GRIMANI, Alvise
Nacque a Venezia il 18 ott. 1626 da Giovanni, del ramo dei Servi, cavaliere e procuratore, e da Paolina Da Mula di Alvise. Rimasto celibe e senza figli, il G. lasciò al fratello maggiore Antonio (1622-99) la continuazione della famiglia. Esordì nella carriera politica come savio agli Ordini nel 1651, vi fu riconfermato nel 1652, e proseguì con celerità, anche grazie all'influente posizione della famiglia. Nell'ottobre 1652 fu dei Tre Provveditori sopra uffici e, dopo essere stato in Inghilterra al seguito dell'ambasciatore Giovanni Sagredo, nel dicembre 1655 fu eletto provveditore alla Sanità, quindi ufficiale ai Dieci Uffici (aprile 1657). Il 24 maggio 1658 fu nominato ambasciatore ordinario in Francia, ma rifiutò la carica, che fu assegnata al fratello Antonio. Il Senato, però, respinse l'atto di rinuncia e il 25 giugno confermò l'elezione. Ricevuta la commissione il 10 apr. 1660, raggiunta Bassano il 19 aprile, passando per Basilea, il G. giunse a Parigi; il 1° giugno firmò il primo dispaccio, il 26 giugno e il 17 agosto fu ricevuto in udienza dai sovrani.
Il G. si occupò immediatamente affinché la Francia procurasse quell'aiuto di cui Venezia aveva estremo bisogno per la guerra di Candia, prodigandosi per trovare validi comandanti di fanteria, di cui la Serenissima difettava, anche tra i reduci della guerra russo-svedese e naturalmente tra i francesi. Attento alle cose di Francia e alla sua classe dirigente, il G. inviò densi dispacci con penetranti osservazioni sui molteplici aspetti di quel Regno, che stava acquistando un ruolo crescente nel panorama europeo. Degni di nota rimangono i resoconti dell'11 marzo e del 12 luglio 1661, nei quali descrisse minutamente la morte del cardinale G. Mazzarino. L'autorevolezza e la stima che seppe guadagnarsi nel mondo della diplomazia e del governo francese consentirono al G. di assumere con successo la mediazione tra Francia e S. Sede nella contesa per i territori di Castro e Comacchio. Amante degli studi, il G. non li abbandonò nel periodo della sua missione, anzi fu attivo organizzatore dell'Accademia italiana di Parigi, che divenne un centro culturale e di incontro tra intellettuali italiani e francesi. La missione ebbe termine l'11 apr. 1663 e il G. lasciò la Francia onorato dal re Luigi XIV con il cavalierato e con un messaggio personale di elogio inviato alla Signoria. L'11 marzo 1664 presentò la relazione, che fu molto apprezzata per l'accuratezza e l'importanza delle informazioni.
In rilievo è messa la figura di Mazzarino, la cui morte è considerata l'inizio vero del regno del re Sole, "perché solo allora il re ha assunto l'autorità e la pienezza del governo". Tutto proiettato sul presente - lasciando il passato ai dispacci -, il G. sottolinea la felice convergenza tra la grandezza della monarchia e il paese sorretto da una natura benefica e da un popolo intraprendente. Intrecciando le informazioni sulle istituzioni, l'economia, le attività coloniali, gli episodi di carattere militare e politico, il G. ritrova nella loro sintesi le ragioni profonde della crescente potenza francese. Coglie il carattere del popolo che "ha genio marziale e spirito guerriero" e quello della nobiltà, capace di sentire ancora il privilegio della "fortuna con la spada". Centrale la figura del giovane sovrano, nel quale il G. riconosce "volontà, virtù e applicazione", forgiato all'alto compito dall'apprendistato rigoroso impostogli dal cardinale, la cui autorità "si può dire fosse assoluta". Di Mazzarino il G. mette in rilevo la vita fino all'ultimo "veramente consumata al servizio del re". Continuarne l'opera era ora compito del nuovo sovrano, che "vuol essere stimato temuto ed obbedito" ma che è anche "desideroso di apprendere per meglio operare", perché ora vuol fare da solo, "reggere lui la macchina della monarchia" e "porre ad effetto le memorie dategli dal cardinale". È amante del divertimento ma con sobrietà e ricerca momenti di tranquillità in "un picciolo