SPINELLI, Altiero
– Nacque a Roma il 31 agosto 1907 da Carlo e da Maria Ricci, originari di Chieti e sposatisi a Roma nel 1905. Ebbero tre figli maschi e cinque femmine. Maria – sorella dell’economista Umberto, vicino a Luigi Einaudi – fu costante riferimento per il suo secondogenito Altiero, peraltro assai legato anche al padre, viceconsole italiano a Campinas, in Brasile, tra il 1908 e il 1912, dirigente di filiale bancaria e uomo d’affari di forte personalità, trasferitosi in Eritrea nel 1937 dopo dissapori coniugali.
La famiglia Spinelli, di ascendenza pugliese, era culturalmente ricca, di propensioni socialiste-anticlericali, forte dell’eroismo risorgimentale del nonno materno Cesare Ricci (A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, 1984, p. 28) e di propensione occidentalista. Carlo, attivo ad Asmara insieme al fratello Eugenio, risulta agli atti del casellario politico del 1943 come antifascista «ariano» in affari con gli inglesi, «da arrestare» (Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 4914, f. 026752). Il suo terzo figlio, Veniero, valoroso pilota antifranchista, poi nella Legione straniera, raggiunse da clandestino gli Stati Uniti, dove nel 1941 sposò Ingrid Warburg, dei noti banchieri e appassionati d’arte, impegnata nell’aiuto ai rifugiati. In contatto con l’OSS (Office of Strategic Services), il servizio di intelligence americano, Veniero tornò in Italia come soldato statunitense, per poi fondare con altri, nel maggio del 1945, un’associazione federalista europea, il MAFE (Movimento Autonomista di Federazione Europea, che dal 1948 divenne MAFEUM, il Movimento Autonomista per la Federazione Europea e l’Unione Mondiale).
Altiero, diplomato al liceo romano Terenzio Mamiani e poi iscritto all’Università La Sapienza (dove insegnò lo zio Umberto Ricci, dal 1929 in Egitto per antifascismo), incoraggiato da suo padre alle letture marxiste, ammirò la resistenza degli operai al regime fascista (A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, cit., p. 54). Nel 1924 aderì alla Federazione giovanile e al gruppo universitario comunista: l’azione di popolo era per lui trasformatrice degli equilibri, come ribadì anche in seguito.
Lodato da Antonio Gramsci (Ravera, 1973, p. 203) divenne segretario interregionale della gioventù comunista, finché nel giugno del 1927 – nel 1926 era stato a Parigi al congresso dei giovani comunisti francesi – il clandestino ‘Ulisse’ fu arrestato a Milano. Era legato alla militante comunista Tina Pizzardo, matematica universitaria torinese e nipote di Giuseppe Pizzardo, che nel 1937 divenne cardinale. Condannato dal tribunale per la difesa dello Stato a sedici anni e otto mesi di carcere (di fatto dieci anni, per le amnistie), seguiti nel 1937 da sei di confino, fu il politico più a lungo detenuto dopo Umberto Terracini. Trasferito da Milano a Roma nel luglio del 1927, poi a Lucca nel maggio del 1928, a Viterbo nel gennaio del 1931 e a Civitavecchia nel luglio del 1932, si dedicò ai classici della filosofia, dell’economia, della fisica, coltivando più lingue: un intellettuale affascinante per chi lo ha conosciuto, «pericolosissimo» invece per carcerieri e polizia al pari di Cerilo, l’altro fratello «pure comunista», anch’egli detenuto (Leone, 2017, p. 62).
Dopo il primo triennio di isolamento, il suo entusiasmo comunista prese a raffreddarsi, ma senza cedimenti al regime. Benché da casa lo esortassero a chiedere la grazia, il poco più che ventenne Spinelli si limitò a un vano ricorso al duce per la revisione del processo. Ad affievolire la fede comunista contribuirono le letture di Benedetto Croce. La «religione della libertà» lo rese critico sia della dittatura del partito sovietico che della dottrina del social-fascismo, tanto che il capocellula del carcere di Viterbo (era finito l’isolamento) ne informò i vertici moscoviti. Stando a scritti filosofici successivi, Spinelli finì poi per allontanarsi dallo stesso Croce, valorizzando la creatività dell’intelletto del singolo individuo, generatrice di progresso, da inverare nel concreto (Gui, 2010, p. 20 nota).
