma ricordando pure agli inadempienti la possibilità di essere incarcerati. Fu il M., con Battista Morosini, a comunicare alla Signoria e al Maggior Consiglio, il 10 luglio, la notizia della morte di Caterina Corner, già regina di Cipro. Il 18 ott. 1510 fu eletto tra i membri del Consiglio dei dieci ma non ultimò l'incarico, preferendo passare tra i consiglieri dogali.
Il 23 apr. 1511 il Senato reputò indispensabile la scelta di tre supervisori, nominati tra i consiglieri, i savi del Consiglio e i savi di Terraferma, per sollecitare tutti gli uffici adibiti alla riscossione del denaro per la guerra a una quanto più veloce esazione dei debiti. Il 26 aprile furono eletti il M., Zaccaria Dolfin e Alvise Pisani. Il 21 maggio il M. fu rieletto tra i sei consiglieri dogali. Il 5 luglio 1511 fu chiamato tra i due provveditori super pecuniis belli, ufficio temporaneo creato sempre allo scopo di recuperare somme di denaro per affrontare le ingenti spese della guerra in corso. Nel 1511 fu ancora tra i membri del Consiglio dei dieci, ma il 29 settembre passò all'incarico di savio del Consiglio, terminando il mandato il 30 apr. 1512. Rifiutò la carica di provveditore alle Biave per "haver parte in mercadantia di biave" e il 25 giugno fu prescelto dal Maggior Consiglio come duca di Candia (Creta), in sostituzione di Alvise Cappello, tragicamente annegato nel viaggio di andata.
Nell'ottobre 1512, in ritardo a causa di avverse condizioni climatiche, il M. riuscì a salpare da Corfù, sulla galea "sottil" Pasqualigo, verso Candia, dove era atteso dal capitano Bernardo Barbarigo. La sua giurisdizione sull'isola non fu caratterizzata da eventi di particolare rilevanza, considerato anche il breve periodo di attività: il 29 apr. 1514 giunse a Venezia, tramite una lettera, del 3 marzo, del Barbarigo, la notizia della morte violenta del M. ("s'appiccò per uno sparaviero", secondo M. Barbaro). Il corpo del M. fu tumulato nell'isola.
Prima della partenza per Candia, consapevole della pericolosità dell'incarico, il M. aveva redatto un testamento presso il notaio Cristoforo Rizzo di S. Moisè, con il quale annullava ogni precedente atto o codicillo (5 luglio 1512). Il suo non ingente patrimonio, restituita la dote alla moglie Marina, fu ripartito tra la figlia Malipiera, in comunione con il marito, e il fratello Gerolamo. Piccole somme di denaro furono elargite ai fedeli servitori, in elemosina e per la celebrazione di messe in suffragio. Rimase inesaudito il desiderio di essere sepolto a S. Giorgio, nella cappella di famiglia accanto al padre Giacomo, accompagnato dai "fradeli de la scuola de la Misericordia".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, c. 400; ibid., III, 33: G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, III, cc. 279-280; Commemoriali, vol. XVI, n. 227, 29 nov. 1503; Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoniale, cc. 180r, 181r; Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, c. 57r; 7 (ex-12), cc. 2r, 9r, 27v, 28r; 8 (ex-7), cc. 37r, 42r; 9 (ex-13), cc. 9v, 10v, 11v, 15v, 17r; ibid., Elezioni in Senato, reg. 1/A, aa. 1503-29, cc. 5v, 13v, 47r, 50r, 55r, 70v, 95r; Senato, Terra, regg. 14, cc. 4v, 11r; 17, cc. 21r, 70r; ibid., Secreti, regg. 41, cc. 52v-53r, 193, 194r; 42, cc. 6v-7r, 12v-15v, 11, 16-17, 18, 25r, 31r-32r, 42r, 51v-55r, 71v, 136; Luogotenente alla Patria del Friuli, b. 273, reg. 11, cc. 48v-54r; Ducali, 5 aprile - 7 giugno 1501; Senato, Dispacci ambasciatori, Archivi propri, Roma, ff. 2, 25 giugno 1509 - 9 genn. 1510; 3, 19 gennaio - 28 febbr. 1510; Duca di Candia, bb. 3: Missarum secretorum, n. 7, 3C; 33: Memoriali, f. 2, anni 1511-14; Notarile, Testamenti, bb. 1229, n. 329, 5 luglio 1512; 218, n. 310, 6 apr. 1537 (testamento della moglie Marina Morosini); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 429 s.; M. Sanuto, I diarii, Venezia 1879-87, I, III-VIII, X-XVI, XVIII, ad indices; R. Cessi, Dispacci degli ambasciatori veneziani alla corte di Roma presso Giulio II (25 giugno 1509 - 9 genn. 1510), Venezia 1932, pp. 3 s., 15; Arch. di Stato di Venezia, Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 213 s.; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1754, II, p. 218; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, V, Venezia 1856, p. 185.