DIEDO, Alvise
Figlio di Marco, del ramo da Ss. Apostoli della antica famiglia appartenente al patriziato veneziano, e di una nobildonna veneziana intorno alla quale dalle fonti nulla è dato di sapere, nacque a Venezia tra gli ultimissimi anni del sec. XIV e i primissimi del XV.
Circa il nome di battesimo del D., le fonti a disposizione accreditano anche la variante Ludovico, che non pone, comunque, problemi di identificazione in considerazione della sostanziale unica valenza semantica dei due battesimali in area veneziana per il periodo, confermati, in ogni caso, da una nutrita schiera di esempi degni di fede.
Tra gli omonimi coevi dei D. si ricordano: Alvise figlio di un Giacomo Diedo, provato in Maggior Consiglio nel 1430, privo di interessi politici; e Alvise, figlio di Antonio Diedo, più giovane di circa un decennio, provato in Maggior Consiglio nel 1438, attivo politicamente nella seconda metà del sec. XV. Gli Arbori del Barbaro gli attribuiscono un fratello, Francesco, provato in Maggior Consiglio nel 1417.
Provato in Maggior Consiglio nel 1425, il D. si sposò nel 1429 con Creusa di Giovanni Boldù, dalla quale secondo una poco verosimile notizia del Barbaro, ebbe diciassette figli maschi e sette femmine.
Lo stesso Barbaro, d'altro canto, nel ricostruire l'albero genealogico del D., limitò la propria attenzione solo ad otto dei suoi figli: Marco, probabilmente il primogenito, e, per quanto è dato di conoscere, premorto al padre; Vettore, che seguì spesso il D. nei suoi impegni fuori Venezia e morì alla fine del 1462; Francesco, insignito del dottorato e distintosi per l'intensa attività politica, militare e diplomatica; Pietro, che ottenne il cavalierato, titolo che è testimonianza di specifici meriti diplomatici; Domenico, Zuanne, Gerolamo; e Taddea, andata sposa nel 1461 a Perazzo figlio di Giovanni Malipiero. A questi sono da aggiungere, in quanto ricordati dallo stesso D. nel proprio testamento, Alvise e Marietta.
Null'altro si conosce della giovinezza, degli studi, degli interessi del D. negli anni della sua formazione. Non diversamente da molti altri esponenti del patriziato veneziano di quel periodo, il D. dovette comunque dedicarsi attivamente al commercio internazionale, frequentando in prima persona le più importanti piazze del Mediterraneo al seguito delle "mude" veneziane, partecipando con proprie quote all'appalto delle galere statali e diversificando i propri investimenti in più imprese come suggerivano le migliori opportunità del momento, secondo la consolidata e quanto mai efficace consuetudine mercantile del tempo. Quando fu più avanti negli anni, rispettando pienamente una diffusa abitudine veneziana, si fece accompagnare nei propri spostamenti dai figli, in particolare da Marco e da Vettore, che venivano così iniziati alla mercatura e alla politica oltre che temprati nello spirito e nel corpo.
A quanto suggeriscono le fonti a nostra disposizione, durante la sua vita pubblica il D. alternò frequentemente impegni politici in patria con incarichi di comando sulla flotta mercantile o in quella militare, e missioni diplomatiche con reggenze nello Stato da terra e nello Stato da mar, maturando per questa via una notevolissima esperienza della realtà politica ed economica veneziana e internazionale.
Patrono di galera nella "muda" della Tana nell'estate del 1437, fu eletto nel settembre dell'anno successivo ufficiale di notte per il sestiere di S. Croce, ma gia pochi mesi dopo riprendeva il mare in quanto patrono di galera nella "muda" di Fiandra e vicecapitano della galera diretta a Londra. Eletto nel gennaio del 1443 (1442 more veneto) provveditore di Comun, fu ancora per mare l'anno seguente, essendo stato nominato il 1º dicembre sopracomito sotto il comando del capitano del Golfo, Orsatto Giustinian. Nel giugno del 1444 venne eletto "officialis ad videndum rationes X officiorum", una sorta di addetto al riscontro amministrativo-contabile; e nel giugno del 1448 fu nominato conte di Traù, ma iniziò il governo di quella città solamente il 17 marzo dell'anno successivo.