L’espulsione dal Partito comunista d’Italia, dopo diatribe con Pietro Secchia, Giorgio Amendola e gli altri, avvenne nel 1937 al confino di Ponza; Spinelli rifiutava Iosif Stalin, i processi di Mosca, i fronti popolari, benché l’URSS sostenesse l’antifranchismo. Nel 1938 tradusse tra gli altri, dietro compenso, un libro di Eduard Fueter (Storia della storiografia moderna, pubblicato a Napoli da Ricciardi nel 1943-1944), per la cui edizione si interessò Croce, grazie forse allo zio Ricci.
Trasferito nel luglio del 1939 all’isola di Ventotene, il «troschista» (così per la polizia) Spinelli perorava la libertà intellettuale, la libertà dal potere oppressivo e anche dell’autoaffermazione di sé. Anelava a una società ricca di interessi e fini, di scienza, di progresso, erede della storia occidentale, respingendo il conformismo comunista (A. Spinelli, Il linguaggio..., 2006, p. 27). A farne il coautore del celebre Manifesto del 1941 «Per un’Europa libera e unita», fu il legame con Ernesto Rossi, futuro ispiratore del Partito radicale e discepolo di Einaudi, erede dell’europeismo ottocentesco.
I due confinati, ovvero i ‘Severo’ (poi ‘Pantagruel’, sempre Spinelli) e ‘Ritroso’ (Rossi, dal 1943 ‘Empirico’) protagonisti dei loro dialoghi e carteggi, attinsero molto alla cultura anglosassone: tra gli altri, Alexander Hamilton, Lionel Robbins, Lord Lothian (Philip Henry Kerr) e Philip Wicksteed. L’obiettivo era salvare la società europea dalla «crisi di civiltà» dando vita a un innovativo «partito rivoluzionario», «guida» delle classi popolari (parole di Rossi a Gaetano Salvemini, non estranee al «leninismo» spinelliano). In più, riforme a carattere socialista-liberale per l’intera Europa (Graglia, 2008, p. 144).
A unirsi ai due fu ‘Commodo’, alias Eugenio Colorni, futuro curatore dell’edizione clandestina del Manifesto, a Roma nel 1944, dove cadde ucciso prima della liberazione della città. Marito di Ursula Hirschmann, presto legatasi a Spinelli e sorella dell’economista Albert emigrato negli Stati Uniti, il dirigente socialista Colorni, studioso di Gottfried Wilhelm von Leibniz, apportò il suo sapere filosofico. Per nutrirsi allevò polli con Altiero, l’affascinante evocatore vuoi dell’erotismo del gallo, vuoi dei crudeli amori dei ragni contemplati in cella (A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, cit., pp. 130, 284).
Ursula aveva avuto tre figlie con Colorni: Silvia, Renata ed Eva. Da lei, sposata nel gennaio del 1945, Spinelli ne ebbe altre tre: Diana, nata nel 1944, Barbara, nata nel 1946, e Sara, nata nel 1955.
Per il Manifesto, scritto nel periodo più cupo del conflitto, causa delle guerre non era il capitalismo bensì la sovranità assoluta degli Stati nazione, fra loro perennemente rivali, da superare per l’opera di innovativi rivoluzionari di professione. Il vero crinale fra progressisti e reazionari stava nel dire sì o no all’Europa federale, anche se poi la presa del potere dal basso, in analogia con il 1917, si sarebbe rivelata impraticabile, data la presenza russa e americana.
Tra i compiti del dopoguerra nel Manifesto figuravano inoltre, di fatto per mano di Rossi, la regolamentazione della proprietà privata – evitando i monopoli, in primis dell’industria elettrica – e anche lo Stato sociale. Ormai l’economia poteva dare a tutti una casa e un reddito, insieme all’istruzione pubblica. Da notare un’analogia dialettico-narrativa con il Manifesto di Karl Marx: i meriti mutatisi in demeriti del capitalismo venivano trasferiti allo Stato nazione, prima progressivo, poi oppressivo (Gui, 2010, pp. 11 ss.).
Del 1942 è il saggio Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche e del 1942-1943 Politica marxista e politica federalista, editi da Colorni nel Manifesto del 1944. Per Spinelli, cultore della «civiltà della personalità», sia le democrazie nazionali sia il collettivismo statalista creavano rivalità fra i popoli, in quanto «civiltà di massa» (Graglia, 2008, p. 166). A riprova, il Manifesto esordisce con «l’uomo, autonomo centro di vita».