luogo di campagna detto Versailles, fatto aggrandire ed abbellire". Che il re abbia preso in mano la situazione e voglia governare da solo si nota anche dall'atteggiamento dei familiari. La regina madre Anna d'Austria accetta di buon grado di restare in disparte, inducendo in tal modo anche gli altri membri della famiglia a non intromettersi negli affari di Stato. La moglie di Luigi, Maria Teresa di Spagna, "ama teneramente" il re e "non si mescola in qual si sia affare". I fratelli e gli altri parenti stretti non si occupano di politica "così non vi sono partiti né cabale". Tra i grandi del Regno spicca il principe di Condé, dai trascorsi frondisti, il quale però, dacché è rientrato in Francia, si è "subito posto con forma intieramente diversa dal passato, tutto umile, rassegnato verso il re". Un dono del cardinale sono anche i tre più importanti collaboratori del re, M. Le Tellier, H. de Lionne e J.-B. Colbert, "soggetti di grande abilità". "Prudentissimo" il primo; il secondo "possiede intieramente la notizia delle cose di Stato ed interessi dei principi esteri a segno che in Francia per questa parte non pari"; il terzo, Colbert, è apprezzato grandemente dal re "per il grande servizio che presta". La responsabilità di tutte le iniziative innovatrici nel Regno ricade su di lui. Il G. non nasconde che la politica regia si compia mediante una certa durezza fiscale, ma la ritiene necessaria e applicata con una prospettiva a termine, non appena fossero stati raggiunti gli obiettivi di risanamento e di rilancio economico. Mostra di ritenere infondati i timori di rivolte popolari, perché non vi erano al momento "soggetti grandi che siano per farsi capi". Il re mostra di desiderare la pace perché la guerra sarebbe esiziale per la stabilità del trono, ma "quanto poi che la pace si vogli conservar per sempre non è credibile perché il re è di spirito marziale e guerriero" e non si tirerebbe indietro in caso di gravi mutamenti internazionali. Nei confronti degli altri Stati il re Sole è comunque animato da spirito distensivo, con l'eccezione della Spagna, con la quale la "Francia sarà sempre di genio d'affetto e d'interessi diversi". Verso l'Impero ottomano il re applica "l'antica massima che sia quell'amicizia molto conferente per la Cristianità" e per la salvaguardia dei Luoghi santi, dei quali la Francia è gelosa protettrice. La Repubblica di S. Marco "resta amata e compatita" dal sovrano, cui sta a cuore la sorte di Candia, che vorrebbe soccorrere, ma molto dipende dalla situazione europea.
Dopo il ritorno a Venezia, il G. ottenne le cariche di savio del Consiglio e di censore, che terminò nell'aprile 1664, ma il suo stato di salute andò progressivamente peggiorando, "oppresso" - ricorda il fratello Antonio - "dalle indisposizioni contratte in Francia", fino alla morte, l'8 febbr. 1665.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, 17, p. 157; Avogaria di Comun, Nascite, VIII, c. 166v; Archivio proprio Spagna, filza 31; Senato, Dispacciambasciatori, Francia, filze 125-132; Inghilterra, filza 47; Commissioni, 7, cc. 410-412; Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, regg. 16, cc. 22 s.; 17, c. 44; 18, cc. 6, 36; Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 19, c. 86; 20, cc. 25, 37; 21, cc. 8, 26; Proposte, c. 4; Senato, Esposizione principi, 80 (27 marzo 1663: lettera di Luigi XIV); Collegio, Relazioni ambasciatori, Francia, b. 10; Arch. Morosini - Grimani, 281, 487/XVI, 545; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codici Cicogna, 3156, 1707, 1710; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, V, Francia, Torino 1978, pp. XXXII s.; VII, Francia, ibid. 1975, pp. 69-119 (relazione di Francia); B. Nani, Istoria della Repubblica di Venezia, in Degl'istorici delle cose veneziane, II, Venezia 1720, p. 483; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 28, 103, 541; V, ibid. 1842, p. 541; L. von Ranke, Französische Geschichte, V, Stuttgart-Tűbingen 1861, pp. 232-234.