BATTAIA, Alvise
Nacque, primo di tre figli di Lazzarino, il 10 sett. 1575; il padre fu provveditore di Asola, podestà di Serravalle nel 1572 e di Motta nel 1580, e morì nel 1583, essendo podestà e capitano di Mestre. Al B. invece l'irrequietezza e l'avidità di danaro prepararono una sorte diversa da quella di una sia pure modesta carriera politica.
Egli fu denunziato agli inquisitori di Stato il 1º ott. 1612 da una "polizza" di un tal Alessandro Granzino, servitore dell'ambasciatore di Spagna, Alonso de la Cueva y Benavides, più tardi marchese di Bedmar, secondo cui il B. era da alcuni mesi in dimestichezza col Bedmar, in casa del quale aveva avuto "licenza" di liberamente scommettere sull'assegnazione delle cariche in Maggior Consiglio, cosa allora, benché proibita, molto in voga e conforme al clima politico del tempo, caratterizzato da sfrenate ambizioni e brogli. Il B. e il nobile veneziano Alvise Gabriel avrebbero litigato in casa del suddetto ambasciatore spagnolo, a quanto si può congetturare, per una questione di denaro, ed il Gabriel avrebbe rinfacciato al B. di essere "spion della Repubblica".
Tutto ciò era comunque sufficiente per far cadere forti sospetti sul B., tanto più che lo stesso scommettere poteva apparire un pretesto per avere, frequentandone la casa, maggiori possibilità di colloqui diretti coll'ambasciatore: "dicono che fuosse con desenno et che sotto questo platichasse con el ambaxador et avisasse il tutto", scriveva al duca di Mantova un suo informatore che viveva in casa del Bedmar, lo spretato portoghese Antonio Meschita (cfr. A. Luzio, La congiura spagnola contro Venezia nel 1618 secondo i documenti dell'Archivio Gonzaga, in Misc. di storia veneta, s. 3, Venezia 1918, p. 163). Pertanto il B., per ordine del Consiglio dei Dieci del 24 ott. 1612, fu arrestato e, una volta in carcere - lo sappiamo dal citato messaggio dei Meschita -, torturato; certo non facilitò la sua posizione il sapere che aveva "amicizia coi cavalier [Angelo] Badoer", il quale, qualche mese prima, era stato costretto a fuggire da Venezia per evitare un processo per tradimento. Così almeno informava il Granzino il 14 novembre di aver letto nella lettera inviata dal Bedmar all'ambasciatore spagnolo a Roma, con cui dava notizia dell'accaduto. Né l'episodio era rimasto inosservato e privo di ripercussioni; simili incarceramenti - scriveva il nunzio pontificio da Venezia alla Segreteria di Stato il 10 novembre - "nuocciono in estremo anco a me, poiché ogn'uno s'atterrisce non solo di trattare e ragionare, ma di venire tanto a casa mia quanto dall'ambasciatore, il quale è grandemente alterato di queste essecutioni e si duole di simile modo di procedere, co'l quale s'impedisce ogni commercio" (Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Venezia, reg. 42, c. 596). Infatti il Consiglio dei Dieci era deciso a dare un esempio tale da scoraggiare il ripetersi di simili episodi; e così, il 27 nov. 1612, il B. fu condannato a dieci anni di prigione, Alvise Gabriel a tre, e si ordinò che la sentenza fosse resa pubblica. Inoltre, a ribadire le precedenti proibizioni, nello stesso giorno, i Dieci proclamarono che, senza loro licenza, nessun nobile osasse "andar alla casa di alcun ambasciatore, residente o ministro di Principe o dominio alieno, o di segretarii e ministri di ambasciatori, né ricevere nella sua casa alcun de tali pubblici rappresentanti".
Il B. morì in carcere nel luglio del 1615.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato. Riferte di confidenti, buste 201 (n. 84), 606 (nn. 8-14), 607 (n. 2); ibid., Consiglio dei X Criminal, reg. 29, cc. 66r, 68v, 78rv; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, cod. It., cl. VII, DCCCCXXV (= 8594), M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, I, f.102r; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VI, Venezia 1857, pp. 105, 139 s.; P. Molmenti, Le relazioni fra patrizi veneziani e diplomatici stranieri, in Nuova antologia, marzo-apr. 1917, pp. 10 s., 13 n. 1.