Liberato dopo il 25 luglio 1943, portando con sé le Tesi federaliste che aggiornavano il Manifesto (Roma, 1954), Spinelli raggiunse Milano per fondarvi, il 27-28 agosto, il Movimento federalista europeo (MFE). A casa di Mario Alberto Rollier si raccolsero Rossi, Colorni e altri, fra cui Vittorio Foa, Giorgio Braccialarghe, Leone Ginzburg, alcuni vicini al Partito d’Azione (Pd’A), al quale Spinelli aderì nel novembre del 1943, sollecitato da Leo Valiani. Scartò invece il Partito socialista italiano di unità proletaria dopo colloqui con Colorni e Pietro Nenni.
Il termine movimento rivelava il cambio strategico: dato che l’Europa era in soggezione, si doveva operare all’interno di partiti e Stati con la destrezza cara allo Spinelli ‘Machiavelli’, ancor più attento ai capi che alle masse. Anche nei confronti della Chiesa la versione 1944 del Manifesto non conteneva le durezze del 1941. Quanto alle potenze vincitrici con cui intendersi, restava esclusa la Russia, che solo per Colorni poteva avere un ruolo utile sulla Germania (Graglia, 1993, pp. 190-212).
Da Milano vennero contattati federalisti di altri Paesi. Dopo l’8 settembre 1943 Rossi, Spinelli e Ursula Hirschmann passarono in Svizzera, per raggiungere poi, previo ritorno in Italia fra il settembre e il dicembre del 1944, Parigi, dove il 22-25 marzo 1945 si tenne la prima Conferenza federalista europea. In Svizzera Spinelli incontrò, fra i tanti, Einaudi e Ignazio Silone, esponenti della locale Europa-Union e della Resistenza francese, laburisti inglesi e Allen Dulles, capo dell’OSS per l’Europa occupata. Ricevette aiuti dall’America dal fratello Veniero, mentre Ursula ne ebbe dalla comunità ebraica statunitense. A ospitare più volte i federalisti nella sua casa ginevrina fu il pastore protestante olandese Willem Visser ‘t Hooft, dal 1948 segretario del Concilio mondiale delle Chiese, sostenuto dai Rockefeller e dai Dulles (van den Pijl, 1984, p. 124). Ne nacquero la Dichiarazione federalista dei movimenti di Resistenza del maggio 1944, con echi precisi del Manifesto, e il Comitato provvisorio per la federazione europea.
Mentre i socialisti restavano legati ai comunisti, azionisti come Ferruccio Parri (dal 21 giugno al 10 dicembre 1945 presidente del Consiglio) sostenevano Rossi e Spinelli, entrato nella segreteria del Pd’A d’Alta Italia e autore di molti scritti. Alla Conferenza di Parigi del marzo del 1945, convocata da Albert Camus a nome del Comité français pour la fédération européenne, nato dalla Resistenza, Spinelli presentò un rapporto su movimenti democratici e federalismo. Ursula agì invece da fervida organizzatrice.
Terminata la guerra, iniziò per Spinelli una non lineare, eppur coerente stagione federalista. La sua fu una scelta di campo per gli USA, ritenuti sostenitori della democrazia e non egemonici. Accolto nella segreteria nazionale del Pd’A, pur tenendo i contatti con il federalismo europeo prese le distanze dal MFE, più dialogante con il comunismo. Inoltre fu assunto da Rossi, che ne era l’amministratore, nell’ARAR (Azienda Rilievo Alienazione Residuati, istituita da Parri con a capo Rossi per lo smaltimento dei residuati bellici degli Alleati).
Nel febbraio del 1946 Spinelli lasciò il Pd’A per fondare con Ugo La Malfa, Parri e altri il Movimento per la democrazia repubblicana, con cui si candidò senza successo per la Costituente; identico fu l’esito per la candidatura a deputato del Partito socialista dei lavoratori italiani di Giuseppe Saragat nel 1948.
Uscito dall’ARAR, riprese la guida del MFE nel giugno del 1948, motivato dal Piano Marshall, che mostrava l’impegno degli USA per l’unità dell’Europa occidentale, nel quadro della tensione con l’URSS. Nel maggio, con il patrocinio di Winston Churchill, si era tenuto all’Aja il Congresso dell’Europa, al quale Spinelli aveva preso parte e da cui sorse il Consiglio d’Europa nel 1949, l’anno stesso della costituzione della NATO.
