Altoviti
Antica consorteria fiorentina, alla quale gli araldisti del Cinquecento e del Seicento attribuirono ascendenza addirittura a Furio Camillo, in armonia con la tradizione cronistica e con i moduli storiografici eruditi, che si rifacevano alle origini romane della città e delle casate più cospicue di essa; oppure si attribuì agli A. come capostipite un cattano longobardo, Tebalduolo, al quale si assegnavano senza molto fondamento estesi possedimenti nella val d'Elsa. Quest'ultima tesi fu accolta dal Landino nel commento alla Commedia (Pd XVI), ed è fondata più che altro sul fatto che i nomi di Longobardo e di Tebalduolo ritornano frequentemente fra gli A. nei secoli del Medioevo.
Il Passerini, che nel sec. XIX fece l'esame critico delle conclusioni raggiunte dalla storiografia erudita, e la ricerca e la rielaborazione delle fonti cronistiche e documentarie relative agli A., stabilì che la documentazione più antica circa questa famiglia ha inizio solo verso la fine del secolo XII, e mostra che, piuttosto, gli A. furono originari del Valdarno superiore, ove avevano ampi possedimenti fondiari. Nel 1192 un Longobardo di Corbizzo abitava in Firenze, nel Borgo Santi Apostoli, ove possedeva case e torri; in un altro atto del 1210 ne sono citati i figli, Davanzato, Scorcia, Corbizzo, Squarcialupo, Iacopo, Caccia e Altovita, dal quale ultimo forse ebbe nome definitivamente tutta la consorteria. I rami di essa che si moltiplicarono nei secoli XIV e XV e, per certa parte almeno, vissero fino ai primi decenni del nostro secolo, ne costituiscono la discendenza, che si trova ben presto largamente inserita nella società fiorentina e nel governo del comune, in posizioni spesso di responsabilità politica e di grande influenza sul piano economico e amministrativo (fra il 1282 e il 1532 i membri di questa casata furono per 107 volte priori e per 11 volte gonfalonieri).
Dei figli di Longobardo, Altovita fu ghibellino; nel 1227 fu armato cavaliere e nominato consigliere da Federico II di Svevia, in ricompensa dei servigi resi alla Parte imperiale. Suo fratello Caccia fu, invece, del partito opposto, e per questo subì grossi danni nei suoi possessi cittadini nel 1260; il figlio Vinta sottoscrisse insieme con i guelfi la pace del 1280 e fu gonfaloniere nel 1307, avendo aderito ai Neri; Paolo di Bardo di Vinta fu strumento della signoria angioina su Prato alla metà del secolo XIV e servì nelle file della diplomazia fiorentina in più occasioni. Il fratello di Paolo, Vinta di Bardo di Vinta, fu compreso tra i ‛ grandi ' colpiti dalle condanne del duca di Atene, che lo fece accusare di baratteria e multare di cinquecento fiorini; l'intera consorteria fu solidale col condannato e cercò la vendetta contro il Brienne accostandosi ai nemici del signore e contribuendo a determinarne la caduta.
Altrettanto qualificati per prestigio sociale e per impegno politico furono gli A. del ramo discendente da Davanzato di Longobardo, già ampiamente ricordati in documenti dei primi decenni del secolo XIII. Nell'età comunale e repubblicana essi furono giureconsulti, uomini d'arme, diplomatici, membri della signoria; si legarono, nel Quattrocento, con i Medici e i Cybo, con clientele e parentele le quali ne facilitarono le già notevoli fortune economiche; tuttavia, parecchi esponenti della famiglia mutarono in seguito atteggiamento politico, divenendo avversari del principato. Una simile parabola politica fu percorsa dai discendenti di Altovita di Longobardo, che, però, furono più attivi nel Quattrocento che non nel periodo dantesco. A questo ramo appartenne Palmieri di Ugo.
Da questi A. va distinta un 'altra famiglia dello stesso nome, degli A. detti Baroni, che negli ‛ squittini ' preliminari al conferimento dei principali uffici del comune è annotata come iscritta all'arte dei legnaiuoli e che si estinse alla fine del secolo XVI. Consorti degli A. furono i Corbizzeschi, che si denominarono così per differenziarsi dai più antichi Corbizzi, altra potente consorteria magnatizia fiorentina; anche questi Corbizzeschi - i quali diedero un console al comune nel 1201 (Corbizzo di Caccia) - si estinsero ai primi del Cinquecento.
Gli A. portarono a lungo per arma un lupo rampante d'argento, armato, linguato e illuminato di rosso, in campo nero. Ai primi del secolo XVIII, avendo assunto anche il cognome di Avila per successione dell'ultimo di quella famiglia, Pietropaolo, porta rono uno stemma inquartato, recante nel primo e nel quarto 186 l'arme tradizionale, e nel secondo e nel terzo un 'aquila d'oro in campo azzurro.
Bibl. - L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia A., Firenze 1871; ID., nel commento ad A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, IV, ibid. 18452, 1499-1509. Per le vicende più recenti cfr. F. Sartini, Altoviti Avila, in Enciclopedia storico-nobiliare italiana, diretta da V. Spreti, I, Milano 1928, 366, e le ancora più recenti ricerche raccolte nelle Carte Sebregondi, conservate nell'Arch. di Stato di Firenze.