Praticamente impossibile conoscere nei dettagli l'attività svolta dal D. tra un incarico pubblico e l'altro. Sicuramente si trovava a Venezia nel maggio del 1445 quando, davanti agli avogadori di Comun, il 26 di quel mese giurava per un carato della galera di Cipro, il cui patrono era Piero Orio. Ancora doveva essere in patria nella primavera e nell'estate del 1447; infatti il 19 aprile di quell'anno, sempre davanti agli avogadori di Comun si impegnava, insieme con Antonio Bondumier, quale plezius (fideiussore) di Giovanni Bondumier, patrono di una delle galere di Fiandra, e giurava per 10 carati della stessa; mentre il 27 luglio successivo giurava per un carato della galera di Alessandria (patrono Andrea Soranzo). A Venezia doveva trovarsi pure nell'estate del 1448, come attesta il suo giuramento per un carato di una delle galere di Alessandria (patrono Luca Contarini) prestato il 19 luglio di quell'anno.
Terminato il proprio mandato a Traù il 14 giugno 1451, quando gli subentrò Benedetto Contarini, il D. fece rientro in patria il 26 giugno. Il 12 settembre dello stesso anno fu eletto in Pregadi per l'anno successivo e il 24 genn. 1452 (1451 more veneto) venne nominato savio del Collegio. Il 10 gennaio precedente era stato designato dallo stesso Pregadi a incontrare - insieme con Giacomo Badoer, Benedetto Soranzo e Bernardo Giustinian - l'imperatore eletto Federico III d'Asburgo che, entrato in Italia il 1º genn. 1452, si apprestava ad attraversare i territori della Repubblica, diretto a Roma per ricevere la corona imperiale. Successivamente, nel maggio sempre del 1452, fu tra i quindici oratori veneziani che accolsero a Chioggia lo stesso Federico III di ritorno da Roma, e lo scortarono fino a Venezia. Nell'occasione la moglie del D., Creusa, fu una delle tre gentildonne veneziane chiamate al seguito dell'imperatrice Eleonora di Portogallo: testimonianza, questa, quanto mai significativa del prestigio allora goduto dal Diedo.
Il 14 maggio 1452 il D. fu eletto capitano delle galere di Romania. Nel dicembre dello stesso anno, di ritorno dalla Tana, si trovò a Costantinopoli mentre sempre più grave si profilava la minaccia turca sulla città. Il 13 dicembre, sulla sua galera, si tenne il consiglio generale e, nonostante il suo parere contrario (che teneva conto, oltre che degli interessi particolari dei mercanti imbarcati, dei parcenevoli e dei committenti, anche di quanto gli imponeva la commissione ricevuta al momento dell'imbarco), venne presa la decisione che le tre galere veneziane rimanessero a difesa dell'estremo baluardo dell'Impero. Il D., che nell'occasione era accompagnato dai figli Marco e Vettore, fu nominato comandante del porto e con le sue navi, nell'aprile del 1453, quando ormai si attendeva imminente la rovina della città, si pose a strenua difesa dello stesso. Caduta Costantinopoli il 29 maggio, riuscì a sottrarsi con la sua galera alla cattura e a recarsi a Pera, intendendo discutere con il podestà genovese le misure da assumere per un eventuale contrattacco o una fuga comune, ma venne da quello trattenuto mentre venivano chiuse le porte della città e l'ingresso del porto veniva sbarrato con la catena. L'intervento deciso e risoluto dei galeotti, che ormai disperavano della propria salvezza, valse ad ottenergli dal podestà il permesso di allontanarsi da Pera e, frantumata la catena, il D. poté uscire dal porto e recarsi in mare aperto dove attese eventuali fuggiaschi e finalmente prese il largo facendo rotta per Venezia dove, appena sbarcato, fu chiamato il 4 luglio a fare il proprio rapporto in Collegio.
