LOREDAN, Alvise
Figlio unico di Giovanni del procuratore Alvise e di una donna di cui si ignorano il nome e il casato, nacque a Venezia nel 1393, nella parrocchia di S. Canciano. Appena ventunenne sposò Andriola Negrobon, figlia di Cristoforo, ricco mercante di spezie, non appartenente al patriziato. Questo matrimonio potrebbe testimoniare un coinvolgimento del L. nel settore del commercio, ancorché con esiti probabilmente infelici (come del resto fu per tutti i membri di questo ramo della famiglia, prestigioso ma non ricco), visto che Priuli afferma, a proposito degli anni giovanili del L.: "Mortogli il padre nel 1420 mentre era duca di Candia, restato solo al governo della casa nell'età di 27 anni e raddrizzate le cose di quella, fu del 1423 sopracomito di galera" (c. 143v); pertanto il L. dovette probabilmente rinunciare all'attività privata per entrare al servizio dello Stato nell'Armata marittima, da cui però ottenne il congedo il 15 sett. 1423, a motivo di una grave infermità.
Due anni dopo lo ritroviamo sopracomito nella flotta comandata da Fantino Michiel, che aveva il compito di difendere dagli Ottomani di Murad II il recente acquisto di Salonicco; il L. prese parte alla conquista di Chrisopolis (l'odierna Kavalla), in Tracia, nel luglio 1425, nel corso delle operazioni di ritorsione per gli attacchi turchi. Ancora nell'alto Egeo troviamo il L. quattro anni dopo: il 22 febbr. 1429 il Senato decise l'invio a Salonicco di una grossa cocca munita di torri, il cui comando fu affidato al Loredan.
Il 1° luglio la nave fu impegnata in un combattimento presso Gallipoli, accanto alla galea del capitano generale da Mar, Andrea Mocenigo. Questi aveva stabilito di attaccare la fortezza, nonostante le formidabili difese approntate dagli Ottomani e contro il parere dei suoi capitani; decisivo doveva risultare l'apporto della grande nave del L., che avrebbe dovuto essere trascinata sotto le difese nemiche, impegnando i difensori con il lancio delle balestre, mentre il resto della squadra doveva forzare la palizzata che bloccava il porto; ma l'impresa fallì quasi subito per il mancato coordinamento dei sopracomiti veneziani.
Il 5 marzo 1430 la flotta lasciò l'Arsenale per recarsi nuovamente alla difesa di Salonicco, che però venne presa dai Turchi qualche settimana dopo, prima ancora che l'armata veneziana giungesse sul posto. Silvestro Morosini, che aveva sostituito Mocenigo nella responsabilità del comando, decise di vendicare in qualche modo la sconfitta distruggendo il castello posto a guardia degli stretti; la qual cosa avvenne fra il 6 e il 16 giugno, con una serie di bombardamenti realizzati in buona parte dalla nave del L., appositamente attrezzata per la gestione di grandi pezzi di artiglieria. Dopo di che, il 4 settembre, si venne alla pace.
L'anno seguente, mentre allo zio del L., Pietro, era affidata la flotta che doveva muovere nel Tirreno contro i Genovesi sottoposti al dominio visconteo, il 19 maggio il L. veniva eletto capitano delle navi armate destinate a operare contro i Liguri nelle acque della Siria e dell'Anatolia, dove condusse uno sbarco a Chio. Il 27 genn. 1432 il L. fu eletto sopracomito nella flotta del Tirreno e quindi si trovò direttamente agli ordini di Pietro Loredan.
Dopo aver servito nell'Armata marittima per un decennio, il L. alternò per qualche tempo incarichi in Terraferma ad altri sui mari del Levante: nel 1433-34 fu podestà e capitano a Belluno; nel 1435 capitano della "muda" di Romania; dal dicembre 1436 al settembre 1438 provveditore a Bergamo, sommando le funzioni di podestà e capitano, nel momento in cui andava maturando l'offensiva di Niccolò Piccinino, che però si sarebbe rivolta prevalentemente verso Brescia.
Dopo la morte della moglie, da cui aveva avuto due figli, Francesco e Giovanni, nel 1441 il L. si sposò con Isabella Cocco di Nicolò (vedova di Benedetto Foscarini di Francesco) e da questo matrimonio nacquero Marco e Nicolò. Nello stesso anno il L. risulta capo del sestiere di Dorsoduro, in quanto aveva spostato la sua residenza da S. Canciano alla Giudecca.
Sebbene poco fortunati con la mercatura, i Loredan privilegiarono sempre la tradizionale vocazione marittima della Serenissima rispetto alla politica di espansione in Terraferma; è probabilmente da intendere come una conferma di questo atteggiamento la proposta, avanzata in Senato dal L. il 21 febbr. 1442, di ordinare ai rettori di Bergamo l'abbattimento delle fortificazioni di confine, in seguito al trattato di pace di Cavriana e quale segno di fiducia verso il duca di Milano. La proposta non venne accolta e l'11 giugno troviamo il L. nuovamente nell'Armata marittima, con l'alto grado di capitano del Golfo.
