ÁLVAREZ DE VILLASANDINO detto anche DE ILLESCAS, Alfonso
Nato verso la metà del sec. XIV, morto dopo il 1425, poetò durante quattro regni, iniziando la sua carriera verso il 1370 nei palagi di Enrico II e dando saggi della sua attività poetica sin verso il 1425. Nonostante la molteplicità dei suoi amori, fu ammogliato due volte, e, come si ricava dalle rubriche del Cancionero de Baena, nel matrimonio trovò il provvidenziale castigo delle sue colpe. Perdé al giuoco il suo danaro, e col tempo i suoi versi non incontrarono più l'antico favore; in tarda età, si descrive viejo, cano, calvyllo, y lleno el rostro de arrugas y el cuerpo de bizmas de socrocio.
Poeta vero non fu, ma un abile verseggiatore, che, in gallego e in castigliano, con vena abbondante e ricca varietà di metri, si valse della sua arte come d'un mezzo di sussistenza, usandola, per conto proprio e altrui, in argomenti sacri e profani, politici e picareschi, devoti e osceni. Mediatore poetico di amori leciti e illeciti, fornì versi al conte di Balbuena, don Pedro de Niño, a don Pedro Manrique e soprattutto a don Enrico II; ma non tralasciò di cantare i suoi amori, ora platonicamente, ora realisticamente, percorrendo nelle sue passioni tutta la scala sociale, dalla regina di Navarra e dall'infanta di Castiglia a una mora, per la quale compose i suoi versi più ricchi di sentimento. Spietato nella satira, aguzzò la sua maldicenza contro coloro che non lo pagavano, burlandosi di tutti, persino di sé stesso. Per la sua fisionomia e i suoi costumi somiglia ai giullari, per i quali non disdegnò di comporre estribotes, e di questo metro popolare castigliano, usato dall'Arciprete de Hita per i canti dei ciechi e scolari vagabondi, si valse egli stesso per mendicare dinanzi alla corte di Giovanni II. Chiede doni giullareschi; nelle feste aspira alla nomina di rey de la faba (probabilmente analoga a quella di rex versuum, rex histrionum); ma s'ingannerebbe chi credesse che possa andar confuso con giullari. Ricercato e protetto da re e principesse, armato cavaliere da Enrico II, ammirato dal Baena, che non esita a proclamarlo "monarca di tutti i poeti e trovatori che finora sono vissuti in tutta la Spagna", meglio di ogni altro, egli rappresenta il trovador ajuglarado, il trovatore che, perduta l'antica considerazione sociale, abbassa la sua arte a mezzo di sussistenza,come gli antichi giullari; e la sua produzione poetica segna il passaggio dall'ultima fioritura della poesia della scuola gallega al primo svolgimento della lirica cortigiana castigliana; poesia che subisce, come osserva il Menéndez Pidal, cangiamento di carattere perché, abbandonando i suoi temi più propriamente lirici, cessa di essere poesia cantata.
Ediz.: In Cancionero de Baena, ed. P. J. Pidal, Madrid 1851; ed. Fr. Michel, Lipsia 1860; e in Cancionero castellano a cura di R. Foulché-Delbosc, in Nueva Bibl. de autores españoles, XXII, pp. 312-439.
Bibl.: M. Menéndez y Pelayo, Historia de la poesía castellana, Madrid 1911, 1913, I, pp. 386-389; e R. Menéndez Pidal, Poesia juglaresca y juglares, Madrid 1924, pp. 280-285.