Eletto in Pregadi per l'anno successivo il 18 ag. 1454 e riconfermato in tale Consiglio con l'elezione del 6 ag. 1455, il D. fu il 31 genn. 1456 (1455 more veneto) eletto provveditore alle Biave e il 3 maggio dello stesso anno chiamato in zonta al Consiglio dei dieci. Il 21 giugno 1456 venne eletto podestà di Vicenza. Questa notizia risulta ampiamente confermata dalle fonti documentarie contro quanto sostenuto da taluni studiosi secondo i quali il D. assunse la podestaria vicentina tra il 1453 e il 1454.
Così sostengono, ad esempio, il Bressan e il Rumor, i quali affermano che furono podestà di Vicenza nel 1456 e nel 1457 Lazzaro Moro, figlio di Marino, e il di lui fratello Lorenzo, senza comunque segnalare le fonti documentarie utilizzate. Il registro n. 3 della serie Senato, Terra, conservato presso l'Archivio di Stato di Venezia, vuole invece podestà di Vicenza per gli anni 1453-1454 Lorenzo Moro, escludendo quindi anche la minima possibilità che il D. avesse assunto per due volte tale podestaria, ove non fosse risultata sufficiente a risolvere il problema l'elezione a Pregadi del D. del 18 ag. 1454.
Il 17 settembre il D. venne eletto in Consiglio dei dieci, rivestendone più volte le funzioni di capo e di inquisitore, e il 26 apr. 1462 venne scelto quale conte di Zara. Prima di raggiungere la sede del suo nuovo incarico, ebbe comunque modo di partecipare, l'11 maggio, alla elezione del doge Cristoforo Moro. Giunse a Zara il 26 maggio, accompagnato dal figlio Vettore. Il 9 giugno, conformemente alle abitudini veneziane, scrisse di propria mano il testamento. Lo modificò il 31 dic. 1462, dopo la morte del figlio Vettore. È, questo, l'ultimo avvenimento a noi noto dell'esistenza del D.: l'ultimo intorno al quale le fonti a nostra disposizione non si rivelino ambigue.
Scrive infatti il Barbaro nei suoi Arbori, intendendo tali avvenimenti come successivi alla elezione del D. a conte di Zara (anticipata, tra l'altro, inspiegabilmente al 1461), ma comunque senza storicizzarli ulteriormente: "Fu schiavo [il D.] dei Turchi e ritrovandosi prigioniero in Costantinopoli ebbe la permissione di venire alla patria, lasciando Vettor, suo figlio, per ostaggio, ma giunto a Zara morì d'allegrezza e fu sepolto a S. Giovanni e Paolo con iscrizione".
Inspiegabile, in tale passo del Barbaro, la notizia della morte del D., che sarebbe avvenuta per la gioia di essere ritornato in patria pur avendo lasciato il figlio in mano ai Turchi; notizia difficilmente conciliabile soprattutto con la modifica autografa apportata dal D. al proprio testamento, il 31 dic. 1462, giusto in seguito alla morte di Vettore. Si potrebbe tentare una ricostruzione di questi avvenimenti ipotizzando una cattura del D. e del di lui figlio avvenuta durante il suo governo di Zara; la morte di Vettore, mentre era ancora ostaggio dei Turchi; e quella del D. avvenuta in un periodo compreso tra il 31 dic. 1462, data della correzione del testamento, ed il 3 nov. 1463, quando giunse a Zara, in ogni caso alla scadenza del mandato del D., il successore di quest'ultimo, Luca Moro. In tal modo ci si atterrebbe fedelmente a quanto si dice nella iscrizione tombale del D., riportata dal Cappellari Vivaro e, ma solo entro certi limiti, a quanto scrive non senza contraddizioni lo stesso Cappellari Vivaro sempre nel suo Campidoglio veneto: "...indi in certa rotta che ebbero l'armi venete da Turchi, [il D.] rimase prigione, onde condotto in Costantinopoli vi dimorò sino all'anno 1480; che impetrò da Barbari nemici di poter venire a Venetia per provvedersi di riscatto, lasciandoli in questo mentre per ostaggio Vittore, suo figliolo, ma il seguente epitaffio dimostra che lo lasciasse prigione nell'Inghilterra; morì finalmente essendo podestà a Zara e giace sepolto nella chiesa di S. Giovanni e Paolo, dove si legge: "Ludovicus Diedo X viro p[osui]t. Bisantino capto et in Britannia filio meis causa in vinculis, relicto, Venetorum classem per medios hostes tuto in patriam avexit. Tandem Iadere Pretor mortales docuit, pulchrum esse pro Republica mori. Sibi et posteris suis"".