Per tutta l'estate e parte dell'autunno incrociò fra l'Albania, Corfù e la Calabria, dando la caccia ai pirati aragonesi per proteggere le navi dei mercanti veneziani, ma anche procedendo alla sottomissione di nuove Comunità come Zenta e Budua, le cui saline rivestivano particolare importanza. Rimpatriato, il 3 febbr. 1443 fu eletto procuratore de Supra, ma ottenne di poter continuare ad abitare alla Giudecca, in cambio del versamento di 70 ducati annui per l'affitto della procuratia; contemporaneamente all'elezione alla dignità procuratoria, il L. fu nominato capitano generale da Mar nell'ambito della "crociata" antiottomana che si stava preparando nei Balcani a opera del re di Polonia e di Ungheria Ladislao III e del voivoda di Transilvania Giovanni Hunyadi, sotto l'egida del cardinale legato Giuliano Cesarini.
Per tutto il 1443 i Veneziani non presero iniziative di rilievo, tant'è che il L. l'11 novembre entrò a far parte del Collegio dei savi alle acque; il 25 apr. 1444 assunse il comando organizzativo della squadra pontificia che doveva agire in unione a quella veneziana, parimenti comandata dal Loredan. Ricevette le istruzioni il 17 giugno; il suo compito consisteva nell'impedire all'esercito di Murad II di passare gli stretti per raggiungere la costa asiatica e muovere contro il "gran caramano" Ibrāhīm Beg, nella circostanza alleato dei collegati cristiani; senonché il L. non fece a tempo a bloccare le truppe ottomane. Intanto nei Balcani l'offensiva ungherese tardava, per cui il 9 settembre il Senato comunicava al L. di astenersi da atti bellicosi e di iniziare segrete trattative di pace con il sultano; poi però, quando finalmente Ladislao III e Giovanni Hunyadi si mossero, Venezia riprese il suo posto accanto agli alleati, ordinando al L. di impedire il ritorno in Europa degli Ottomani, che nel frattempo avevano sconfitto Ibrāhīm Beg. Neppure stavolta il L. riuscì nell'intento, perché il blocco da lui attuato venne aggirato da Murad II, che fece transitare le sue truppe a nord di Costantinopoli; gli effetti di questo mancato apporto da parte veneziana furono disastrosi per i collegati cristiani, i quali subirono una irreparabile sconfitta a Varna, l'11 nov. 1444.
Così, mentre faticosamente ci si avviava alla pace, il L. per tutto l'anno seguente continuò a incrociare nell'Egeo, nell'intento di proteggere le isole dalle incursioni nemiche; ma a questo riguardo, l'11 ag. 1445 il Senato gli consigliò prudenza, "quod, sicut considerare potestis, nos soli mansuri sumus in bello cum Teucro" (Arch. di Stato di Venezia, Senato Deliberazioni, Secreta, reg. 16, c. 211v).
Qualche mese dopo il L. tornò a Venezia per disarmare; nell'ottobre 1446 entrò savio del Consiglio e il 28 novembre fu cooptato nella giunta del Consiglio dei dieci che deliberò la grazia al figlio del doge, Jacopo Foscari, tramutando l'esilio a Nauplia con quello nel Trevigiano. Eletto provveditore in campo nella guerra contro i Milanesi il 23 febbr. 1447, rifiutò "defectu persone", adducendo motivi di salute; accettò invece, il 17 marzo, di recarsi a Roma con l'ambasciata per onorare il nuovo papa Niccolò V; al ritorno, il 25 ag. 1447 fu eletto commissario in campo per affiancare Gherardo Dandolo, e stavolta rispose positivamente. La morte del duca di Milano Filippo Maria Visconti, sopravvenuta il 13 agosto, riaprì la partita sul Ducato milanese; le istruzioni inviate al L. dal Senato il 12 settembre esortavano all'iniziativa militare approfittando della situazione, ma si interposero nel gioco l'audacia e l'abilità di Francesco Sforza. Al L., che continuava a lamentare malferma salute, fu concesso il ritorno in patria il 14 novembre. Giusto un anno dopo (8 nov. 1448) egli fu inviato ambasciatore, con Pasquale Malipiero, proprio allo Sforza, con il quale Venezia aveva raggiunto un accordo dopo la rotta di Caravaggio: nominato provveditore al campo di Brescia, il L. si trovò quindi a operare al fianco dell'avversario di ieri.