Spinelli restava tuttavia per la soluzione federale, da perseguire mobilitando le opinioni pubbliche in vista di un’assemblea costituente europea e respingendo sia il functionalist approach comunitario (la CECA nacque nel 1951), sia le soluzioni intergovernative. Di qui il congresso di Roma dell’Unione europea dei federalisti, nel novembre del 1948, con Spinelli in primo piano, e anche la campagna per il Patto federale europeo, lanciata nel 1949 dal MFE e recepita a fine 1950 dall’Union of European federalists (UEF). In più le critiche al moderatismo dei governi, respinte da La Malfa, e i contrasti con i socialisti, tra cui Nenni e il collega di confino Sandro Pertini, legati ai fronti popolari e contrari alle istituzioni europee.
«Meteco della democrazia», ‘l’ex PCI’ Spinelli ora vicino agli USA (dove però fu ammesso solo nel 1955) teorizzò una «terza forza» tra non comunisti e non nazionalisti. Durante i negoziati per la Comunità europea di difesa (CED), che videro Dwight Eisenhower favorevole a un esercito europeo a struttura federale, esercitò una profonda influenza sul presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, grazie anche alla mobilitazione dei federalisti. Ne nacque il progetto di Comunità politica europea (CPE), poi affossato dai parlamentari francesi in una con il trattato CED, ad agosto del 1954 (Preda, 1993, pp. 33 ss.).
Come ripiego sorsero in ottobre l’Unione europea occidentale nonché, il 25 marzo 1957, sulla spinta delle crisi di Suez e di Ungheria, l’Euratom e la Comunità economica europea (CEE). La risposta dei federalisti si incentrò, dall’agosto del 1956, a Stresa, nella campagna del Congresso del popolo europeo.
Fra il novembre del 1957 e il 1961 si tennero in varie città europee elezioni primarie cui presero parte oltre 600.000 elettori. Spinelli puntava al ruolo costituente del Parlamento europeo eletto a suffragio universale, puntualmente riproposto dal 1979. Sperò inoltre in un partito federalista europeo. Nell’ottobre del 1956 completò il nuovo, ambizioso Manifesto dei federalisti europei, inviato a personalità di vari Paesi (pubblicato da Guanda, a Parma nel 1957). Così l’esordio: «La divisione in Stati nazionali sovrani pesa come una maledizione sull’Europa», e «gli Stati Uniti d’Europa» come soluzione. Altro che «la beffa del Mercato comune»!
Il ritorno di Charles de Gaulle non aiutò certo i federalisti. Al contempo la competizione Est-Ovest si estendeva al Terzo Mondo, nel quale, scrisse Spinelli, urgeva trasferire risorse e finirla con il colonialismo, pena le suggestioni comuniste (Graglia, 2008, p. 428). Perciò prese a operare fin dal 1959 con gli ambienti bolognesi della casa editrice Il Mulino e della rivista omonima, di cui conosceva i legami d’Oltreatlantico. Grazie a essi fece circolare in convegni internazionali un memorandum sulla democratic revolution, da condurre su scala globale. Nel giugno del 1961 fu accolto di nuovo negli Stati Uniti, ospite del cognato Albert Hirschmann. Ebbe contatti con Arthur Schlesinger, Walt Rostow e altri della presidenza Kennedy, inoltre con Henry Kissinger e con Victor Sullam, al fine di sostenere i Congressi del popolo europeo ma anche per proporre una Convenzione internazionale per la «rivoluzione democratica». L’idea di un congresso mondiale per la libertà e la democrazia promosso dalla Casa Bianca ebbe il placet della CIA (Graglia, 2008, p. 438) e a Parigi si tennero riunioni in proposito. Eppure, «la morte di Kennedy è oggi come un terremoto che ha sconvolto il sottosuolo» (A. Spinelli, Diario europeo..., 1989, p. 432).