Ampiamente scontate le contraddizioni in cui cade in questo passo il Cappellari, che sembra comunque aver in esso contaminato più fonti a sua disposizione, non esclusi gli Arbori del Barbaro, dai quali assume la notizia che il figlio rimasto ostaggio fosse Vettore, ritenuto vivo tra l'altro, erroneamente, nel 1480; poco compatibile ancora la cattura da parte dei Turchi con la prigionia in Inghilterra. Impossibile pertanto con l'ausilio delle fonti al momento disponibili cercare di dipanare una trama quanto mai intricata, a meno di voler scindere in fatti isolati e a sé stanti avvenimenti non altrimenti interdipendenti e suggerire, conseguentemente, una ridda di ipotesi destinate fatalmente a smentirsi vicendevolmente.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea codici I, Storia veneta, 19:M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, cc. 211, 216, 233, 235; Ibid., Miscell. codici I, Storia veneta 59, c. 186v; Ibid., Miscell. codici III, Cod. Soranzo 32: G. A. Cappellari Vivaro, Campidoglio ven., II, c. 5; Ibid., G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, pp. 128, 385; Ibid., Arch. notarile, Testamenti, b. 1235, Notaio A. Savina, n. 149; b. 1237, Notaio A. Savina, n. 149; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 169, c. 111v; reg.178, cc. 95, 134, 154v, 191v, 209v; Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 16, c. 151; Ibid., Consiglio dei dieci, reg.15, c. 94v; reg.16, cc. 14, 15v-16v, 18, 21-22v, 24v, 26-28, 29v, 32, 34-37; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 22, Liber Ursa, c. 180v; Ibid., Provveditori alle Biave, b. 1, Capitolari, II, c.104v; Ibid., Segretario alleVoci, Misti, reg. 4, cc. 8, 36v, 55, 80, 90v, 91v, 142v, 152v, 157, 172; reg.5, cc. 17, 22v; Ibid., Senato, Mar, reg. 4, cc. 61, 199;Ibid., Senato, Misti, reg. 59, c. 188; reg. 60, cc. 12v, 130v; Ibid., Senato, Secreti, reg. 19, cc. 112v-113, 115; Ibid., Senato, Terra, reg. 3, cc. 79v, 123v, 159v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 197 (= 8162), c. 155; Ibid., Ibid., cl. VII, 198 (= 8383), c. 8v; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1145, 1151, 1171; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1834, p. 119; N. Barbaro, Giornale dell'assedio di Costantinopoli, a cura di E. Comet, Vienna 1856, pp. 8, 11, 15 s., 28 s., 33, 38, 57 s., 60, 62; Cronaca di anonimo veronese, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, p. 25, n. 3; F. Thiriet, Régestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Romanie, III, Paris-La Haye 1961, p. 188; I. Valentini, Acta Albaniae Veneta, III, 21, Monaci in Baviera 1975, p. 45; S. Castellini, Storia della città di Vicenza, XII, s. l. 1821, p. 214; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 249, 252, 258 s.; B. Bressan, Serie dei podestà e dei vicari della città e territorio di Vicenza, Vicenza 1877, p. 125; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, II, Gotha 1920, p. 360; S. Rumor, Ipodestà vicentini nei secc. XII-XX, Vicenza 1927, p. 28; S. Runciman, The fall of Constantinople, Cambridge 1965, pp. 83, 93, 141 s.