Nuovamente a Venezia, il 6 febbr. 1449 entrò nella giunta del Consiglio dei dieci che doveva giudicare alcuni ribelli padovani; poi venne nominato per la seconda volta capitano generale da Mar nella guerra che il re di Napoli e Sicilia Alfonso V d'Aragona aveva dichiarato alla Repubblica per il dominio sulle isole Ionie (8 luglio 1449). Sul finire dell'estate il L., al comando di una flotta di 35 galere, effettuò un'incursione a Messina, quindi devastò le coste siciliane, riuscendo a forzare il porto di Siracusa e a bruciarvi le navi alla fonda. Fu un successo pieno, che però venne in parte ridimensionato dalla logica della politica, che il 2 luglio 1450 portò a una pace di compromesso.
Cinque giorni dopo il L. compì il mandato di provveditore al Sale, che ricopriva dal novembre 1449, allorché era tornato a Venezia; il suo nome ricompare tre anni più tardi, il 23 ag. 1453, quando il trauma causato dalla caduta di Costantinopoli suggerì di procedere a un rafforzamento della flotta: al L. e a Vettore Cappello, che ricoprivano allora la carica di provveditori all'Arsenale, fu affidato il compito di avviare la costruzione di nuove galere; savio del Consiglio per i semestri ottobre 1453 - marzo 1454 e ottobre 1454 - marzo 1455, il 19 ott. 1454 fu inviato presso Bartolomeo Colleoni per offrirgli il comando generale delle truppe venete, ma con una diminuzione della sua condotta, in considerazione della pace generale sancita dal trattato di Lodi.
Negli anni che seguirono, il L. fu quasi sempre presente fra i savi del Consiglio; il 4 apr. 1457 ottenne il permesso di lasciare la città per quattro mesi, a causa della peste; il 19 ott. 1458 si pronunciò in Senato contro la richiesta pontificia di tenere a Udine un convegno dei principi cristiani per costituire una lega in funzione antiturca; il 16 dic. 1460 fu chiamato a inquisire sulle sentenze degli Auditori; il 7 genn. 1461 figura nuovamente tra i provveditori al Sale.
Sedeva ancora fra i savi del Consiglio quando, il 4 febbr. 1463, fu per la terza volta nominato capitano generale da Mar nella guerra che la Repubblica stava per muovere contro i Turchi in Morea. Le commissioni che allora gli furono date erano ispirate dalla prudenza: doveva sostanzialmente limitarsi a tenere le posizioni nell'Egeo, catturando tutt'al più le navi genovesi; ma quando il 3 aprile egli comunicò a Venezia la conquista di Argo da parte dei Turchi, ebbe mano libera; la Signoria dichiarò guerra alla Porta e tra giugno e agosto il L. fece sbarcare a Modone e a Nauplia un grosso contingente guidato da Bertoldo d'Este. Gli inizi della campagna furono sfolgoranti: il 1° settembre Bertoldo raggiungeva l'istmo di Corinto e ordinava la ricostruzione dell'Examilion, un muro a secco alto 4 m e lungo 6 miglia, che separava il Peloponneso dall'Attica; l'opera fu compiuta in due settimane con l'ausilio degli equipaggi delle galee, fatti sbarcare dal L.; ma a questo punto la fortuna volse le spalle ai Veneziani: l'assedio di Corinto, condotto per mare e per terra, fallì e nella circostanza l'Estense trovò la morte. Di fronte alla riscossa ottomana, abbandonato l'Examilion, il L. collaborò al ripiegamento delle truppe nelle piazzeforti della costa, dopo di che tentò di risollevare le sorti del conflitto con la conquista, peraltro ininfluente, di Lemno; infine portò la flotta al sicuro, nella base di Negroponte. Il 4 dic. 1463 il Senato, nel rammaricarsi per la perdita di gran parte della Morea, gli comunicava che "havendo vui rechiesto de repatriar, havemo za più dì electo capitanio nostro general da Mar, in luogo vostro, el n.h. Orsotto Giustinian Kr." (Arch. di Stato di Venezia, Senato Deliberazioni Secreta, reg. 21, c. 210v). Il passaggio delle consegne avvenne a Modone il 28 febbr. 1464 e in seguito il L. poté rimpatriare.
Il 5 settembre fu chiamato a far parte dell'ambasceria straordinaria per onorare il nuovo pontefice Paolo II, il veneziano Pietro Barbo, ma rifiutò "pro eundo extra", né sappiamo dove e a quale titolo; qualche settimana dopo, il 29 ottobre, il Collegio gli accordò il permesso di posticipare sino alla primavera successiva l'ambasceria a Roma, ma poi finì per sostituirlo.
Il 4 sett. 1465 figura quale testimone a una cerimonia pubblica a palazzo ducale, e l'11 novembre risulta eletto per la quarta volta capitano generale da Mar, sempre nell'ambito della guerra contro i Turchi, che doveva protrarsi ancora a lungo. Accettò di buon animo nonostante l'ormai vacillante salute, che peggiorò a tal punto che il 7 febbr. 1466 fu nominato in sua vece Vettore Cappello. Il L. morì a Venezia il 6 marzo 1466; fu sepolto nella chiesa di S. Maria dei Servi.
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