Sul versante italiano, dal 1962 al 1965, sempre grazie a Il Mulino, fu visiting professor di istituzioni CEE presso la Johns Hopkins University a Bologna. Curioso effetto: alcuni studenti coniarono i primi euro con metalli di pregio forniti da un imprenditore. Peraltro, l’allargarsi degli orizzonti, un certo tatticismo, gli scarsi risultati concreti del Congresso del popolo europeo e l’idea di un impegno diretto in politica suscitarono opposizioni tra i federalisti italiani, tanto che nel 1962 la guida passò al discepolo rivale ‘kantiano’, Mario Albertini, di Pavia (Paolini, 1988, pp. 139 ss.). Spinelli riavviò i contatti con Nenni e i socialisti, ormai orientati al centro-sinistra, mentre la critica al funzionalismo si mutò in attivismo per fare del Parlamento CEE un’assemblea costituente. Nel 1963, in dialogo con Jean Monnet, fondò il CIDE (Centro di Iniziativa Democratica Europea), cui aderirono Mario Zagari, Leopoldo Elia, Eugenio Scalfari. Influenzò il Piano Saragat, per il progresso dell’integrazione europea, opera del ministro degli Esteri Giuseppe Saragat (al Quirinale dal 1964 al 1971), e anche le proposte del presidente della Commissione, Walter Hallstein, prima della «crisi della sedia vuota» imposta da de Gaulle. Si attivò a lungo per l’ingresso britannico nella CEE.
Nel 1965, tornato dagli USA, d’intesa con Il Mulino e la Fondazione Olivetti, di cui era membro, aprì a Roma l’Istituto affari internazionali, restandone direttore fino al 1969. L’obiettivo, non senza dissensi, era di formare esperti di temi internazionali per governi e imprese. I fondi, oltre a quelli della FIAT e di altri, provennero dalla Fondazione Ford (A. Spinelli, Diario europeo..., cit., p. 482). Per parte sua, Spinelli auspicava assetti federali su scala globale per cooperare con gli USA senza restarne sottomessi. Anche la NATO andava regolata con criteri simili (Graglia, 2008, pp. 491-502).
Di nuovo «consigliere del principe», ovvero di Nenni, ministro degli Esteri tra il 1968 e il 1969, fu da questi sostenuto (anche da La Malfa e Oronzo Reale, con in più l’attivismo di Ursula) per la nomina a commissario CEE. Nel luglio del 1970 iniziò così il suo ‘entrismo’ nelle pur criticate Comunità. Guidò le direzioni Affari industriali e Ricerca e sviluppo tecnologico con preveggenti iniziative e proposte in ambedue i settori (anche in campo culturale). Era una fase di rilancio dell’unione monetaria, con la fine della convertibilità del dollaro, e anche politica, dopo il ritiro di de Gaulle e il Vertice dell’Aja (1969). Riavvicinatosi al MFE, affermò a più riprese il ruolo politico della Commissione e rivendicò per il Parlamento, sorta di «costituente permanente», poteri di bilancio, codecisione con il Consiglio e potere fiduciario verso la Commissione (Paolini, 1988, p. 196 ss.). Dal 1973 mantenne un intenso rapporto familiare e culturale con il Nobel Amartya Sen, marito di Eva Colorni.
Nel maggio del 1976, previe traversie sanitarie sue e, ben più gravi, dell’amata Ursula, si dimise da commissario, non si candidò a sindaco di Roma, come offertogli dal Partito socialista italiano, per entrare invece alla Camera in giugno, da indipendente di sinistra, nelle liste del Partito comunista italiano (PCI). Quest’ultimo lo designò, tra critiche internazionali, anche come eurodeputato: merito tra gli altri di Amendola, che riconosceva le ragioni dell’espulso di un tempo, il quale, nel compiacersi di un PCI convertito alle sue idee, sosteneva il compromesso storico e puntava a un partito europeista (A. Spinelli, Pci, che fare?, 1978, p. 12). Riteneva inoltre l’America di Richard Nixon troppo egemonica. Già da commissario si era confrontato con gli USA su dazi e concorrenza industriale (Vassallo, 2013, pp. 47 ss.). A Montecitorio negò la fiducia al governo Andreotti nel 1976, mentre nel 1978 votò per il Sistema monetario europeo, dissociandosi in ambedue i casi dal PCI.
Nel 1979, entrato nel Parlamento europeo, ormai eletto a suffragio diretto, ne promosse il ruolo costituente animando il Club del Coccodrillo, gruppo spontaneo di deputati riunitisi all’inizio al ristorante Crocodile e impegnati (anche con Willy Brandt) per la riforma istituzionale. Per avere nel Club i colleghi del PCI sollecitò Enrico Berlinguer. Con grande efficacia indusse l’assemblea sia a respingere il bilancio CEE, troppo esiguo, sia a creare la commissione istituzionale autrice del celebre progetto di trattato «che istituisce l’Unione Europea». In base a quel progetto – che prevedeva la cittadinanza europea, i diritti fondamentali e la personalità giuridica dell’Unione – il Parlamento e il Consiglio (con ruolo di Senato) divenivano il legislativo, la Commissione l’esecutivo, mentre la sussidiarietà improntava i rapporti con gli Stati. La politica estera e di difesa restava ai governi, ma con possibilità di trasferire competenze all’Unione. Importante il punto secondo il quale il trattato non andava ratificato all’unanimità, bensì a maggioranza degli Stati (purché con due terzi della popolazione) e senza preventive conferenze diplomatiche. Il Parlamento approvò il Progetto Spinelli il 14 febbraio 1984 a maggioranza assoluta (Gazzetta ufficiale CEE, 19 marzo 1984, C. 77/33 ss.).
Benché inizialmente sostenuto dal presidente francese François Mitterrand, che ricevette Spinelli, e malgrado le molte visite nelle capitali europee, il progetto fu lasciato cadere dopo le elezioni europee del giugno del 1984. Pur nella delusione per il grande marlin hemingwayano ridotto a lisca dai pescecani (così nell’eloquenza spinelliana), la spinta del Parlamento incoraggiò le innovazioni dell’Atto unico, firmato dai governi il 17 febbraio 1986.
Il 23 maggio 1986, a causa del tumore contratto da tempo, il rieletto deputato morì in una clinica romana.
Di lì a pochi anni le Comunità sarebbero diventate Unione: Altiero Spinelli è ‘padre dell’Europa’ italiano insieme a De Gasperi e a lui s’intitola un edificio di Bruxelles, mentre lo Spinelli Group raccoglie i deputati suoi continuatori.
Nel 2014 sua figlia Barbara è stata eletta al Parlamento europeo per la Sinistra europea.
Opere. Si segnalano: Dagli stati sovrani agli Stati Uniti d’Europa, Firenze 1950; L’Europa non cade dal cielo, Bologna 1960; Pci, che fare?, Torino 1978; Come ho tentato di diventare saggio. Io Ulisse, Bologna 1984; Il progetto europeo, Bologna 1985; Diario europeo 1948-69, a cura di E. Paolini, Bologna 1989; Una strategia per gli Stati Uniti d’Europa, a cura di S. Pistone, Bologna 1989; Il linguaggio notturno, a cura di L. Angelino, Genova 2006. Per le altre opere di Spinelli vedi http://acs.beniculturali.it/wp-content/uploads/ 2017/12/OPERE-DI-ALTIERO-SPINELLI.pdf; http://www.altierospinelli.it/bibliografia/index.php (5 ottobre 2018).
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivi storici delle Comunità europee, Fondo Spinelli, https://archives.eui.eu/en/fonds/3610?item=AS; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 4914, f. 026752; Fondazione Antonio Gramsci, Partito comunista italiano, 1921-43, Fondo 513, f. 1070, cc. 64-65 (l’informativa del capocellula del carcere di Viterbo).
Su Altiero Spinelli v. soprattutto P. Graglia, A. S., Bologna 2008. Inoltre: C. Ravera, Diario di trent’anni, Roma 1973, p. 203; K. van den Pijl, The making of an Atlantic ruling class, London-N.Y. 1984, ad ind.; E. Paolini, A. S., Bologna 1988, ad ind.; P. Graglia, Machiavelli nel XX secolo, Bologna 1993, ad ind.; D. Preda, Sulla soglia dell’Unione, Milano 1993, ad ind.; E. Paolini, A. S. dalla lotta antifascista alla battaglia per la federazione europea: 1920-1948. Documenti e testimonianze, Bologna 1996; A. Braga, Un federalista giacobino, Bologna 2007, ad ind.; F. Gui, Rivisitando il Manifesto dei federalisti europei, in A. S.: il pensiero e l’azione per la Federazione europea. Atti del Convegno..., Torino... 2007, a cura di U. Morelli, Milano 2010; A. S. e i movimenti per l’unità europea, a cura di D. Preda, Padova 2010; G. Vassallo, A. S.: the wellknown crusader for European Union, in EuroStudium3w, 2013, n. 29, pp. 45-54; M. Leone, «La mia solitaria fierezza». S. A.: le carte del confino politico di Ponza e Ventotene dell’Archivio di Stato di Latina, Latina 2017; Atti del Comitato nazionale per le celebrazioni del centesimo anniversario della nascita di A. S., http:// www.altierospinelli.it/interno.php (5 ottobre 2018). Per la bibliografia su Spinelli si veda inoltre http:// www.altierospinelli.it/bibliografia/index.php (5 ottobre 2018).